Ricordi: quel Larice della Val Visdende

Una storia di vita e di morte: il salvataggio e la fine di un larice raccolto quasi 50 anni fa in Val Visdende

Quando incontri la donna della tua vita, cominci a condividere con lei, luoghi belli e momenti magici, che con il passare degli anni diventano i ricordi dell’anima.  Ed è così che quella mattinata primaverile del 1971, io e Rosetta decidemmo di visitare una valle del Comelico adagiata fra le Alpi del Cadore: la Val Visdende. Nella Val Visdende, vallata dalla natura incontaminata facente parte del Comelico si trovano le sorgenti del Piave “fiume sacro alla patria”.
Raggiungere le sorgenti di quel fiume, che per noi abitatori dei paesi rivierarschi, Maserada sul Piave, Breda di Piave, San Donà di Piave e via dicendo, posti più giù in pianura verso il mare, può essere considerato come un pelegrinaggio verso luoghi spirituali.
Da bambini al Piave si andava per “prendere” le arie buone del mattino, da ragazzi, in estate, si faceva il bagno sbirciando con timidezza i primi bikini delle ragazzine provenienti dai paesini dell’interland. Le grave del Piave erano la nostra spiaggia fatta di sassi levigati dal tempo e dal rotolare giù a valle, dopo aver percorso un lungo viaggio a partire proprio da quella valle dove in fiume nasceva.

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Il Piave
In altri tempi il Piave ci dava tutto quello che serviva per costruire le nostre case e forniva anche il pesce per sfamare tanta gente. Ma il Piave, per noi era ed è anche storia, tragedia e riscossa: fra le sue sponde, oltre 100 anni fa si decisero i confini della nostra Italia, chissà come sarebbero ora se le sorti della epica battaglia del Piave avessero avuto risvolti diversi.
Ecco, con tutto questo carico di cultura, tradizione e riverenza, quel giorno del 1971, ci inerpicammo lungo quel sentiero che ci avrebbe portati più in alto, ma fu una piccola pianta già sradicata, forse a causa di qualche evento alluvionale, a richiamare la nostra attenzione. La raccogliemmo e decidemmo di portarla con noi per dargli nuova vita piantumandola nel giardino di casa: era un piccolo larice che gli eventi della natura avevano deciso di imolare alla sua ferrea legge.
La portammo a casa e la mettemmo a dimora in un angolo del giardino della mia ragazza, Rosetta, ora mia moglie.
Ci ringraziò quel piccolo Larice e cominciò a crescere, tanto da non poter più stare in quel posto. Noi eravamo diventati marito e moglie e c’era già anche Daniel, nostro figlio, quando dovemmo prendere la decisione di trovare un’altra sistemazione al nostro larice, che nel frattempo aveva già raggiunto i 2 metri di altezza.
Riuscimmo a spostarlo senza grossi traumi, le radici rimasero protette da una enorme zolla di terra. Lo portammo nel giardino di casa a Pero. Gli anni passarono e il nostro Larice della Val Visdende continuò a vivere ed a crescere indisturubato. Durante la stagione fredda si spogliava dei suoi aghi e puntualmente in primavera si rivestiva di quel verde delicato delle giovani foglie per colorarsi di giallo ocra nella stagione autunnale.

La crisi Poi il nostro Larice, ormai alto più di 5-6 metri, andò in crisi, cominciò a mostrare fatica a rivestirsi, qualche rametto si essicò e nella primavera del 2014 non si risvegliò più, rimase spoglio, morto.
Aspettammo invano la primavera del 15 e poi, qualche giorno fa decidemmo, con molta tristezza, di eliminare quella nostra amica pianta carica di ricordi e di passioni.
Ecco quel che rimane di tanti sogni e di tante primavere vissute con gioia: i suoi 47 anni scritti nei segni circolari ben visibili nella sezione del suo fusto.

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Un cumulo di legna secca.
Questo cumulo di legna servirà a riscaldarci nel prossimo inverno, ma, a dimostrazione che la vita non si ferma con la morte, il nostro larice ha voluto farci l’ultimo regalo: ci chiese di salvare la parte più alta del suo fusto per allestire qualche mostra futura di orchidee: sarà fatto, amico larice della Val Visdende, eccolo il tuo fusto, la tua vita continuerà in altra forma: grazie.

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Dendrobium speciosum in fiore

Conversazione semi seria con  il Re delle Orchidee.

Dendrobium speciosum, esemplare in fiore collezione rio Parnasso

Capita, sapete, c’è chi non ci crede, ma capita!
E’ la dimensione un po’ metafisica del collezionista di orchidee, quella di trovarsi a dialogare con le piante della sua collezione, e con un po’ di fortuna può succedere pure di conversare con il Re delle orchidee che ti mostra la sua splendida fioritura, con rispetto però… con il rispetto dovuto ai Re!

Ed è così che nel mese di gennaio, chi coltiva qualche esemplare di Dendrobium speciosum si può godere quella maestosa esplosione di fiori bianchi che profumano intensamente;  e con un po’ fantasia, il feeling porta quel fortunato coltivatore di orchidee a immaginare una possibile conversazione con le piante.

“Sua Maestà” – esordisco, con un cenno di inchino – “Si rende conto dell’importanza del suo titolo, lei è Re di un mondo fantastico… quello delle orchidee!”


“Ma dai!”–  risponde la grande pianta “sono gli orchidofili australiani, dove io sono di casa, che mi considerano Re… le genti dei posti in cui vivo mi chiamano anche Giglio delle rocce.”
“A perbacco” – aggiungo incuriosito Racconta, racconta!” – esclamo con interesse –
Caro amico, se andrai a leggere nei libri o magari se navigherai su internet, troverai che la mia sistemazione tassonomica binomiale è Dendrobium speciosum; Dendrobium, per la solita storia che gran parte delle orchidee del mio gruppo vivono sugli alberi… io no sai, a me piace la luce e me ne sto tranquillo al sole, arrampicato sulle pareti di roccia arenaria, lungo il litorale orientale dell’Australia, solo raramente trovo posto sugli alberi.”

Dendrobium speciosum J. E Smith 1804 Il Re si concede una pausa e poi continua… Speciosum è l’epiteto specifico assegnatomi nel 1804 da Sir James Smith per esprimere la bellezza dei miei grandi steli fiorali carichi di molti fiori profumati color crema”

…”Vorrei ben dire” – Aggiungo io, mentre lui, visibilmente pomposo, continua il suo racconto.

  “Da Sir James Smith, giunsi come omaggio del chirurgo J. Whit, che mi raccolse a Port Jackson dove vivevo. Come sai, noi del regno vegetale viviamo molto a lungo, se vorrai vedere il mio vecchio ceppo, lo troverai all’Herbarium di Linn; altre piante mie sorelle furono inviate al Kew Garden da Cunningham nel 1823.
Non ti dico l’interesse dei botanici australiani, Clements, M.A. & Jones
contnua a raccontare il Re, impartendomi anche una lezione di botanica – I miei cari scienziati compaesani stanno studiandomi di dentro e di fuori, per cambiarmi nome. Sai, noi viviamo in un areale molto vasto e con il tempo sono state riscontrate sostanziali variazioni morfologiche all’interno della nostra specie. Questi signori intendono darmi questa nuova sistemazione generica: (Thelychiton)Siamo alle solite – intervengo! “Sì”, afferma il Re, e continua Thelychiton deriva dalla composizione di due parole greche – thely = femmina, chiton = coperto, in riferimento alla colonna dei miei fiori, che in due specie originarie dell’isola della Norfolk, la superficie stigmatica è circondata dal tessuto della colonna (che forma un tubo) con la copertura dell’antera. Per questo motivo tali specie non possono essere impollinate tramite lo scambio di pollinia: sono cleistogame. In queste piante l’impollinazione avviene per autogamia. – “Perbacco!” – Esclamo! – Sia quel che sia – continua il Re –, ora però ti voglio raccontare alcune cose belle di me.

“Caro amico, sono una delle orchidee più grandi che si possano trovare in Australia, e come ti dicevo, a noi piace vivere sulle pareti rocciose di arenaria, ma qualche nostra colonia può essere trovata anche sugli alberi delle foreste vicine alle scogliere dove si formano dei gruppi giganteschi di piante che offrono viste spettacolari. A Gennaio quando siamo in fiore, offriamo uno scenario da favola, e per questo ci chiamano “giglio delle rocce”.
Una delle sensazioni più piacevoli offerte dalle nostre popolazioni in natura è l’aroma dei nostri fiori, che può propagarsi fino a grandi distanze: qualche chilometro.
Concludendo il suo racconto in tono confidenziale, il Re mi da un consiglio:
“Guardati il video, amico mio, anche qua da te dove vivo da diversi anni, se riesci a trattarmi nel giusto modo, ti inebrio  di intenso profumo. A volte tu mi coccoli troppo ed io non trovo il tempo per fiorire; vedi amico, io ho bisogno di soffrire un po’ per poterti regalare delle belle fioriture.”
Grazie, grazie, effettivamente è così – sussurro con discrezione – Mi raccomando però, non fare scherzi caro Re!

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Auguri! Buone feste e buon 2023 a tutti.

… in questi giorni siamo tutti un po’ più buoni, sono giorni affettuosi.
Chi può sta con la famiglia, con i parenti e si gode il calore della comunità.
Chi è solo dialoga con la sua spiritualità.
Chi ama cerca conferma.
Chi soffre spera in giorni migliori.
Chi ha problemi di salute trova la forza di superarli.
E’ giusto che sia così.
Tanti auguri a tutti!

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Ada glumacea

Orchidea epifita di medie dimensioni, che predilige temperature fresche intermedie. Specie a sviluppo simpodiale con pseudobulbi moderatamente compressi, di colore verde chiaro, ellittico-piriformi, parzialmente avvolti da guaine inferiori imbricate, e una foglia singola, acuta, sottile, arcuata, lanceolata, apicale che si forma sul picciolo. Produce infiorescenze ascellari sottili, di colore verde chiaro, eretta, lunga 22 cm, con diversi fiori che spuntano in autunno inverno, da pseudobulbi maturi dalle ascelle fogliari e con la sua guaina più lunga della foglia. E’ endemica in Colombia, Venezuela ed Ecuador ad altitudini da 1.100 a 1.800 metri sul livello del mare. Ada glumacea è stata descritta da (Lindl.) NH Williams e pubblicata in Brittonia 24(1): 107. 1972.

Etimologia: Genere Ada – Epiteto in onore di “Ada”, la sorella di Artemide , da Caria – specie glumacea : che significa “con pellicola”. [ 3 ]

Sinonimi.I seguenti nomi sono considerati sinonimi di Ada glumacea :

Brassia glumacea Lindl . 1846;

Brassia imbricata Lindley 1854;

Oncidium glumaceum Rchb. F. 1864;

Oncidium imbricatum (Lindl.) Rchb. F. 1863 [ 4 ] [ 5 ]

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Una Vanda per Natale

…anche in cucina, un ottimo risotto alla “Vanda suavis” è una ricetta esclusiva degna di Nero Wolfe

Origine (Laos, Java) è stata descritta con il nome Vanda tricolor nel 1847 da John Lindley: Edwards’s Bot. Reg. 33: t. 59 (1847).
Successivamente (1853) in un lavoro comune fra John Lindley e Joseph Paxton (Paxton’s Flower Garden, Vol. 2) è stata ancora pubblicata con lo stesso nome.


Vanda suavis – collezione rio Parnasso.

Accanto al nome originario di specie sono stati affiancati vari sinonimi: Vanda tricolor var. suavis – Vanda tricolor var. planilabris – Vanda suavis Lindl. 1848 – Vanda suaveolens Blume 1849 – Limodorum suaveolens Reinw. ex Blume 1849.
Il motivo di questa incertezza è da ricercarsi nella grande variabilità della forma tipo (tricolor, appunto = tre colori: petali e sepali macchiati di viola/marrone con colore giallo di fondo e labello viola).

Si ritiene che ci siano oltre 50 forme/varietà diverse ed inoltre questa specie è di facile ibridazione naturale con altre specie di Vanda endemiche negli stessi siti della Vanda tricolor.
Un vecchio coltivatore mi spiegò che il distinguo fra Vanda tricolor tipica e Vanda suavis o var. suavis sta tutto nel colore delle maculature (rosso/marrone nella prima e viola scuro nella seconda), questa osservazione è verosimile però è utile tener conto anche delle caratteristiche seguenti:
Le tante varianti con petali e sepali dei fiori dal fondo colorato (generalmente giallo) posti in verticale rispetto a chi li guarda e ben aperti, sono da considerarsi Vanda tricolor, mentre esemplari con i fiori (fondo bianco di sepali e petali), con maculature tendenti al viola-rosso e con le attaccature dei due petali poste orizzontalmente rispetto a chi le guarda fanno riferimento alla Vanda suavis.
Inoltre nella Vanda suavis la caratteristica forma del labello carenato è più stretta e leggermente rivolta verso il basso rispetto alla Vanda tricolor.
Sintesi: fondo bianco, macchie viola-rosso e labello viola scuro = suavis.

Vanda suavis: stampa tratta dalla rivista “The Garden” 1895.

Curiosità: metti un’orchidea nel tuo menù di Natale
Tante ma non tutte le orchidee sono commestibili, nell’antichità l’Inghilterra possedeva una cucina a base di orchidee molto ricca, poi con il tempo le varie ricette andarono in disuso.
Nel XVII° secolo erano consumate in abbondanza anche nel resto dell’Europa, alcune per la malcelata convinzione che possedessero virtù afrodisiache…per la verità, mai dimostrate.
Le orchidee possono essere la base di varie ricette, dal risotto alla Vanda Suavis, alle tagliatelle all’orchidea, al tris di insalata (radicchio rosso di Treviso, petali di Suavis e sepali di Tricolor), ai petali di Cymbidium tracyanum caramellati, alle salsicce mezzanotte impreziosite con petali di Dendrobium speciosum e non da ultimo, tripudio di marmellata alle orchidee tropicali.

Le ricette?  Forse le trovate qua; 

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