La CARTA DI SOAVE… io ci credo ancora

Eravamo agli inizi del nuovo millennio, il set orchidofilo era caratterizzato da una suggestiva mostra nel castello di Soave (VR)… e guarda un po’ cosa vien fuori dagli scaffali della mia memoria.

CONSIDERAZIONI
Leggendo questa, che suggestivamente, allora battezzammo (CARTA), come a volerle dare forza di EDITTO, ognuno darà la sua interpretazione, ma tutti dovranno convenire che quello fu un vero momento unitario e forse l’inizio di un vissuto coordinato.
Suona sinistro leggere certi nomi scolpiti sulla carta e vederli ora, a distanza di anni, paladini di altre avventure dai contorni strapaesani.
Ne è passata dell’acqua sull’orchidologia italiana, sono stati commessi anche tanti errori, tante omissioni e tanti peccati.
La carta di Soave, a seconda dei contesti, viene dipinta come una sciagura, oppure come uno spartiacqua verso una solida strutturazione dell’orchidologia italiana.
Sono successe tante cose dopo Soave, alcune brutte, altre importanti, ma gli obiettivi fissati nero su bianco allora, albergano ancora nei desideri e nei sogni.
Chi è venuto dopo, stampando una smorfia sul suo viso, dirà: “archeologia del passato, ora ci siamo noi, guardati attorno, è tutto un fiorir di mostre!”
Chi lo sa se è poi tutta salute sto ambaradam di eventi nati in altri tempi con altri scopi e con altri attori: quello che è certo è che chi doveva assumere il ruolo di coordinatore, non l’ha saputo fare, o non è riuscito a fare.
Che dire? L’orchidologia italiana sembra essere tornata al feudalesimo, dove regnavano piccoli feudatari locali, l’opposto di una moderna visione dello stare insieme: gli eventi sono scollegati e a volte in contasto fra loro, spesso al servizio di interessi privati e per questo, lontani da quei livelli che la carta di Soave intendeva, e perché no, intende ancora raggiungere.
Non è mai troppo tardi.

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