L’orchidea dedicata a Fulvio Tomizza

Era già sorto un movimento d’opinione, sostenuto da alcuni intellettuali di Buje, la cittadina più vicina al Dragogna, e di Parenzo al di là della linea del Quieto, che si fondava sul principio secondo cui l’Istria per proporsi quale regione o magari staterello autonomo doveva trovare coesione, in virtù della territorialità e del passato storico comune perlomeno dalla caduta della Repubblica Veneta, nei suoi tre gruppi etnici, l’italiano, il croato e lo sloveno, già motivo di urto continuo a beneficio dell’uno o l’altro occupante e da ultimo affratellati da identico destino. La nascita del malaugurato confine, mi rivelò l’esponente bujese, aveva impresso al movimento una spinta quale nessuna propaganda sarebbe riuscita a eguagliare. Era stato battezzato Dieta democratica istriana e quando si trasformò in partito raccolse in due consultazioni elettorali oltre il 70 per cento dei suffragi: una maggioranza quale mai, sotto nessun regime politico né amministrazione straniera, il popolo istriano aveva espresso in piena spontaneità non esente da rischio.
Di conseguenza oltre il 90 per cento dei Comuni ebbe una Giunta dietina, e lo stesso avvenne per l’Istituto regionale, una delle cinque contee della Croazia, a cui Zagabria imponeva quale sede la città di Pisino, roccaforte croata per non essere stata mai veneta bensì sotto gli arciduchi di Vienna, in luogo del vecchio capoluogo provinciale di Pola, o di Parenzo dove ai tempi dell’Austria-Ungheria sedeva un piccolo Parlamento istriano, chiamato per l’appunto Dieta. In risposta polemica la Dieta stabiliva la propria sede partitica a Pola e qui raggiunse l’apogeo del prestigio e della popolarità organizzando il primo congresso mondiale degli istriani. Vi partecipai anch’io insieme a isolati esuli residenti in Italia e altrove. Fu una delle giornate più commoventi della mia vita, durante la quale sentii che cosa significhi per un senza patria ritrovare un suolo e una gente con cui identificarsi in pieno ed esclusivamente, tra la brughiera di un mare gagliardo e pulito, nel clima dolcissimo della riconciliazione.
La prova della Croazia nella feroce guerra balcanica, il suo finale successo nella Krajina serba, il consolidamento dello Stato indipendente sostenuto anche dagli Usa, il rafforzarsi del partito al potere e del suo presidente Tudjman, si tradussero in una rimonta del sempre desto nazionalismo croato e in manifestata insofferenza verso quanti ne rimanevano fuori. Non ne restava fuori il clero d’Istria, tutto croato come fino al ‘45 era stato tutto italiano, ora salito in auge e sollecito a indicare nei laici dietini dei comunisti riverniciati. Mentre questi ultimi andavano a perorare la loro causa a Strasburgo, a Bruxelles perché la penisola ottenesse una rappresentanza nell’Europa delle regioni, e qualcuno si era spinto a ipotizzare un’amorevole rinuncia, da parte di Roma, di Lubiana e di Zagabria, dei lembi territoriali da Muggia a Pola per dar vita a uno staterello europeo, l’azione di disturbo degli uomini del presidente s’infittiva e s’incattiviva a tutti i livelli.
Nonostante il forte calo alle ultime elezioni, che le ha fatto perdere la maggioranza assoluta, la Dieta conserva sia gran parte dei Comuni sia la Giunta regionale. Questa ha un nuovo presidente in quanto il primo dimessosi per contrasti interni, si è presentato con una propria lista. Ma le decisioni che contano vengono prese a Zagabria, e la stessa cosa avviene per i posti che contano, ora che dopo la stasi della guerra il turismo è in buona ripresa e si sta procedendo alla privatizzazione delle aziende statali.
La Dieta si è indebolita soprattutto al suo vertice, che io credevo in perfetta sintonia con la delicatezza del mandato conferitogli dall’elettorato. Ridimensionate le aspirazioni anche per la defezione degli istriani in Slovenia i quali seguono il loro Paese nel cammino intrapreso verso l’Unione europea, ai combattivi dietini di Buje, Parenzo, Pisino e Pola non rimane che tutelare i diritti e gli interessi dei loro elettori nel braccio di ferro con Zagabria, dalla quale uscirà prima o poi una leadership giovane, moderna, in conformità con il suo tessuto etnico-geografico e all’altezza della sua cultura. E il nostro ministero degli Esteri fa bene, non tanto a privilegiare e perciò estendere la presenza degli italiani in Istria, quanto a incoraggiare il governo croato a prendere anch’esso la strada per l’Europa. Per ragioni di buon vicinato e per senso di responsabilità verso l’intera Istria.

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