Archivio mensile:Maggio 2004

Dendrobium farmeri var. alba

Dendrobium farmeri var alba
  • Dendrobium farmeri descritto da Paxton, Joseph
    pubblicato in Paxton’s Magazine of Botany 15 : 241 1849

Dendrobium farmeri var alba descritto da von Regel, Eduard August
pubblicato in Gartenflora 17 : 321 1868

Dendrobium, nome composto, deriva dalle parole greche: dendro “albero” e bios ”vita”.
Il genere Dendrobium, è composto di oltre 1000 specie che si differenziano per dimensione, per varietà della fioritura e per comportamento vegetativo.

Dendrobium farmeri var. alba – collezione Guido De Vidi

Molti collezionisti rimangono stregati da questo genere di orchidee e non di rado dedicano l’intera collezione, quasi esclusivamente alle varie specie di Dendrobium. Le varietà giunte in coltivazione hanno consentito di fare molte esperienze di ibridazioni e soprattutto con l’impegno dei coltivatori hawaiani, si sono ottenuti dei risultati incredibili ed affascinanti. Le varietà di forme dei Dendrobium e dei loro fiori, superano qualsiasi immaginazione, per raffinatezza ed unicità: si va dalle strutture filiformi, alle forme tozze degli pseudobulbi, mentre i fiori si mostrano con toni degni delle tavolozze dei migliori pittori, dal rosa pallido al viola intenso oppure ai colori rosso e giallo intenso per arrivare al bianco delicatamente segnato di giallo nella gola del labello.
Il genere è diffuso in tutta l’Asia orientale e nelle Isole del Pacifico, dall’Himalaya, attraverso la Birmania, Malesia, Cina, Giappone, Nuova Zelanda, Australia e Filippine.

Qualche specie vive in regioni dove la stagione calda è seguita da temperature relativamente fresche e secche, altre, dove le temperature e le precipitazioni sono medesime tutto l’anno ed altre ancora, dove sono soltanto le frequenze delle precipitazioni, a variare durante le stagioni dell’anno.

Data l’estrema varietà di habitat delle varie specie, la coltivazione è molto problematica perché bisogna dare a ciascuna pianta il suo specifico trattamento.
Questa variabilità delle condizioni di vita dei Dendrobium, ha attribuito loro una fama di piante difficili e capricciose, e viste le cose con l’occhio del coltivatore è probabilmente giustificata.
Almeno le specie dei climi monsonici a stagione secca sono sicuramente le meno indicate per un neofita.

In coltivazione, i Dendrobium, vanno divisi in 6 gruppi, diversificati per temperature, periodi di bagnature e fertilizzazione.
Focalizziamo l’attenzione sul gruppo più ostico: quello dei climi monsonici secchi.
All’inizio si affermava che le cure dei coltivatori hawaiani hanno prodotto dei buoni risultati: infatti le loro ricerche d’ibridazione con genitori famosi tipo il Dendrobium nobile, hanno creato ibridi spettacolari, molto resistenti ed attraenti sotto l’aspetto commerciale.
Il mercato attuale è invaso da ibridi dalle varie tonalità e forme, prodotti soprattutto dalla Ditta hawaiana Yamamoto.
Tutta quest’estesa gamma di varietà, va collocata nel gruppo delle piante che necessitano di un periodo di fresco e secco.
Gli ibridi cosiddetti “ Yamammoto” sono a foglia decidua ed i vecchi fusti già fioriti, producono delle piccole vegetazioni, che appena formano nuove radici, possono essere staccate per fare nuove piante. Altra maniera per ottenere nuove piante è la divisione tramite incisione tra i nodi dei vecchi fusti in pezzi di 4-5 cm, che saranno poi sistemati in un letto di sfagno umido oppure corteccia d’abete finemente sminuzzata, in attesa del loro germoglio.
Generalmente le piante dei Dendrobium non amano grandi vasi e gli ibridi di comune reperimento che derivano dalla specie del D. nobile e di quelle affini, oppure dal Dendrobium phalaenopsis (specie sempreverde), amano tutti questa regola.

In sintesi, i Dendrobium che mostrano la fioritura a piccoli grappoli lungo tutto il fusto maturo, hanno bisogno di un periodo di riposo (molto breve) post fioritura.
Dopo la ripresa vegetativa che coincide con la stagione calda, durante la quale si formano e si sviluppano i nuovi fusti sino alla maturazione (periodo di massima fertilizzazione e d’abbondanti bagnature), deve seguire il classico momento di riposo freddo e secco, durante il quale si riducono quasi del tutto le bagnature.

In questa fase la pianta è sottoposta ad uno stress salutare, i fusti di stagione perdono tutte le foglie nel giro di 15-20 giorni ed è a questo punto, che simulando il ritorno delle piogge, si riprendono le annaffiature, si aumenta la temperatura e si fertilizza abbondantemente, nell’attesa che dai nodi degli pseudobulbi s’ingrossino le gemme fiorali: se non si segue questo ciclo, le gemme produrranno soltanto nuove vegetazioni.

Cirrhopetalum picturatum: esemplare in fiore

Cirrhopetalum picturatum “Villa Franchetti” MO – AIO 97 collezione Guido De Vidi

Purtroppo e per motivi non sempre comprensibili e non sempre casuali, botanici e tassonomi si dilettano a rinominare specie di orchideee già registrate e descritte da altri colleghi. L’evoluzione della scienza dimostra che talvolta, risistemare generi e specie di orchidee è cosa utile, ma il più delle volte sarebbe più conveniente lasciare le cose come stanno.

Collezione Guido De Vidi – inizio fioritura, primi giorni di Aprile – foto 29 Maggio 2004              Cirrhopetalum picturatum Lindley 1840         Nella mia collezione, da molti anni è presente Cirrhopetalum picturatum e come si può vedere dalle foto a fianco, la specie è già diventata un esemplare notevole e, fra l’altro, premiata anche con MO/AIO alla mostra di Villa Franchetti (Preganziol TV nel 1997).

L’incauto acquisto
L’altro anno in fiera a Pordenone…affascinato e tratto in inganno dal nome inusuale (Cirrhopetalum eberhardtii) di una pianta messa in vendita al nostro mercatino degli scambi, senza preoccuparmi di consultare qualche testo dei sinonimi me lo sono acquistato.
Bulbophyllum eberhardtii ( Gagnep. ) Seidenf. 1992
Con mia sorpresa alla prima fioritura ho scoperto che – Cirrhopetalum picturatum e Cirrhopetalum eberhardtii – sono due diverse classificazioni della stessa specie: la foto a sinistra e questa scheda su www.orchidspecie.com ne sono la prova.
Unica consolazione è che il mio inconsapevole errore lo hanno commesso anche quei botanici che nel 1941 descrissero e rinominarono un’ orchidea già classificata un secolo prima.

Paphiopedilum callosum

Collezione Guido De Vidi – diritti riservati

Paphiopedilum callosum (Rchb. f.) Pfitzer 1895
Sottogenere Sigmatopetalum Sez. Barbata Sottosezione Barbata Kraenzlin 1901
Sinonimi:Cordula callosa Rolfe 1912 – Cypripedium callosum Rchb.f 1886
Questa splendida specie di Paphiopedilum fiorisce in tarda primavera, inizio estate. E’ un’orchidea terricola di medie dimensioni ed è molto ricercata per la dimensione dei suoi fiori (possono arrivare anche a 10 cm.), ancor più evidenziata dall’enorme sepalo dorsale. Ogni vegetazione produce un’unica ifiorescenza, raramente due.

Lo stelo a portamento eretto arriva a misurare anche 40 centimetri di altezza e porta al suo apice il fiore con un grande sepalo leggermente ondulato all’estremità superiore, di colore bianco con striature alternativamente corte e lunghe, color verde alla base e porpora all’apice.
I petali sono color verde pallido con verruche scure sulla parte superiore e le punte color porpora. Il labello è di colore marrone-porpora e verdastro nella sua parte inferiore.
Le foglie maculate, sono lunghe circa 15 cm.
In natura vive in tutta la penisola del Siam, dalla Taailandia al Laos ad una altitudine di 1000-1300 metri. In coltivazione va tenuto sempre con substrato umido e leggermente fertilizzato.

Paphiopedilum bellatulum

Specie, varietà o forme diverse

Domenica 23 Maggio durante una discussione fra collezionisti di orchidee, tenuta nella mia serra, si sono confrontate le differenze tra due piante fiorite di Paphiopedilum bellatulum presentate al tavolo, per stabilire se fosse necessario considerarle varietà diverse.

Collezione Guido De Vidi- foto 24.05.04
La prima pianta (foto di sinistra), con due fiori è di provenienza tailandese ed ha i fiori con petali e sepali molto bianchi.
La seconda pianta foto con un fiore singolo è di origine birmana
(ora Myanmar), lo sfondo dei suoi petali e sepali tende al colore giallo-beige.
Alla fine della discussione si è convenuto di classificare le piante in esame con due diversi nomi di cultivar: Paphiopedilum bellatulum ‘Rio Parnasso’ quella pallida, e Paphiopedilum bellatulum ‘Dottori’ quella proveniente dalla Birmania.
Descrizione:
Paphiopedilum bellatulum (Rchb.f) Stein 1895
ex Cipripedium bellatulum da Reichenbach f. 1888)
Ssottobenere: Brachypetalum Haller 1897
Sinonimi: Cordula bellatula Rolfe 1912

Paphiopedilum bellatulum è una specie di piccole dimensioni, le sue foglie sono carnose e maculate, misurano 8-10 cm di lunghezza e 3 cm. di larghezza.
Il periodo della fioritura, oscilla tra la tarda primavera e l’inizio dell’estate. Ogni vegetazione produce un fiore singolo a forma rotondeggiante e bracchiata con petali, sepali e labello color bianco/crema, dipinti da appariscenti macchie color porpora.
Esiste anche la varietà alba.
Paphiopedilum bellatulum è una specie terricola endemica in tutta l’Indocina, Thailandia e Birmania nei boschi luminoso e decidui a 800 – 1600 metri di altitudine.
Questa specie è soggetta ai climi monsonici, quindi caldo umido in estate e relativamente freddo e secco durante la stagione invernale secca è molto usata nelle ibridazioni, perché le sue particolari caratteristiche genetiche risultano dominanti.

Coltivazione
In coltivazione prospera bene con substrato calcareo, soffice, leggermente umido e drenante, ottenibile con corteccia di pino, torba di sfagno, agriperlite e sabbia grossolana.
Questo Phaphiopedilum va coltivato nella parte più fresca della serra intermedia ed è un’orchidea che si adatta con facilità a situazioni climatiche non ottimali.
Fertilizzare con concime solubile, NPK 20.20.20 – 0,5 g. per litro d’acqua ogni 20 giorni e diradare ulteriormente nella stagione fredda.

LA STORIA siamo anche noi

Vanda coerulescens MO EOC/97 Ginevra

Aspirazioni idee e fatti, che hanno portato l’EOC del 2006, in Italia.

EOC DI GINEVRA
L’Italia amatoriale delle orchidee, in occasione dell’EOC di Ginevra ed anche in seguito, non ha potuto contare in una concreta collaborazione generale, perché?
Perchè le menti colte, pur presenti e tanto brave a produrre “trattati”, e ad elaborare “dubbie monografie”, sono sempre assenti, nei momenti di concreto impegno? Io non ho molte risposte e le poche che ho, anche alla luce di attuali e reiterate astiosità , per altro confinate in angusti anfratti virtuali, restano intime.
Continua a leggere