Archivio mensile:Agosto 2006

Biologia delle orchidee

In uno dei post precedenti si è sviluppato un interessante dibattito sulla “sintesi clorofilliana” e più in generale, sulla biologia delle orchidee.
Ho pensato bene di portare questo argomento a livello di post e per introdurlo ho ripreso questo sintetico e quanto mai utile lavoro di Christian, già pubblicato sul quaderno di Orchids Club, distribuito gratuitamente in occasione di Pordenone orchidea edizione 2005.

Biologia delle orchidee e delle piante
di Christian Pozzobon – biologo

Vanda coerulea-collezione Guido De Vidi- diritti risevati
Esiste una stragrande varietà di forme e strutture delle piante. Guardando il nostro mondo con attenzione si possono trovare piante con altezze che vanno da qualche centimetro fino a piante che superano le decine di metri. La cosa che ci attrae di più in una pianta sono i fiori che essa produce i quali possono avere una varietà di forme e colori da lasciarci incantati di fronte alla loro bellezza. Le orchidee sono degli organismi vegetali che possiedono una miriade di varietà di fiori da distinguersi sicuramente nella loro bellezza estetica. Nonostante la loro differenza estetica, tutte le piante a seme (comprese le orchidee) fanno vedere forti somiglianze nella struttura di base.
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Angraecum magdalenae

La Regina degli Angraecum

E’ una pianta molto compatta a crescita lenta, con 6 – 8 foglie distiche, carnose, coriacee, irregolarmente bilobate agli apici e bracteate.
Gli steli fiorali, corti e rigidi, si formano nella stagione calda, spuntano sotto la prima foglia e sono dotati di 2 e più fiori bianchi, fragranti, grandi e carnosi.
Il profumo dei fiori è delicato, persistente giorno e notte e richiama varie fragranze mescolate insieme: cannella, noce moscata e vaniglia con piglio pepato.
Angraecum magdalenae – foto22.08.06 – collezione Guido De Vidi-diritti riservati


Angraecum magdalenae Schltr. & H. Perrier. (1925)
Sezione: Humblotiangraecum

Questa specie è considerata la regina degli Angraecum.

Un fiore sempre fragrante e molto affascinante, conosciuto anche con il nome popolare di “Fiore bianco della neve”.

Descrizione
Angraecum magdalenae è una specie monopodiale, litofita, endemica nel Madagascar e vive sugli altopiani rocciosi di quarzite a 800-2000 metri d’altitudine.
Questa specie può essere trovata nelle foreste di Uapaca in zona centrale del Madagascar a sud di Antsirabe; Mont Ibity.
Nei luoghi d’origine l’Angraecum magdalenae vive in siti molto ventilati e luminosi, con periodi invernali freddi ed asciutti.
Queste caratteristiche vegetative sono molto importanti per capire l’ambientazione in coltivazione.
Per la verità, questa orchidea pur adattandosi notevolmente a condizioni vegetative diverse dalle originali è abbastanza esigente: gli errori si pagano cari perché è una pianta compatta, riluttante alla stagnazione d’acqua durante il periodo freddo e secco, sia tra le ascelle delle foglie, che nel substrato del composto, inoltre è molto lenta nella sua crescita.

Con il trascorrere degli anni ho notato che nella mia collezione l’Angraecum magdalenae si è facilmente adeguato alle condizioni, per lui, non ideali (luce e temperatura) della serra, ma si è sempre dimostrato molto riluttante alle bagnature invernali (marciume radicale).

Nella fase vegetativa il composto del substrato deve mantenere sempre umide le radici, ma non fradice.
Miscela del composto usato nei miei rinvasi: bark di media pezzatura mescolato con poca torba di sfagno e pezzetti di ghiaia macinata.
E’ molto importante garantire buona ventilazione dell’ambiente circostante, la pianta giovane può essere tenuta anche a media luminosità, ma quando è adulta, per ottenere fioriture copiose è utile trovare un posto più luminoso.
L’alimentazione di questa orchidea non si discosta dalle indicazioni generali: concime equilibrato 20.20.20. con microelementi, 1 grammo per litro d’acqua da somministrare ogni 15 -20 giorni, solamente nella fase vegetativa (sospendere la concimazione durante il freddo secco).
Altro accorgimento utile è quello di garantire alla pianta, un periodo invernale fresco ed asciutto: tenere il substrato appena umido ed evitare bagnature e/o nebulizzazioni alle foglie fino a Gennaio.
Non ho mai coltivato l’Angraecum magdalenae su zattera ma credo che prima o poi proverò.

Pomeriggio (tardo) del 23 Agosto 2006.
Nella foto si vede Christian, di Orchids Club, mentre sta impollinando un fiore della pianta descritta in questa scheda…sperando che le cose vadano per il meglio, ci diamo appuntamento al prossimo anno per le semine.

Il dott. Christian Pozzobon è laureato in biologia e lavora come ricercatore all’Azienda Ospedaliera di Verona.

Annotazione utile per le semine: le capsule seminali (lunghe 7,5 e larghe 2,5 centimetri) maturano in 310 giorni circa ed i semi germinano in 7_8 settimane.

Nota: le notizie e le descrizioni di ogni post del blog sono supportate da ricerche sulla lettratura esistente e sul web, ma si riferiscono esclusivamente a esperienze di coltivazione su orchidee presenti nella mia collezione.
Eventuali errori o incompletezze possono essere rimediati dalla vostra collaborazione.

Phalaenopsis “Millefoglie”

Ecco un esempio di buona e semplice coltivazione sulla finestra

Elisa, un’amica delle orchidee friulana, che vive in Carinzia (A), forse anche per colpa mia è caduta pure lei nella rete delle maliarde, ma a quanto si vede, con risultati eccellenti.
Messa così la cosa può sembrare la solita sviolinata di incoraggiamento, invece voglio proprio presentare la Phalaenopsis di Elisa perchè è un classico da manuale.
E’ un’ibrido commerciale, ma quest’aspetto ha poca importanza: quel che conta è la sua ottima salute.

Con Elisa dialoghiamo via e-mail ed anche sul blog (forse per soggezione, quando ha bisogno di consigli inerenti alle sue piante mi contatta via e-mail quasi a voler separare le nozioni generali da quelle specifiche).
Anche in questa occasione ha scritto una e-mail per esternare i suoi incredibili risultati di neofita. La cosa mi ha sorpreso non poco, e sì perchè generalmente giungono SOS per catasrofi, ma mai per esternare la propria sorpresa. Le ho chiesto di inviarmi qualche foto.

Ecco, la sua risposta…con foto

Ciao Guido!
Sei stato molto gentile a rispondere subito, anche se magari le Phal non rientrano nei tuoi interessi principali (questo mi sembra valga un po’ per tutti i più assidui frequentatori del blog, che sono decisamente esperti e si dedicano a specie più “difficili”. Beh, come hai scritto tu una volta, le generose Phal possono essere coltivate anche dal neofita più inesperto…è questo il mio caso e io lo faccio con grande passione! In realtà le maliarde mi hanno fatto cadere nella loro rete perchè ora ho ben 18 piante che tu, ogni volta e molto gentilmente, mi aiuti a catalogare. Grazie davvero!).

Nelle foto vedi l’orchidea con tutte le sue belle foglie e radici: le foto non sono il massimo (boh, con la macchina digitale, da vicino, non mi riescono mai!) ma rendono l’idea! Ti ho anche inserito una foto che risale ad aprile, quando la pianta era in fiore. Carina, vero? Certo, le tue Phal. fasciata sono qualcosa di eccezionale…ma si parte dal piccolo, no???
Fra un po’ ti spedirò la foto di un mio dendrobium che (incrociamo le dita!) pare stia facendo spuntare “qualcosa” che fa pensare a un fiore, così magari mi aiuti a capire di che dendrobium si tratta.

Ti chiedo un’altra cosa: gli steli vecchi (2) non li ho tagliati perchè non sono secchi. Lo dovrei fare? E il trucco della settimana di fresco e niente acqua si può provare senza forzare troppo la pianta o è comunque uno stress per lei?

Grazie mille per tutto e…se ci sono problemi e incomprensioni (io sono così ingenua che non avevo mai percepito, piu di tanto, attacchi al blog) anche da parte mia ti arriva una grande solidarietà, perchè la disponibilità che trovo in te (e non mi conosci neppure!!!) non me l’ha mai data nessuno!
Grazie ancora!

Si dirà, cosa c’è di tanto eclatante da scomodare il manuale?

Intanto lo sviluppo è perfetto (ricordiamoci che la coltivazione è casalinga), si nota un leggero periodo di fermo all’altezza dei 2 steli, forse procurato da rinvaso e/o periodo di fioritura, ma poi la pianta è partita decisamente, ha allungato il podio vegetativo ed ha formato varie nuove foglie: ora ha quasi completato la sua fase stagionale di crescita.
Detto questo, desidero evidenziare due particolarità: è rinvasata in un vaso di cotto ed ha prodotto sane e turgide radici esterne.
Il vaso di cotto ha sicuramente preservato radici e pianta da marciumi e batteriosi, certo, con il vaso di cotto bisogna prestare più attenzione alle disidratazioni, ma è proprio questo, il primo merito da ascrivere ad Elisa.
Secondo particolare degno di analisi: la pianta ha prodotto radici esterne al substrato e come vedete nella foto, sono rivolte verso l’alto (vi lascio con la curiosità del perchè di questo fenomeno – lo trattermo nei commenti del post).
Lasciare o tagliare gli steli vecchi? E’ sempre un dilemma, in teoria, con una pianta così in salute è bene lasciarli, ma tagliandoli alla base le si consentirebbe di dedicare tutte le sue energie al completamento dello sviluppo stagionale. Nuovi steli rigogliosi si formeranno subito dopo.
Il trucco dello stress freddo? Nelle coltivazioni industriali lo applicano alle Phalaenopsis, non appena hanno terminato lo sviluppo (ultima foglia bella grande e nessun’altra in formazione nel colletto centrale) e consiste in alcune settimane di “fresco costante” 15 gradi con pochissime bagnature. Dalla buona riuscita di questo ciclo dipenderà l’abbondanza di steli fiorali…e per i produttori sono soldini perchè il prezzo varia a secondo del numero di steli per pianta.
Nelle coltivazioni casalinghe è possibile copiarlo, direi che è sufficente una settimana di carestia…magari più avanti.
Elisa, per il taglio degli steli, aspettiamo ancora , ma se più avanti non vedrai gemme che spingono e si ingrossano, direi di toglierli.

Substrato per Paphiopedilum

Nota: le notizie e le descrizioni di ogni post del blog sono supportate da ricerche sulla letteratura esistente e sul web, ma si riferiscono esclusivamente a esperienze di coltivazione su orchidee presenti nella mia collezione.
Eventuali errori o incompletezze possono essere rimediati dalla vostra collaborazione.

Regole generali per preparare i composti dei Paphiopedilum
La pianta esposta nella foto sotto è il frutto dei consigli che ci accigeremo a leggere: mostrare i risultati della coltivazione è buona regola per tutti.

Paphopedilum callosum – collezione Guido De Vidi-diritti riservati

Sollecitato da una domanda dell’amica Roberta mi accingo ad illustrare le caratteristiche dei composti per rinvasare Phapiopedilum.
Prima di iniziare il post, consulto l’archivio del blog e questa volta do anche una letta al capitolo V° del libro “Paphiopedilum Grower’s Manual” di Lance A. Birk, fresco di arrivo.
Con mia piacevole sorpresa, noto che le considerazioni generali dei miei post coincidono con quelle del libro, riprendiamole e confrontiamole insieme, con le raccomandazioni di Birk.

Lance A.Brik introduce il capitolo dei rinvasi con questo sotto titolo ” The potting medium in which you choose to grow your orchids must be compatible the conditions which they are grown” e poi sintetizza le caratteristiche generali delle azioni e dei composti per effettuare i rinvasi.
Requirements for a Potting Mix:
Support – Areation – Moisture retention – Slow decomposition – Low cost – Light weight.

Ora diamo una letta alle indicazioni di un vecchio post del blog leggi tutto il post.

Composti per il rinvaso dei Paphiopedilum.
Nel variopinto mondo delle orchidee, non c’è nulla di più intricato della giusta soluzione per il loro substrato di coltura.

I prodotti per realizzare i vari composti sono legati alle diverse zone di coltivazione e quindi alla facilità di reperimento di materiali esistenti in loco.
Sentiremo parlare di, sfagno (muschio acquatico), di bark (corteccia di abete), fibra d’osmunda (esteso groviglio radicale di una felce chiamata osmunda regalis), torba, corteccia di cocco sminuzzata, pietra vulcanica, carbone vegetale, roccia calcarea, terra cotta sminuzzata, ecc.
Sono tutti prodotti dai nomi affascinanti, messi al servizio della fantasia dei coltivatori e spesso sembrano più miracolosi quelli più difficili da reperire.
La nostra fantasia nella realizzazione dei composti per orchidee è messa a dura prova proprio con i Paphiopedilum che essendo orchidee semi terricole, sono relativamente più esigenti delle sorelle epifite (devono trovare essenzialmente nel substrato di coltura, i loro elementi nutritivi).
Senza elencare tutte le combinazioni possibili, mi limito ad illustrare la mia soluzione, raccomandando di interpretare i consigli ed adattarli alle vostre esperienze di coltivazione. Dopo anni di preparazione dei composti per i miei Phapiopedilum, ancor oggi, quando mi accingo ad iniziare la fatidica miscelazione, c’è sempre qualche dubbio che m’induce ad apportare qualche piccola modifica.
La scelta di base parte da questa considerazione: utilizzo di materiali facilmente reperibili, che consentano di realizzare composto soffice, drenante e che contenga i minerali necessari al nutrimento dei Paphiopedilum.

Prodotti e loro miscelazione
1) 35% corteccia d’abete di media e piccola pezzatura, messa preventivamente a bagno in acqua per almeno tre giorni.
2) 35% torba di sfagno molto filamentosa.
3) 20% agriperlite, eolite, pomice equamente miscelate (può anche essere usato solamente uno dei tre componenti, sempre 20% in percentuale totale).
4) 10% materiale calcareo grossolano, roccia o sassi preventivamente triturati ( sabbia o ghiaino).

Il tutto va depositato in un contenitore capiente per poterlo mescolare energicamente e ripetutamente: a questo punto il composto è pronto per l’uso.
Ultima annotazione: è possibile variare le percentuali secondo la dimensione dei vasi e delle piante (ad esempio per vasi grandi è consigliabile aumentare percentuale e dimensione del bark).

Lance A. Birk nel prosieguo del suo libro (se siete appassionati dei Paphiopedilum vi consiglio caldamente di cercarlo) fa una disamina dei vari prodotti (osmunda, bark, sfagno, torba di sfagno, cocco, roccia, perlite e, cosa molto interessante, sabbia silicea, così come uso io nei miei composti, ecc.), ma in ultima analisi pone l’accento su due aspetti: che la soluzione da adottare varia secondo le zone in cui si coltivano le piante e soprattutto che sia di basso costo e facilmente reperibile.
Niente prodotti miracolosi dell’ultima ora, ma solamente un giusto equilibrio della miscela scelta, in rapporto anche alla dimensione del vaso.
Quest’ultima osservazione, sembra ovvia, ma molto spesso si esagera nella loro dimensione, che non deve concedere più i 2-3 centimetri di spazio attorno alla pianta, la quale, appena rinvasata va tenuta ferma con appositi tutori affinché possa riprendere facilmente il suo sviluppo radicale.
Ricordiamoci infine, che il rinvaso ideale non esiste, mentre i buoni risultati dipendono al 90% dai nostri errori ed esperienze…ed il rimanente 10% dai consigli.

Un Angraecum speciale

La fioritura del mio angraecum eichlerianum, Kraenzl 1882.

angraecum eichlerianum
Quando sono entrato per la prima volta nella serra di Guido mi era rimasto impresso questo Angraecum. Da settembre dello scorso anno è nella mia serra, posto nella zona più luminosa e calda, la pianta in anno si è radoppiata ed ha prodotto alla base una nuova piantina. Come già spiegato da Guido in questo post, ha la caratteristica di abbarbicarsi su di un supporto, nel mio caso un pezzo di sughero.