Aspettando Pordenoneorchidea: un naufragio miracoloso

La leggenda del vascello fantasma
Nel secolo XVII la Repubblica di Venezia, assegnò alle imbarcazioni provenienti da Pordenone, l’approdo in Venezia alla “riva del carbon, dalla parte del traghetto di san Luca” (30 marzo 1616), mentre il 27 gennaio 1690, il “Collegio alla milizia da mar” destinò ai Pordenonesi la “riva del ferro vicino a Rialto”. E’ in questo contesto che il vascello di Capitan Santarossa, astuto commerciante di spezie ed altre rarità esotiche, riforniva di mercanzie esotiche, le genti delle tre venezie.

Leggende e misteri.                                                                                                                                                     Nomi e avvenimenti del racconto sono parzialmente immaginari, sognare non costa nulla, ma qualche volta i sogni diventano realtà. La coreografia di Pordenoneorchidea 2013 vedrà esposto il “vascello fantasma” carico di orchidee, vino e spezie.


Un freddo martedì di marzo del 1780, Capitan Santarossa con il suo Vascello carico di spezie, botti e orchidee provenienti dal lontano Gipango, salpò proprio dalla “riva e del ferro”, per risalire verso Portus Naonis “Porto sul Naone”, ma quella volta il barcone non giunse a destinazione, si incagliò sulle secche della riva sinistra, poco più a sud dell’imbarcadero
Fu una grande tempesta a fermare per sempre il vascello fantasma ed il suo prezioso carico. Quel viaggio finì drammaticamente fra le secche di Vallenoncello. Lo scafo rimase lì, protetto dalla vegetazione, muto, ferito mortalmente, spezzato in due, in attesa di qualche miracolo.
Con il trascorrere del tempo si creò un alone di paura ancestrale attorno a quel che rimaneva del barcone misterioso. Tutte le genti dei luoghi conoscevano la favola misteriosa di Capitan Santarossa. Anche i bambini del posto, finite le lezioni, si recavano spesso da quelle parti per giocare a fare i marinai. Si raccontavano cose strane sul luogo misterioso dove riposava il vascello fantasma; c’era chi giurava che nelle notti di luna piena si potevano ascoltare dolci canzoni o grida strazianti e qualche volta – sussurravano i giovinotti della bassa friulana – si poteva scorgere una fanciulla dai lunghi capelli biondi, che danzava vestita solamente di strani fiori profumati, di colore bianco, spesso di colore rosa pallido e nelle notti di fine Maggio di un colore giallo intenso.

Orchidee, vino e spezie
Nelle case contadine e nelle osterie del pordenonese si raccontavano strane storie di tesori, di spezie, di strane piante cresciute sugli alberi ed anche di botti di buon vino perse irrimediabilmente – leggende, naturalmente – ma, si sa, le leggende sono come il vento, non lo puoi fermare. Ed è così che la leggenda del vascello fantasma incuriosì anche l’entourage della Fiera di Pordenone.
Alvaro, il loro Presidente, persona assai paziente, non ne poteva più… ad ogni riunione saltava fuori il naufragio di Capitan Santarossa ed un bel giorno, anzi, una bella sera propose di organizzare una spedizione – avanti miei prodi – ordinò! Cercatemi questa nave, la voglio esposta a Ortogiardino! Non fu impresa facile, ma alla fine… quel che rimaneva dello scafo di Capitan Santarossa riapparve seminascosto dalla vegetazione, spaccato in due ed assai invecchiato, ma fra le botti ormai disfatte e senza vino, si potevano scorgere bellissime orchidee esotiche in fiore, Dendrobium, Vanda teres, rare specie di Paphiopedilum, Oncidium, Restrepia, e altre mille specie. Che fortuna, esclamò il capo spedizione!, Dai, recuperiamo tutto per la fiera Ortogiardino e organizziamo una bella mostra… naturalmente la chiameremo “Pordenoneorchidea”

La canzone disperata Pablo Neruda.                                                                                                                                        Emerge Il tuo ricordo dalla notte in cui sono.
Il fiume congiunge al mare il suo lamento ostinato.
Abbandonato come le banchine all’alba.
È l’ora di partire, oh abbandonato!
Piovono sul mio cuore fredde corolle.
Oh sentina di macerie, feroce covo di naufraghi!
In te si accumularono le guerre e i voli.
Da te spiegarono le ali gli uccelli del canto.
Tutto hai inghiottito, come la lontananza.
Come il mare, come il tempo.
Tutto in te fu naufragio!
Era l’ora felice dell’assalto e del bacio.
L’ora dello stupore che splendeva come un faro.
Ansia di timoniere, furia di palombaro cieco,
torbida ebbrezza d’amore, tutto in te fu naufragio!
Nell’infanzia di nebbia la mia anima alata e ferita.
Esploratore perduto, tutto in te fu naufragio!
Ti attaccasti al dolore, ti aggrappasti al desiderio.
Ti abbatté la tristezza, tutto in te fu naufragio!
Feci indietreggiare la muraglia d’ombra, andai oltre il desiderio e l’atto.
Oh carne, carne mia, donna che amai e persi,
te, in quest’ora umida, evoco e canto.
Come un bicchiere ospitasti l’infinita tenerezza,
e l’infinito oblio ti frantumò come un bicchiere.
Era la nera, nera solitudine delle isole,
e lì, donna d’amore, mi accolsero le tue braccia.
Era la sete e la fame, e tu fosti la frutta.
Era il dolore e la rovina, e tu fosti il miracolo.
Ah donna, non so come hai potuto contenermi
nella terra della tua anima, nella croce delle tue braccia!
Il mio desiderio di te fu il più terribile e breve,
il più inquieto ed ebbro, il più avido e teso.
Cimitero di baci, c’è ancora fuoco nelle tue tombe,
ancora bruciano i grappoli sbecchettati dagli d’uccelli.
Oh la bocca mordicchiata,
le membra baciate ,oh i denti famelici, oh i corpi intrecciati.
Oh l’amplesso folle di speranza e di vigore
in cui ci congiungevamo e ci disperavamo.
E la tenerezza, lieve come l’acqua e farina.
E la parola appena iniziata sulle labbra.
Quello fu il mio destino e con esso viaggiò il mio
desiderio,con esso crollò il mio desiderio, tutto in te fu naufragio!
Oh sentina di macerie, in te tutto crollava,
quale dolore non esprimesti, quali onde non ti affogarono.
Di caduta in caduta ancora fiammeggiasti e cantasti.
In piedi come un marinaio a prua della nave.
Ancora fioristi in canti, ancora straripasti in correnti.
Oh sentina di macerie, pozzo aperto e amaro.
Pallido palombaro cieco, sciagurato fromboliere,
esploratore perduto, tutto in te fu naufragio!
È l’ora di partire, l’ora fredda e dura
che la notte ferma su ogni orologio.
Il cinturone rumoroso del mare cinge la costa.
Sorgono stelle fredde, emigrano neri uccelli neri.
Abbandonato come le banchine all’alba.
Solo l’ombra tremante si ritorce tra le mani.
Ah più in là di qualsiasi cosa.
Ah ben più in là.
È l’ora di partire.
Oh abbandonato!

2 pensieri su “Aspettando Pordenoneorchidea: un naufragio miracoloso

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