Archivio mensile:Novembre 2004

Conoscere e coltivare i Paphiopedilum 5

Bagnature e rinvasi, come e quando.

Quando bagnare le piante.
La prima domanda che un neofita rivolge al coltivatore esperto di Phapiopedilum è di solito la seguente: quando e quanto devo bagnare i miei Paphiopedilum?

Il coltivatore esperto di turno fa buon viso a cattiva sorte e tergiversando, risponde come le sacerdotesse Greche con gli oracoli, al tempio di Delfi: “dipende dal clima e da…. ecc”. In verità questa domanda buttata lì a bruciapelo, infastidisce il coltivatore perché non può dare una risposta soddisfacente, senza dover fare tutta una serie di valutazioni colturali e dei vari modi di annaffiatura.

Il requisito fondamentale da rispettare con le bagnature è quello di non lasciare mai asciugare il composto del substrato.
Come si può ben capire, il mantenimento della costante umidità del substrato, varia in funzione della formulazione del composto, della dimensione dei vasi, dell’alloggiamento della pianta, della posizione della serra e dello stato dell’apparato radicale (radici sane ed in pieno sviluppo, oppure radici ferme o deteriorate).
Ciò detto, potete ben capire quanto è difficile stabilire dei tempi precisi; ad ogni buon conto nelle coltivazioni domestiche, per capire se i nostri Paphiopedilum hanno sete, si può anche procedere al controllo manuale ed approssimativo del peso dei vasi.

Altra regola utile è quella di aumentare la frequenza delle annaffiature proporzionalmente al clima stagionale: massime in estate, molto ridotte in inverno, con particolare attenzione per le piante con il substrato e le radici in crisi.

Considerandola semplicemente come indicazione generale, possiamo affermare che durante la stagione calda bisogna bagnare almeno ogni due giorni e nel restante periodo, una volta la settimana.
Nel dubbio che la pianta sia asciutta non indugiate, bagnatela!

Alla presenza di piante con le radici compromesse, tenetele leggermente all’asciutto; così facendo si sollecita la ricostituzione dell’apparato radicale.

Si consiglia inoltre di bagnare nelle prime ore della giornata e con mattinate soleggiate, questo per consentire alle piante di asciugare le foglie prima delle ore notturne.

Ovviamente, nulla vieta di bagnare anche di notte, in tal caso bisogna prestare attenzione a non spruzzare acqua sulle foglie, in quanto l’asciugatura durante le ore notturne fresche ed umide è molto rallentata: l’acqua stagnante tra le ascelle delle foglie giovani, è veicolo di marcescenze.

Come bagnare i Paphiopedilum.>
Il sistema ideale sarebbe quello di bagnare ogni singola pianta, avendo cura di agire solamente sul composto, ripetendo l’azione finché il substrato è ben fradicio.
Questo sistema è praticabile, quando le piante in collezione sono relativamente poche.
Nelle coltivazioni di Paphiopedilum in serra, l’operazione “bagnatura” che inevitabilmente consiste in una doccia generalizzata, si fa un pochino più complessa e richiede una certa accortezza.

Ovviamente i nostri Paphiopedilum convivono in serra con altri generi di orchidee e molto spesso in situazioni di sovraffollamento, bisogna pertanto evitare di commettere due errori in contemporanea: lasciare all’asciutto qualche pianta e procurare altresì, inopportuni ristagni d’acqua sui colletti dei nuovi germogli.

E’ importante quindi attrezzarsi con un getto doccia non molto violento e usandolo con padronanza, agire tra i vasi, quasi a voler cercare le parti a vista del composto.
Durante quest’operazione manuale, al fine di poter stabilire il tempo di permanenza del getto d’acqua sopra ogni vaso, l’occhio del coltivatore deve scandagliare l’esistente.
Terminata l’operazione della bagnatura, tornerà molto utile fare un controllo generale allo scopo di eliminare con soffi decisi, eventuali ristagni d’acqua sui colletti dei germogli.

Composti per il rinvaso dei Paphiopedilum.
Nel variopinto mondo delle orchidee, non c’è nulla di più intricato della giusta soluzione per il loro substrato di coltura.

I prodotti per realizzare i vari composti sono legati alle diverse zone di coltivazione e quindi alla facilità di reperimento di materiali esistenti in loco.
Sentiremo parlare di, sfagno (muschio acquatico), di bark ( corteccia di pino), fibra d’osmunda ( esteso groviglio radicale di una felce chiamata osmunda regalis), torba, corteccia di cocco sminuzzata, pietra vulcanica, carbone vegetale, roccia calcarea, terra cotta sminuzzata, ecc.
Sono tutti prodotti dai nomi affascinanti, messi al servizio della fantasia dei coltivatori e spesso sembrano più miracolosi quelli più difficili da reperire.
La nostra fantasia nella realizzazione dei composti per orchidee è messa a dura prova proprio con i Paphiopedilum che essendo orchidee semi terricole, sono relativamente più esigenti delle sorelle epifite ( devono trovare essenzialmente nel substrato di coltura, i loro elementi nutritivi).
Non me la sento di elencare tutte le combinazioni, mi limito ad illustrare la mia soluzione, raccomandando di interpretare i miei consigli ed adattarli alle vostre esperienze di coltivazione. Dopo anni di preparazione dei composti per i miei Phapiopedilum, ancor oggi, quando mi accingo ad iniziare la fatidica miscelazione, c’è sempre qualche dubbio che m’induce ad apportare qualche piccola modifica.
La scelta di base parte dalla questa considerazione: utilizzo di materiali facilmente reperibili, che consentano di realizzare c c composto soffice, drenante e che contenga i minerali necessari al nutrimento dei Paphiopedilum.

Prodotti e loro miscelazione
1) – 35% corteccia di pino di media e piccola pezzatura, messa preventivamente a bagno in acqua per almeno tre giorni.
2) – 35% torba di sfagno molto filamentosa.
3) – 20% agriperlite, eolite, pomice equamente miscelate (può anche essere usato solamente uno dei tre componenti, sempre 20% in percentuale totale).
4) – 10% materiale calcareo grossolano, rocce o sassi preventivamente triturati ( sabbia o ghiaino).

Il tutto va depositato in un contenitore capiente per poterlo mescolare energicamente e ripetutamente: a questo punto il composto è pronto per l’uso.
Ultima annotazione: è possibile variare le percentuali secondo la dimensione dei vasi e delle piante (ad esempio per vasi grandi è consigliabile aumentare percentuale e dimensione del bark)

Quando rinvasare.
La regola generale direbbe almeno ogni due anni, nei periodi di sviluppo delle piante e cioè, in primavera (marzo –giugno), oppure in autunno (settembre – ottobre).
In piena estate è sconsigliabile toccare le piante perché sono stressate dal caldo: stesso discorso per motivi opposti, durante la stagione fredda.
Volendo entrare un po’ più nel dettaglio possiamo stabilire che i Paphiopedilum vanno rinvasati quando:

1) – le radici si comprimono troppo all’interno del vaso, al punto da rendere inefficaci le annaffiature.
2) – eccessivo invecchiamento del substrato di coltura.
3) – problemi all’apparato radicale.

Per chiudere l’argomento dei substrati, vi ripropongo la sequenza fotografica del rinvaso del mio Phapiopedilum parishii:

…….Sequenza d’operazioni, per il rinvaso di una pianta di: Paphiopedilum parishii:
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Conoscere e coltivare imPaphiopedilum 4

La grande avventura della coltivazione dei Paphiopedilum.

Collezione Guido De Vidi- Tutti i diritti sono riservati
Paphiopedilum rothschildianum Ex (Reichb.f.) Stein

Finalmente cominciamo a scendere sul concreto.
La traccia che seguirà, tiene conto delle esperienze di molti collezionisti e vi propone le linee guida essenziali, sia per le coltivazioni in serre sia per quelle“domestiche”.
Entrando nei vari aspetti della coltivazione dei Phapiopedilum, mi preme ricordare che nessun parametro può assumere valore se non collocato nell’insieme delle necessità.

Luce per i Paphiopedilum.
Può sembrare strano iniziare con la luce, ma per i Phapiopedilum è assai importante tenerla sotto controllo sin da subito.
Si è detto che i Paphiopedilum e per la precisione quelli appartenenti al primo gruppo, (foglie verdi di piccola dimensione) si prestano con facilità ad essere coltivati in casa o comunque in ambienti all’aperto, direttamente a contatto con la luce del sole: angolo del giardino, loggia aperta, veranda ecc.
Mentre le coltivazioni in serra sono facilmente gestibili in termini di luminosità, all’aperto la giusta luce da dare ai Paphiopedilum è strettamente legata al loro stato di salute.
In altre parole, se le piante hanno il composto in ottime condizioni e un fiorente apparato radicale, possono sopportare con profitto la luce solare leggermente filtrata 30%, se invece le radici sono malconce, sono più soggette ad avvizzimento precoce e quindi bisogna moderare ulteriormente l’esposizione alla luce.

Stesso discorso vale anche per le piante sui davanzali e sulle finestre.
In linea generale i Phapiopedilum vanno inclusi nella fascia delle orchidee amanti della luce debole e quindi anche in serra bisogna trovar loro, zone più ombreggiate. Volendo essere dei puristi, bisogna anche tener conto delle diverse esigenze fra specie e specie ed ibridi conseguenti.
Propongo qualche dato numerico che potrà servire come indicazione di massima.
Preciso subito che questi parametri sono validi per la mia zona (Italia settentrionale), penso che verso il sud, dove si dispone più luce, si debbano aumentare le percentuali d’ombreggiatura.

Da Aprile ad Ottobre: 50 – 70% d’ombreggiatura. Rimanenti mesi luce diretta, massimo 20 – 30% d’ombreggiatura.
Questi dati dovranno essere interpretati dal coltivatore, anche in rapporto alla temperatura ambientale, per individuare quale sarà il posto ideale di coltivazione fermi restando i parametri sopra riportati.

Temperatura e umidità, c’è una linea comune?
La temperatura ideale per i Paphiopedilum, come si è visto nella tabella, varia da specie a specie, ad esempio quelle provenienti dall’Indonesia gradiscono temperature più alte, mentre le Cinesi preferiscono più fresco.
Detto questo però, molti collezionisti coltivano le varie specie alle stesse condizioni di temperatura ed ottengono ugualmente ottimi successi.

Per quanto riguarda le giuste temperature, ci sono tre scuole di pensiero
1-Coltivazione suddivisa in due gruppi: a foglie chiazzate clima caldo e fresco a foglie verdi.
2-Suddivisione in tre gruppi: fresco per le piante di piccola dimensione a foglie verdi, intermedio per le foglie chiazzate e caldo per le piante di grande dimensione, a foglie verdi.
3-Unico spazio di coltivazione e tenuto conto della buona duttilità delle varie specie ed ibridi dei Paphiopedilum, studiare un giusto equilibrio dei tre parametri, “luce, temperatura, umidità”, fra le varie piante in collezione.

La mia esperienza di coltivazione dei Paphiopedilum mi consiglia il terzo punto. Ovviamente, la coltivazione che possiamo definire a temperatura relativa, sarà intrapresa solamente con un buon ambiente e soprattutto quando lo si conosce e si controlla molto bene.

In verità, con i Paphiopedilum, i problemi colturali legati alla temperatura si manifestano in maniera più pesante in estate piuttosto che in inverno. In estate le specie d’alta quota e gli ibridi derivati, si stressano perché nelle nostre zone non c’è un grande sbalzo termico fra notte e giorno e quindi si consiglia di attrezzare gli spazi dove alloggiano le nostre piante, con dei ventilatori.
Vedremo più avanti che i ventilatori saranno utili anche per prevenire malattie alle piante.
I luoghi d’origine dei Paphiopedilum, sono molto umidi e quindi il fattore umidità ambientale nelle coltivazioni è altrettanto importante degli altri due, analizzati poc’anzi.

Umidità ambientale
Nelle coltivazioni in serra, il “cooling” ed il “fog” ci vengono in aiuto per creare umidità controllata, a grandi linee possiamo stabilire un valore minimo invalicabile del 70% relativo. Nelle coltivazioni domestiche, per aiutare le nostre piante è molto utile usare umidificatori ad ultrasuoni che ora si possono trovare a costi abbordabili.
La movimentazione dell’aria circostante le piante è indispensabile per garantire salute alle piante, un ambiente di coltivazione non ventilato non potrà mai essere sano e le piante saranno in balia di aggressioni patogene di vario tipo.

Sintesi finale:
a)– Luce moderata, all’aperto con piante in salute si può anche eccedere dalla norma.
b)– Temperature, trovata la via mediana si possono coltivare specie che in natura richiedono esigenze diverse in un unico microclima: cautela nelle notti estive.
c)– Umidità, fattore importante che va in ogni modo di pari passo con una sana movimentazione dell’aria.

Conoscere e coltivare i Paphiopedilum 3

Viaggio sul pianeta dei Paphiopedilum Post n° 3

Miti storie e botanica.

Molti nomi d’orchidea si richiamano alla matrice culturale Latina, ma le fondamenta provengono dalla mitologia Greca.
Per dare una risposta a quest’enunciazione, prendiamo ad esempio: Cypripedium e Paphiopedilum.
Venere è la dea dell’Amore e della bellezza, leggeremo più avanti che la stessa divinità durante la civiltà greca si chiamava Aphrodyte
La prima leggenda è legata al nome Cypripedium calceolus, orchidea terricola Europea, da tutti conosciuta come “scarpetta di venere”.
Narra la leggenda che Venere, durante una passeggiata insieme con Adone, furono sorpresi da un violento temporale. I due cercarono riparo, ma lo spazio esiguo ed il desiderio di stare vicini fece perdere una scarpetta alla divinità.
Passata la tempesta cercarono la scarpetta, ma non la trovarono perchè fu macchiata da un “mortale” che nel frattempo era corso a raccoglierla.
Prima che fosse possibile raccogliere la scarpetta di Venere, questa si trasformò in un fiore di cui il petalo centrale o “labello” fu modellato a forma di scarpetta, mantenendo anche il colore dell’oro con cui era stata fatta.
Il botanico svedese Carl Linnaeus, studiando la pianta alla quale doveva assegnare un nome, si ricordò della leggenda di Venere e della sua scarpetta perduta. Decise di chiamarla Cyprid (isola di Cipro sacra a venere) e pedilom che in greco significa (scarpa, sandalo, pantofola)
L’epiteto calceolus è il diminutivo del latino calceous che significa (copripiede sottile) da cui anche “calza”

Echeggiando questa idea, Ernst Hugo Heinrich Pfitzer, più un secolo dopo dispose le orchidee asiatiche sudorientali con il fiore a forma di scarpa, in un nuovo genere chiamato Paphiopedilum, una combinazione fra le parole Paphos e pedilon.

Quando Pfitzer ha deciso di assegnare a questo genere di orchidee il nome di Paphiopedilum si è ispirato alla mitologia greca e precisamente ad alcune divinità mitologiche: Aphrodite, divinità greca dell’amore, che con la sovvrapposizione della civiltà romana a quella greca, assume poi il nome di Venere.

Varie leggende mitologiche convergono su un evento traumatizzante e nellostesso tempo carico di significati:
….”Fu proprio nella spuma del mare che ribolliva lì davanti, fra gli scogli intorno alla grande roccia di Petra Tou Romiou, che Aphrodyte prese forma la prima volta, apparendo subito di una tale bellezza da stupire persino gli Dei.
Quando il Caos e l’universo si unirono, narra una leggenda, nacque il tempo: Kronos
Questa immagine straordinaria già evoca il mistero della creazione con un significato ed una immagine filosofica inquietante.
Esiodo trasse da questo episodio il mito del tempo che si ribella al cielo e Kronos armato di una falce evira suo padre Urano (il cielo) e getta nelle onde le spoglie della sua virilità perché non procreasse ancora.
Abbandonate nel pelago, le spoglie fecondatrici del cielo, vagarono lungamente nei flutti sino a che non presero forma sulle rive di Cipro presso Paphos concretizzandosi nella più bella e più importante manifestazione,dell’universo:
La bellezza e l’amore uniti insieme”…
Altra leggenda mitologica racconta invece che…”Nella Città di Paphos, teneva la sua corte “Bacco” il dio del vino.
Bacco, divinità molto focosa, per impreziosire le cerimonie e le feste di corte esibisce spesso ai suoi ospiti molte giovani nubili e belle, rimanendo però sempre vigile sulle sue ancelle.
Sembra che in un’occasione Orchis divinità minore, ospite a corte del dio Bacco, abbia avuto l’impertinenza di prestare troppe attenzioni alle giovani presenti.
Chi conosceva “Bacco” sapeva che non era consigliabile comportarsi con spavalderia a corte ma Orchis, ignaro, continuò a manifestare il suo particolare interesse, finché “Bacco” in preda all’ira ordinò di evirare Orchis e di gettare le parti della sua virilità, lontano dove mai avessero da toccare terra.
Per questo furono gettate in mare, ma una parte toccò terra e lì nacque le prima orchidea, invecele spoglie mascoline finali del giovane Orchis vagarono nelle acque e dall’unione con le onde spumeggianti del mare ebbe origine Aphrodite. Il nome Paphos deriva da Paphinia che è giusto il secondo nome di Aphrodite”…
Aphrodite o Paphinia, è figlia di “Orchis”, padre di tutte le orchidee, ed i Paphiopedilum sono oggi, uno dei tanti generi di orchidee sparsi per il mondo.

Collezione Guido De Vidi. Foto 08.06.04-Tutti i diritti sono riservati.
Paphiopedilum callosum (Rchb. f.) Steinver.
Dopo aver individuato la classificazione scientifica del genere e sistemato per bene i nostri Paphiopedilum all’interno dei tre gruppi canonici di temperature e prima di addentrarci nelle varie strategie e tecniche di coltivazione, ci soffermiamo ancora un po’ sulla suddivisione interna alle specie, comprese le relative ed inevitabili disquisizioni di studiosi e botanici.

Opinioni a confronto
Negli anni 80, a riguardo della sistemazione tassonomica del genere Phapiopedilum, si sono scontrate due linee di pensiero.
Per semplicità nominiamo due nomi di spicco nel mondo della tassonomia: Braem e Cribb.
Braem ed altri, dando più peso alle caratteristiche morfologiche delle varie specie, raggruppano il genere Phapiopedilum in 5 sottogeneri (Brachipetalum- Polyantha- Parvisepalum – Paphiopedilum- Sigmatopetalum) e varie sezioni.

Cribb e compagnia, seguendo un loro filone sull’evoluzione delle varie specie di Phapiopedilum, ritengono di poterle rappresentare con un numero ridotto di sottogeneri e sezioni.

Penso che per noi sia sufficiente prendere atto di questo lavorio mentale dei professori; chi vuole documentarsi con più cognizione di causa nel merito, non ha che da cercare tra la bibliografia cartacea ed informatica.

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All’inizio di questo viaggio sul pianeta dei Paphiopedilum, ho chiesto le vostre osservazioni che sono giunte numerose e molto pertinenti. Nel prosieguo del mio racconto spero di poter trovare giusti consigli per tutti.

Primo gruppo di commenti:

Commento di Alberto.
Leggo che i paphiopedilum sono di facile coltura, pensavo sinceramente il contrario. Puoi indicarmi per cortesia le specie più “rustiche” che potrebbe coltivare un inesperto assoluto come il sottoscritto. ciao Alberto

Commento di Lisa.
Salve a tutti, io ho appena acquistato una paphiopedilum insigne var. sanderae…se la metto in terrazza-veranda chiusa, non riscaldata ma attaccata alla cucina x cui t° intorno ai 10-15°di inverno e luce ma non sole diretto può andare bene???non vorrei darle le cure sbagliate xchè e il mio primo paphiopedilum. Grazie a tutti bye bye

Commento di Cinxia.
Anche io oggi ho comprato il mio primo Paphiopedilum. Ho intenzione di tenerlo nell’ entrata di casa, chiusa ma non riscaldata e molto luminosa… è buono come posto? Qui tengo anche 2 cymbidium (da alcuni giorni ho notato i primi steli floreali) e 2 oncydium. In casa invece al calduccio tengo le Phalaenopsis. Il mio dubbio riguarda il Dendrobium (non ho idea a quale tipo appartenga)… meglio in casa al caldo o in entrata al fresco? Ringrazio e mi scuso se ho fatto mille osservazioni che non riguardano solo i Paphiopedilum

Commento di Stefano.
Il mio ibrido di pahio nonostante abbia due getti nuovi non cresce da 4-5 mesi… e le temperature a cui lo tengo si aggirano intorno ai 18-20 gradi.. secondo te puo’ essere questo il motivo? Ho notato che forse pero’ dopo tanto tempo sta facendo una fogliolina nuova dal centro… mi chiedo però se le temperature di casa vadano bene. mah????? grazie ciao ciao

Paphiopedilum gratrixianum (Mast.) Guillaumin 1924 Subgen Paphiopedilum Sec. Paphiopedilum Karasawa & Saito 1982.

Commento di Scatolina.
Ciao Guido, ti scrivo gli ultimi aggiornamenti per quanto concerne i miei due Paphio. Quello malconcio del quale mi hai dato il terriccio per il rinvaso, sta ingiallendo alcune foglie più vecchie, ma la cosa non mi preoccupa troppo perchè in linea generale la pianta non sembra patita, anzi ora con la sistemazione attuale sono sicura si riprenderà (si, lo so forse sono un pò troppo ottimista). In merito all’altra pianta, quella che mi ha regalato tu (approposito, com’è che si chiama? Ho perso la mail col nome)…. Eccolo in foto a sinistra… dopo lo stress del viaggio e la perdita di quel fiore in boccio che aveva, ora sta finalmente dando segni di ripresa sviluppando una foglia giovane. Per ora è tutto, ti terrò informato. Ciao e grazie ancora per il tuo aiuto! Chiara

I Paphiopedilum sono insieme alle phalaenopsis botaniche le specie di orchidee che più amo. Ne ho diverse da un paio di anni. Mi piacerebbe avere qualche consiglio per vederli fioriti un po’ più spesso. Ne esistono di profumati? La forma del labello ha una sua funzione specifica? Che differenza esiste in sostanza tra i paphiopedilum ed i phragmipedium visto che si somigliano così tanto? Che una è monopodiale e l’altra no? Ciao Fabio
E poi ancora: Qual’è la prima specie ad essere stata importata in Europa? Che dimensioni possono raggiungere? Da quale tipo di insetto vengono impollinate? Scusa sai Guido ma se chiedi domande con me sfondi una porta aperta ne ho talmente tante da farti…:) Ciao per ora

Commento di Eleonora.
Ciao Guido, ci risentiamo. A proposito dei Phapiopedilun vorrei sapere se dopo la fioritura, (l’ho preso a Passariano a settembre e penso che la sua fioritura mi delizierà ancora per un mesetto circa, straordinario! é un ibrido chamberlanianum) posso tenerlo in serra calda? Ti anticipo che ho iniziato la mia prima esperienza di serra in miniatura, o meglio sto cercando di simulare l’ambiente della serra calda in un acquario dismesso, con impiego di umidificatore(forse sovradimensionato) filo riscaldatore per terrario, lapillo e corteccia di fondo e ventolina da raffreddamento per computer per ventilare (pensi che sia necessaria anche una ventola aspirante?) Non ti scandalizzare per il mio esperimento, lo so che é difficile creare un ambiente stabile in piccoli spazi ma volevo partire per gradi prima di approdare a una serra di grosse dimensioni, che comportano impegno economico, molta dedizione e soprattutto molto tempo di cui attualmente non dispongo. Dimmi che cosa ne pensi. Ciao Guido e a risentirci a presto.

Commento di Sara
Ciao Guido, ma è vero che i Paphio amano l’acqua leggermente calcarea? devo averlo letto sul libro di Halina Heitz,e mi è sembrata una cosa quanto meno singolare dato che in genere le orchidee mal sopportano il calcare…Sara

Commento di Andrea
Ciao Guido, sono rimasto un po’ “sconvolto” quando ho letto che i paph rotschildianum richiedono temperature da phalaenopsis. ho sempre saputo il contrario. che devo fare? mi interessa perchè ho un rotschildianum hybrid.

Più avanti riprenderemo i discorsi specifici di coltivazione, però, siccome ho già notato del panico in giro per il web, cercherò di focalizzare sin da subito le problematiche sollevate.

Parto dall’obiezione di Andrea: anch’io ho sempre generalizzato sul colore delle foglie verdi, ma la differenziazione colturale in termini di temperatura fra le piante a foglie verdi di piccola e grande stazza, le argomentano i maggiori esperti dell’Associazione Giapponese dei Paphiopedilum e quindi in linea teorica io mi adeguo.
Quando ti parlerò delle mie condizioni di coltura, vedrai che non c’è di che allarmarsi: i Phapio si sanno adeguare.

Sara, l’acqua calcarea per i Phapio va bene (dirò più avanti che nel composto va messo del materiale calcareo) basta non bagnare le foglie perché si macchiano di bianco.

Eleonora, Perfetto! Non mi scandalizzo anzi invito tutti a copiare la tua ingegnosità, frutto ovviamente, anche delle lezioni del corso!!

Fabio, per rispondere alle tue domande bisognerebbe parlare della storia di tutta la sottofamiglia delle Cypripedioideae. Allora, sì ci sono dei Phapio leggermente profumati ma è la forma del labello molto particolare, l’arma di seduzione per gli insetti impollinatori che possono essere api ed
anche colibrì.
Sia i Paphiopedilum sia i Phragmipedium sono entrambi a struttura simpodiale, la differenza più evidente sta nella diversità dei labelli. Le prime piante di Paphio giunte in Europa, mi pare che siano il venustum e l’insigne. I Paphio possono raggiungere anche i settanta cm. D’altezza.

Alberto, Lisa, Cinxia, Scatolina e Stefano, spero che quanto già scritto e quel che seguirà, vi possa essere utile.

Con il prossimo post si parte con la coltivazione:
1- Luce per i Paphiopedilum.
2- Temperatura e umidità, c’è una linea comune?
3- Ventilazione quale garanzia di salute per le piante.

Tecniche pratiche per far crescere bene i Paphiopedilum.
1- Come e quando bagnare le piante.
2- Composti per il rinvaso dei Paphiopedilum.
3- Il giusto periodo del rinvaso.
4- Fertilizzare correttamente.
5- Controllo dei parassiti e delle malattie fungine.

Continua

Conoscere e coltivare i Paphiopedilum 2

Continua il viaggio sul pianeta dei Paphiopedilum

Sono molto felice per l’interesse che sta riscuotendo questo tema, i vostri quesiti serviranno da traccia, via via che cominceremo a trattare i temi specifici della coltivazione.

Collezione Guido De Vidi – foto del 15.11.04 – diritti riservati

Paphiopedilum wardii Summerhayes 1932
Primi passi

I maggiori timori dei neofiti che si accingono alla coltivazione dei Phapiopedilum, derivano soprattutto dalla lentezza con la quale si sviluppa questo genere di orchidee.
Effettivamente i Paphiopedilum si sviluppano lentamente, tuttavia, se possiamo fornirgli condizioni climatiche buone, riusciranno a svilupparsi, anche se non si notano radici nuove in formazione.

Fornire condizioni climatiche buone, significa dar loro, temperatura, umidità e luminosità ideali.
Normalmente, per percepire la regolarità dello sviluppo delle orchidee, basta verificare il buono stato vegetativo del loro apparato radicale, ma con i Phapiopedilum, l’equazione non è sempre funzionante perché appunto, nella loro crescita, s’inseriscono varianti dovute all’andamento stagionale, alla loro particolare caratterizzazione biologica ed al loro bagaglio genealogico.
In certi casi le radici dei Phapiopedilum smettono di crescere anche per un anno intero mentre il ceppo vegetativo prospera regolarmente e non sarà certamente possibile controllare continuamente il substrato per capire la salute delle piante.
Possiamo quindi sostenere, che coltivare Paphiopedilum non è un’impresa difficile basta tenere sempre presente che abbisognano di continue ed amorevoli cure.

Alcuni principianti desiderano avere subito specie rare. A mio avviso non è consigliabile partire con piante costose ed anche difficili da coltivare, per tanti motivi conviene dedicare le prime attenzioni e cure alle povere piante orfanelle, che rimangono invendute nei vari Garden ed in ogni caso, scegliere varietà poco esigenti.

Altro errore da non commettere quando si cominciano a frequentare coltivatori esperti è quello di copiare le loro soluzioni tecniche.
E’ pur vero che le condizioni ideali di coltura vanno percepite con l’occhio, ma nello stesso tempo non si può non tener conto delle inevitabili differenze dei vari ambienti e soprattutto dell’esperienza accumulata dal vostro occasionale maestro che gli consente di interpretare in maniera più spregiudicata l’esigenza colturale delle sue piante.
Detto questo, è fuori dubbio che nelle fasi iniziali del vostro approccio con i Paphiopedilum è assai utile la possibilità di attingere esperienze dal bagaglio dei coltivatori esperti.

Giova però ricordare che non sono né le tecniche né i prodotti chimici magici a risolvere i problemi della crescita delle vostre piante è altresì l’esperienza e la sensibilità accumulate nel tempo a portarvi al successo. Dovete credere nelle vostre possibilità e non farvi prendere dal panico con i primi errori. Gli errori aprono le porte ai successi.

Cominciamo a conoscerli da vicino.
La coltivazione dei Phapiopedilum è talmente popolare nel mondo, che in diversi Paesi – Giappone, Inghilterra, USA ecc – molti collezionisti d’orchidee fanno capo ad attivissime Associazioni monogeneriche esclusivamente dei Paphiopedilum.
Questo racconto non vuole essere un trattato scientifico e quindi nelle sue esposizioni seguirà la via della semplicità e dell’immediatezza. Ciò nonostante, per cogliere appieno l’importanza di questo genere d’orchidee è utile scomodare per qualche istante la sua classificazione tassonomica.

Provenienza: Sottofamiglia Cypripedioideae che include: Cypripedium, Paphiopedilum, Phragmipedium e Selenipedium.

Un breve cenno è d’obbligo alla nostra Cypripedium calceolus ( scarpetta di Venere) anch’essa collocata nella grande Sottofamiglia delle Cypripedoideae: simboleggia l’origine del nome composto Greco.

Nome scientifico: Paphiopedilum Pfitz. Sottofamiglia Cypripedoideae
E’ un’orchidea a sviluppo simpodiale, non possiede pseudobulbi, ma ceppi fogliari posti a ventaglio ed ancorati ad un rizoma basale molto compatto dal quale si snoda un esteso apparato radicale caratterizzato da peluria.
I Paphiopedilum producono un’infiorescenza rigida ed a volte pelosa che può avere uno o più fiori che si aprono nello stesso momento o in sequenza.
La maggior parte delle specie di Paphiopedilum conosciute, vivono nelle pianure asiatiche, alcune si sviluppano in zone elevate: Himalaya.

Le oltre 50 specie oggi conosciute e provenienti dall’India del sud, Nuova Guinea e le Filippine, sostanzialmente si collocano in un certo numero di gruppi basati sui loro requisiti colturali:

Gruppo 1
Vegetazione con foglie verdi a fiore singolo. Le specie e gli ibridi appartenenti a questo gruppo, ad esempio: Paphiopedilum insigne, Paphiopedilum spicerianum, Paphiopedilum leeanum possono essere coltivati con temperature relativamente fresche e quindi molto adatte per i nuovi coltivatori che hanno limitate disponibilità di mezzi e di spazi.

Gruppo 2
Vegetazione con foglie chiazzate e generalmente a fiore singolo. Le specie e gli ibridi che s’identificano in questo gruppo, ad esempio: Paphiopedilum concolor, Paphiopedilum bellatulum e Paphiopedilum Maudiae, necessitano di temperature più elevate (per avere un riferimento ormai in uso, vanno coltivate in ambiente da serra intermedia per le Cattleya).
Nel gruppo delle piante a foglie chiazzate, il Paphiopedilum venustum che in natura vive a quote elevate, richiede la sua brava eccezione e può essere incluso tranquillamente nelle esigenze colturali del primo gruppo.

Gruppo 3
Piante di grande dimensione con foglie verdi e fiori multipli a fioritura simultanea o in successione. Le specie e gli ibridi che rientrano in questo gruppo, ad esempio: Paphiopedilum stonei, Paphiopedilum rothschildianum, richiedono temperature ancora più elevate di quelle appartenti agli altri gruppi.

Paphiopedilum venustum [Wall. ex Sims] Pfitz.

Fortunatamente quindi, guardando le foglie della maggior parte delle piante, possiamo capire facilmente i loro requisiti di temperatura. Ovviamente ci sono sempre le eccezioni, ad esempio per gli ibridi intergenerici evoluti, le distinzioni non sono di coltivazione non sono chiare e nette.

Paphiopedilum rothschildianum (Rchb.f.) Stein, Orchideenbuch 482 (1892). Distribuzione: Borneo (Mt. Kinabalu).

Alcune specie di Paphiopedilum sono epifite, altre semiterricole, la maggior parte però sono terricole e vivono in spessi strati di sedimenti composti da humus, muschio e foglie.
Qualche altra specie di Paphiopedilum si sviluppa anche su sedimenti rocciosi, la maggior parte dei loro habitat è a livelli di umidità abbastanza elevata tutto l’anno.
Con la coltivazione dei Paphiopedilum, assume importanza rilevante l’ossigenazione delle loro radici, poiché, pur richiedendo abbondanza di umidità, il loro substrato non deve essere stagnante e soffocante. Per questo motivo la giusta composizione del substrato di coltura di queste orchidee è essenziale.
Inoltre la mancanza di pseudobulbi, naturali riserve d’acqua per le piante che li possiedono, obbliga al mantenimento di una costante umidità delle piante, durante tutto l’arco dell’anno.
Continua.

Conoscere e coltivare i Paphiopedilum 1

Viaggio a più mani sul pianeta dei Paphiopedilum. Post introduttivo.

Paphiopedilum… tanto amati ed altrettanto desiderati.

Collezione Guido De Vidi foto del 15.11.04-tutti i diritti sono riservati.
Paphiopedilum fairieanum (Lindl.) Stein
Al genere Paphiopedilum, forse appartengono le più affascinanti orchidee asiatiche. La bellezza dei suoi fiori, turgidi e consistenti è quasi sinistra.
Le straordinarie fioriture dei Paphiopedilum, che in alcune specie o ibridi, possono essere ammirate anche tre o quattro mesi, collocano queste piante ai vertici dei desideri degli orchidofili.

Le diverse specie di Paphiopedilum fioriscono in epoche differenti e si possono quindi ammirare i loro fiori tutto l’anno. Una delle qualità apprezzabili di queste piante (fatte salve poche eccezioni) è la loro facilità di coltura.
Gli appassionati d’orchidee che non possiedono una serra possono tranquillamente coltivarne un vaso o due su di un davanzale, o in deliziose oasi domestiche del verde.

Le specie, con qualche eccezione per quelle rare, non sono costose e con pochi Euro è possibile acquistare anni di gioia.
Le 50 o più specie oggi conosciute sono originarie dell’Asia tropicale, Malesia e delle isole vicine. Alcune crescono ad altitudini abbastanza elevate, sulle catene montuose dove cade pioggia abbondante e dove le temperature sono fresche; vivono su strati di vegetazione in decomposizione oppure su sporgenze o in crepacci di rocce calcaree, parzialmente coperte dall’ombra delle pareti sovrastanti o dagli alberi. Altre specie vivono in regioni meno elevate dove le temperature sono più alte.

Questo viaggio tra i segreti dei Phapiopedilum mi piace iniziarlo, a partire proprio dalle vostre domande e perché no anche dalle vostre esperienze.
Pertanto, prima di iniziare il mio racconto, aspetto i vostri quesiti… a presto Guido.