Archivio mensile:Novembre 2004

Costruiamoci la serra per le orchidee. Post n°1

Sognando la serra

Collezione Guido De Vidi. Foto 29.11.04
Tutti i diritti sono riservati.


Lc. Dinard ‘Blue Heaven’
Lc. Dinard = Lc. Saint Gothard x C. Dinah (1930)
Registered by Charlesworth Ltd.

Le maliarde tropicali
Le orchidee, raramente facili e molto spesso difficili da coltivare, in ogni caso vanno considerate le nostre maliarde tropicali che in quanto tali richiedono particolari esigenze di vita.

L’incontro con loro comincia sempre per caso e si rimane affascinati da tutto quello che ti raccontano, dall’idea di poter scoprire quello che non si sa della loro vita, storia, letteratura ecc. ma, soprattutto dalla voglia di coltivarle.

I commercianti, dai fioristi generalisti che tengono in negozio anche qualche pianta d’orchidea fino ad arrivare ai venditori specialistici d’orchidee rare, tranquillizzano i neofiti a riguardo della facilità di coltivazione.
Si capisce che i loro consigli non sempre sono spassionati: loro vendono e quindi sta a noi scegliere.

Ormai capita spesso che le orchidee più impossibili, trovino alloggio nelle case di principianti.

Passata l’euforia iniziale e finito l’immaginario viaggio esotico, generalmente dopo qualche giorno, il proprietario comincia a chiedersi: e adesso?

Da questo momento, nell’intimo del neofita avvengono le mutazioni che lo porteranno molto spesso alla determinazione che si tratta di una pianta fra le tante che può quindi seguire comune destino, in qualche caso innescheranno il meccanismo dell’orgoglio che porterà ad approfondire le conoscenze di quella strana pianta, molto raramente prenderà sostanza una sorta di connivenza fra l’orchidea ed il suo possessore: solamente in quest’ultimo caso potrà nascere un collezionista d’orchidee.

Faccio questa premessa per porre l’accento sull’importanza ambientale nella coltivazione delle orchidee “esotiche”; le chiamo esotiche perché nei luoghi d’origine, incontrano condizioni climatiche molto diverse dalle nostre zone geografiche temperate, Italia compresa.

Fatti quindi salvi pochi generi che riescono con qualche accorgimento ad acclimatarsi anche nei nostri spazi abitativi esterni o interni, la gran parte delle 30000 specie botaniche note, abbisogna d’ambienti appropriati ovvero le serre.

Non me ne vogliano le amiche ed amici appassionati che coltivano su spazi di fortuna; nei loro confronti la mia ammirazione è enorme ( è difficilissimo coltivare sui davanzali e sulle terrazze) ma purtroppo il vero miglioramento nel rapporto con le orchidee si ottiene solamente organizzando degli spazi ad uso serra.
Bene, se il problema è la serra – direte voi – allora cercheremo quattrini, spazio e compreremo questa benedetta serra per le nostre sciagurate tropicali.

La frittata è fatta, in commercio non si trovano serre specifiche per le orchidee, ben che va si trova l’involucro esterno che poi bisogna organizzare tecnologicamente per creare i famosi tre parametri che d’ora in poi nomineremo spesso: temperatura – luce – umidità.

Qui comincia il nostro sogno e siccome i sogni non costano, nessuno si senta escluso, neanche la signora “Maria” che per ora coltiva con alterni insuccessi la sua Phalaenopsis sul davanzale.

La burocrazia
Prima di decidere qualità, dimensione e stile della serra dei sogni, per evitare brutte sorprese con la legge, è indispensabile avviare un’analisi della situazione urbanistica del territorio in cui si vive.

La serra, piccola o grande che sia è un immobile e come tale è soggetto alle normative di legge che regolano la pianificazione urbanistica del territorio.

Ci sono leggi e normative Nazionali che s’intersecano con le varie leggi Regionali in materia urbanistica e di tutela del territorio.

A grandi linee le serre si suddividono in due tipologie: serre fisse e serre mobili.
Varie leggi Regionali, specificano i due concetti: sostanzialmente la serra è considerata mobile se è rivolta alla protezione stagionale delle colture e se non è ancorata al suolo con fondazioni od altri sistemi di bloccaggio al sottosuolo, mentre son fisse le serre con fondazioni o muri di cinta.

La distinzione tra serra fissa e serra mobile torna utile perché quest’ultima, con le limitazioni dei piani urbanistici della singola zona in oggetto, può essere installata senza autorizzazione né concessione edilizia.
Ricordo che quanto detto sopra, vale anche nei casi in cui si pensi di installare una piccola serra sulla terrazza o sul poggiolo: in questi casi intervengono anche eventuali vincoli di carattere architettonico.

Come potete capire, oltre i problemi dei costi e delle soluzioni specifiche interne alle nostre serre, intervengono ancor prima a complicare le cose, gli aspetti burocratici, da risolvere prima di avventurarsi in edificazioni incerte.

Molti amici hanno dovuto chiudere con la coltivazione delle orchidee proprio per incompatibilità urbanistiche: prima o poi, il vicino o l’amico “zelante” – leggi invidioso – s’incontra sempre.
Io direi di fermarmi qui.

Prima di entrare nel tema della costruzione, propongo uno scambio d’opinioni, sulle problematiche edilizie relativa alle serre.

Continua….

AIUTO: chi la conosce?

Pleurothallis Ecuadoregna

Fiorisce regolarmente in questo periodo (novembre). Pianta di grandi dimensioni per il suo genere: foglie ovali appuntite, di 10×5 cm. con gambi lunghi anche 20 cm. agli apici si formano diversi steli fiorali muniti di tantissimi fiori color giallo pallido.

Precisazione: le dimensioni che ho riportato si riferiscono alla coltivazione nella mia serra, penso che in natura, siano molto inferiori. Ho notato, soprattutto nelle Pleurothllidinae, una grande differenza di sviluppo rispetto all’origine, seppur già piante adulte a volte triplicano.
Penso possa essere: Pleurothallis floribunda

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osservazioni e commenti.

Iacopo
Ciao Guido, purtroppo non si vede molto, credo che sia praticamente impossibile fotagrafare il fiore con la digitale ma osservando il portamento l’unica a cui mi sento di proporti una similitudine è questa Pleurothallis ghisbreghtiana di un collezionista giapponese. http://papageno.web.infoseek.co.jp/Pleurothallis.htm – Sono rimasto con la curiosità di vedere il tuo O. ornithorhynchum! ciao
Pleurothallis ghisbreghtiana

Guido
Ciao Iacopo, grazie della collaborazione e grazie anche per i tuoi commenti sempre molto amichevoli. Penso che non sia la Pleurothallis ghisbreghtiana, soprattutto per la forma delle foglie e per il periodo di fioritura. Ti faccio vedere le foglie di quella che potrebbe essere la Pleurothallis ghisbreghtiana che ho in serra e poi guarda una “quasi macro digitale con flash?” dei fiori della Pleurothallis in questione: che ne dici? Ciao, ti saluto con un anteprima di fioritura dei miei O. ornithorhynchum.

Colori e profumi

Un bel meristema di penultima generazione

Collezione Guido De Vidi. Foto 24.11.04-Tutti i diritti sono riservati.

Blc. Adam Hausermann’MAGICLAND’
(Mem. Roselin Reisman x Lc. Mattie Share)

Informo gli amanti delle Cattleye ( specie ed ibridi selezionati) che la prossima primavera rinvaserò tutta la collezione. Normalmente sono disponibili due divisioni per pianta. Se vi interessano, fate un fischio!

Spazio aperto

Dialogo con i visitatori del blog.

Commenti

Commento di Daniele1090
Avevo intenzione di cimentarmi nella coltivazione di un paphiopedilum, ma dato che sono ancora un neofita, quale specie mi consiglieresti Guido? Grazie, Dani 🙂
…..Scusate, ma non mi sono presentato 😀 Mi chiamo Daniele e ho 14 anni, ho una phalaenopsis che sono riuscito a farla rifiorire, speriamo bene…. ho visto che molti di voi frequentano il forum di Giardinaggio.it… io sono Daniele1090 😉 Anche se sono ancora un ragazzo e sono alla mia prima orchidea (la classica phalaenopsis, di cui la coltivazione per ora va bene :D) Approfitto di questo messaggio, dato che non ho trovato l’ indirizzo mail di Guido, per chiedere se potresti mettere qualcosa sulla Vanda, mi interessa molto!!! E’ bellissima 😉 PErò prima vedo come va con la phalaenopsis e per la sua fioritura A presto, Dani PS: Complimenti per questo splendido sito-forum 😉 ciaoooo
Domenica 21/11/04 @ 21:32:08

Commento di Michele
Il Paphopedilum venustum del secondo post sui Paphiopedilum è veramente impressionante; chissà poi quando sarà fiorito!! Vorrei avere un consiglio: oggi ho visto alcuni alberi avviluppati dall’edera e mi sono ricordato che tempo fa avevo letto che i fusti ricoperti di radici avventizie dell’ edera possono essere usati come supporto per le orchidee. Tu Guido li hai mai provati? Ciao, Michele
Domenica 21/11/04 @ 21:40:23

Commento di Cinxia
Grazie Guido. Sono affascinata dalla chiarezza, la competenza e la disponibilità che mostri nei confronti di chi ha tutto da imparare. Ah una domanda… io al vivaio ho trovato solo corteccia di pino di pezzatura abbastanza grossa… è possibile usarla magari sminuzzandola?
Domenica 21/11/04 @ 21:49:40

Commento di Fabio
Ciao Guido mi sabaglio o qui si sta gia iniziando la stesura per qualcosa di più importante??? EH EH EH se è così posso dirti che chi ben comincia…. Fabio.
Lunedí 22/11/04 @ 13:20:18

Commento di eleonora
Volevo solo unirmi al commento di cinxia, Guido sei veramente unico. E mi pare evidente che hai una incredibile capacità di contagio del virus delle orchidee.

Dialogo:

Ciao Daniele, ti vedo molto attivo nel forum Giardinaggio e fai molto bene.
Vedere che un ragazzo quattordicenne è così appassionato delle orchidee, mi rende molto felice;
se vuoi cimentarti con i Paphio, parti con quelli del primo gruppo, ad esempio un bel insigne o qualche ibrido… ma vedrai che con la tua passione sarà facile addomesticare le piante.
Nei prossimi post devo parlare delle serre, ma ti prometto di preparare un bel racconto sulle Vanda. Per il momento ti dedico questa scheda di una specie abbastanza rara che in questi giorni è fiorita nella mia serra. Ciao, non mollare e tieni in pugno le orchidee.

Collezione Guido De Vidi. Foto del 24.11.04
Tutti i diritti sono riservati.
Vanda hindsii Lindl 1843.
Il nome deriva da Hinds, botanico inglese vissuto all’inizio del 1800.
Originaria della Nuova Guinea e della Papuasia.

Questa originale specie di Vanda, vive in Australia e nella parte Nord della Nuova Guinea.
La Vanda hindsii è un’orchidea epifita a sviluppo monopodiale che ama vivere in alto sui rami degli alberi, vicino ai grandi fiumi. In qualche caso può vivere anche come litofita, su spuntoni rocciosi in pieno sole a 400 – 500 metri d’altezza sul livello del mare.

Il gambo vegetativo è molto lungo (anche due metri) con foglie ricurve e linguate, di color verde smeraldo; dalle ascelle della parte superiore del fusto, escono gli steli fiorali, portanti 7-8 fiori profumati, rigidi, carnosi e di lunga durata.

In coltivazione questa specie di Vanda, si adatta a varie condizioni e si sviluppa con facilità; la sua principale caratteristica è quella di produrre un estesissimo pannicolo di lunghe radici.

Questa particolare caratteristica vegetativa, rende la pianta di difficile gestione, sia in termini di spazio verticale sia orizzontale, inoltre non è molto generosa nelle sue fioriture e soprattutto esige temperatura calda e moltissima luminosità: quasi in pieno sole.
La coltivazione di questa Vanda è un buon banco di prova per i collezionisti.
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Michele, è vero: con i fusti delle vecchie edere si possono fare dei tronchetti per poggiare le orchidee, io ho provato, ma devo dire la verità, con scarsi risultati. Penso che sia causa della folta (peluria, non conosco il termine tecnico) che si trova attorno al fusto. Michele, vedrai, quando il Venustum sarà in fiore che bomba!!! Ciao
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Cinxia, mi fai arrossire, grazie per le tue parole.
Per la corteccia, è sempre meglio averne di grossa perché con una forbice grossa (quella che i contadini usano per potare le viti) si può sminuzzare secondo le esigenze. Ciao
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Fabio, intanto raccontiamo e poi si vedrà. Sai, con queste prove generali cerco di capire se il filone del raccontare le orchidee in modo vissuto e non cattedratico, è d’interesse per gli appassionati. Ciao.
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Eleonora, grazie. Speriamo di poter rimettere insieme il gruppo del corso e molti altri che nel frattempo si stanno avvicinando alle orchidee. Tu sai miei problemi. Ciao

Conoscere e coltivare i Paphiopedilum 6

La fertilizzazione
Collezione Guido De Vidi. Foto del 22.11.04 – Paphiopedilum: primo piano di coltivazione.
Fertilizzazione, note generali.

Sappiamo tutti che i tre valori alfa numerici riportati sulle etichette dei fertilizzanti si riferiscono ai tre minerali di cui hanno assoluto bisogno le piante: azoto (N), fosforo (P), potassio (K).

L’azoto è un elemento essenziale delle proteine e della clorofilla, il fosforo agisce da catalizzatore e da regolatore dell’attività vitale ed il potassio serve da catalizzatore e regolatore di funzioni particolari, quali la giusta dimensione della pianta.

Pertanto, somministrando nella fase vegetativa primaverile il 30.10.10 che contiene una quantità tripla d’azoto, si agevola la vegetazione, usando il 20.20.20 si alimenta la pianta in maniera equilibrata ed intervenendo con il 10. 30.20 a prevalenza di fosforo, (considerato la dinamite delle cellule viventi), si favoriscono buone fioriture.

Detto questo, nello specifico è importante analizzare a quale popolazione d’orchidee si vuol dar da mangiare e per quali scopi: può essere utile stabilire regole e quantità variabili prestabilite, su popolazioni omogenee e può essere scarsamente praticabile in una collezione di specie diverse.

Per capirci meglio, un produttore di Phalaenopsis per scopi commerciali, trova sicuri benefici da un’alimentazione particolareggiata, così pure un produttore di Vanda, Cymbidium o per l’appunto Paphiopedilum.

Al collezionista generalista, fatta salva la primavera in cui può fertilizzare due o tre volte con 30.10.10, conviene alimentare le sue orchidee in maniera bilanciata: 20.20.20 con dosaggi molto bassi, quasi tutte le volte che bagna le piante.

Il massimo risultato di questo tipo di fertilizzazione, si ottiene attivando un semplice trucchetto: indugiare con la doccia sulle piante che normalmente mangiano di più e scivolar via appena possibile dalle piante che non desiderano troppi minerali.

Così facendo accontentiamo i Paphiopedilum che amano mangiare poco e pure le Vanda che hanno sempre un po’ di fame in arretrato.

Morale del ragionamento: ad un appassionato torna più utile avere tutta la collezione in buona forma e qualche fiore in meno, mentre per il produttore che cerca il massimo risultato, favorire la crescita veloce e la gran fioritura delle sue piante attraverso una fertilizzazione spinta, rende di più in termini di profitto.

Il calcio somministrato nella sua formulazione chimica di nitrato, è necessario alla strutturazione delle pareti delle cellule ed alla regolazione delle loro attività: io l’uso con molta parsimonia. Inoltre, tenuto conto che è già presente nei substrati di coltura ed anche nella composizione dell’azoto,fatta l’eccezione delle orchidee terricole quali i Paphiopedilum, una dose eccessiva di calcio, può risultare tossica.

Dei concimi organici si fa un gran parlare ed in buona sostanza si può affermare che sono naturali e non di sintesi, quindi, portatori di una gamma più completa d’elementi definiti secondari (ferro – magnesio – zolfo – boro ecc), che sono già relativamente presenti nel substrato di coltura o nei tronchetti su cui coltiviamo le nostre orchidee.

I chelati sono delle sostanze organiche capaci di attrarre a se vari elementi minerali e di tenerli disponibili in qualsiasi momento per le piante; quelli combinati con il ferro, tipo il sequestrane, risultano più convenienti, ma anche in questo caso, vale la regola delle specificità che non vige nell’amatorialità.

Alimentazione mirata e controllo della salute.
Abbiamo già capito che i Paphiopedilum sono preminentemente orchidee terricole. Pure quelle che scelgono di vivere in anfratti rocciosi oppure sui rami degli alberi a bassa quota, sono biologicamente strutturati per raccogliere il massimo del loro nutrimento, dal substrato nel quale si sviluppano le loro radici.

Questa loro peculiarità biologica li rende meno dipendenti da forme d’alimentazioni occasionali esterne e le differenzia dalle loro sorelle che poggiano le radici su tutori abilitati più all’abbarbicamento che al nutrimento. In questo secondo caso, le orchidee considerate “epifite” a tutti gli effetti, per loro necessità di sopravvivenza sono costrette a sviluppare un esteso apparato radicale ben disposto ad assorbire con buon rendimento, cibo ed umidità dall’aria e da agenti esterni al substrato di supporto.

In questa sede è appena il caso di specificare che le radici delle epifite, nel loro percorso evolutivo, si sono attrezzate sia per sostenersi con apposite ventose e sia per assorbire umidità ed acqua circostante, quasi come fossero delle spugne.

Faccio quest’introduzione discorsiva per motivare la scarsa necessità di fertilizzazione chimica dei Paphiopedilum ed evidenzio la parola, chimica, per poter dividere in due modi, le forme d’alimentazione dei Paphiopedilum.
Considero alimentazione chimica, l’aggiunta di minerali N P K ed altri secondari, già formulati e sintetizzati chimicamente, sia liquidi sia solidi.

Definisco alimentazione in dotazione, tutto quello che le piante riescono a trovare nel composto del substrato, indipendentemente dall’aggiunta di minerali esterni.

Detto questo, una volta sistemati i nostri Paphiopedilum in un buon substrato, completo di tutte le sostanze minerali a loro utili, si potrà intervenire con l’aggiunta di N (azoto) – P (fosforo) – K (potassio) molto saltuariamente ed in quantità molto blanda.

Quando e quanto fertilizzare.
L’aggiunta di minerali al substrato dei Paphiopedilum è consigliabile effettuarla soltanto nei momenti del loro sviluppo:
– primavera “marzo – giugno”
– autunno “settembre – metà novembre.
In primavera, per sollecitare la crescita dei nuovi germogli, consiglio di usare formulazioni: 30.10.10, mentre nel restante periodo formulazioni equilibrate 20.20.20 oppure 18.18.18. Usate quantità molto basse ( 0,3 grammi per litro d’acqua).
Cercate nel mercato, prodotti solubili in acqua che diano garanzie in etichetta, d’alta solubilità e scarsi sali residui.

Controllo della salute dei Paphiopedilum.
Le piante di Paphiopedilum, forse perché non producono sostanze mielose, sono raramente aggrediti dai parassiti.
Quindi conviene intervenire solamente se si nota la presenza di agenti patogeni esterni.
Consiglio di usare insetticidi sistemici che sono molto efficaci e poco dannosi.

Fortunatamente anche le malattie fungine sono rare.
La miglior cura è prevenire ed un’ottima prevenzione si ottiene coltivando piante sane, vigorose e sistemate in ambiente ordinato e pulito.

Pur adottando tutte le precauzioni, qualche errore si commette sempre, bagnature di troppo, ristagno indebito sui colletti dei germogli ed ecco che si scopre qualche rizoma o foglia basale color bruno scuro: è già in atto una malattia fungina.

L’intervento deve essere deciso ed immediato: agire con un bisturi opportunamente sterilizzato, tagliare tutte le parti infette, 2 centimetri oltre la massima propagazione dell’infezione e poi togliere la pianta dal vaso, eliminare tutte le radici colpite da marciume bruno, disinfettare la pianta mediante l’immersione in una soluzione fungicida (possibilmente sistemica). A questo punto, conviene lasciar asciugare le radici della pianta per almeno una giornata e poi procedere celermente ad un provvidenziale rinvaso.

Come potete notare non faccio riferimenti a nomi specifici per i prodotti da usare, mi permetto di darvi soltanto il consiglio di usare i meno nocivi: le orchidee sanno apprezzare.

Con queste ultime considerazioni chiudo il mio racconto sui Paphiopedilum, sicuramente non completo, pertanto, qualsiasi vostro contributo sarà utile al suo perfezionamento prima di diventare un capitolo del libro famoso.
Ringrazio di cuore tutti i visitatori del blog e soprattutto le amiche ed amici orchidofili che con la loro partecipazione rendono quest’ esperienza viva e dinamica.