Archivio mensile:Febbraio 2020

C. Aqui-Finn ‘Nature’s Best’ ACC/AOC

Cattleya Aqui-Finn è un ibrido originato da Hausermann nel 1974. E’ un incrocio fra C. Suavior x C. Irene Finney (1964).

Genere: Cattleya grex C. Aqui-Finn, premio Australian Orchid Council

AOC no. Nome pianta PremioPropietario
2274C. Aqui-Finn ‘Nature’s Best’ACC/AOC 1998 (SA) 75.70Slobodian T. & W.
C. Aqui-Finn ‘Nature’s Best’

C. Aqui-Finn ‘Nature’s Best’ (C. Suavior Aquini x C.Irene Finney) splash-petal Questo clone è un po’ l’emblema di tutta una serie di ibridi comunemente definiti “splash-petal”.
E’ un ibrido abbastanza robusto (pianta di dimensione medio – grande), produce fiori di 10-12 cm di diametro, consistenti e molto duraturi: un bellissimo clone da non farsi mancare nella collezione.
I caratteri fondamentali sono indubbiamente quelli della Cattleya intermedia (varietà o sottogenere) Aquinii, che produce fiori con i petali bianchi vistosamente macchiati di porpora alle loro estremità. Cattleya intermedia è diffusa in centro america lungo le coste del sud est e sud Brasile, in Uruguay e nel nord Argentina, abbastanza comune lungo le coste del Brasile e molto apprezzata dai collezionisti brasiliani, noti per la ricerca spasmodica di tutte le varietà possibili, di ogni loro orchidea autoctona.

Oncidium bifolium: storia di orchidee e di emigrazione

Era da tanto tempo che sentivo parlare di grandi piante di Oncidium coltivate all’aperto in Liguria, ma prima d’ora non avevo mai avuto modo di approfondire la notizia. A dire il vero mi è sempre sembrata una mitizzazione più che una notizia verosimile.
E’ tutta vera, invece! Tempo fa ho toccato con mano (come si suol dire) la mitica pianta secolare di Oncidium bifolium ed ora vi racconto la sua storia.

Oncidium bifolium: fiori

L’avventura Italiana dell’Oncidium bifolium è legata ai flussi migratori nel Sud America dei secoli scorsi. In vari periodi, vaste fette della nostra popolazione hanno cercato fortuna o più semplicemente sussistenza, emigrando in diversi paesi del mondo; moltissime son le associazioni di “Italiani nel mondo”.
La Liguria, e soprattutto la cittadina costiera di Chiavari, nei secoli scorsi fu terra d’emigranti, specie nel continente sudamericano. Traccia dei movimenti migratori rimangono negli alberi genealogici dei chiavaresi e nelle molte vie dai nomi inequivocabili (Corso Buenos Aires, Corso Montevideo, Corso Valparaiso, Corso Lima…)

Chiavari:

Chiavari, capovalle della Fontanabuona, situata nel Golfo del Tigullio è tuttora definita “la città più argentina d’Italia”. Sui quotidiani locali le notizie sui paesini dell’entroterra si trovavano spesso nella stessa pagina insieme con quelli di Buenos Aires o Valparaiso. Le strade, le piazze, gli edifici pubblici della zona portano ancora oggi nomi sudamericani, e nei circoli e nei caffè dei paesi liguri gli “americani” si riunivano per parlare spagnolo e celebrare la festa dell’Indipendenza dell’Argentina.
Gli “americani” così chiamati, erano i tanti emigranti di ritorno, sia quelli che l’America non l’avevano trovata, sia quei pochi, che invece avevano fatto fortuna.

Palazzo Rocca: scorcio

Palazzo Rocca – Chiavari.
Palazzo Rocca Costaguta è un‘antica dimora gentilizia il cui nucleo originario fu commissionato dalla famiglia Costaguta a Bartolomeo Bianco fra il 1626 e il 1635.
Palazzo Costaguta, poi Grimaldi, quindi Pallavicini e infine Rocca, dal nome dell‘ultimo proprietario.
Palazzo Rocca fu costruito, come si è già scritto, nel 1629 su progetto dell’architetto Bartolomeo Bianco per conto della famiglia Costaguta; nel’700 fu più volte rimaneggiato dai nuovi proprietari, i Pallavicino e i Grimaldi, e ceduto nel 1903 a Giuseppe Rocca, un chiavarese arricchitosi in Argentina.
Annesso al palazzo omonimo, il parco Rocca (oggi pubblico) si sviluppa lungo la collina, alle spalle della villa. La prima sistemazione organica che lo riguarda risale al XVIII secolo, in occasione dell’ampliamento del palazzo verso levante ad opera dei Grimaldi; ma l’allestimento attuale – progettato dall’architetto genovese Polinice Caccia e realizzato dalla ditta Bernasconi di Cornigliano – è del 1908, e fu voluto dalla famiglia Rocca, che aveva acquistato il complesso pochi anni prima (1903).
In linea con la trasformazione del palazzo – che divenne un’abitazione alto-borghese, arredata con gusto eclettico tardo ottocentesco e dotata di illuminazione elettrica e altre innovazioni tecnologiche – i nuovi proprietari adeguarono anche la fastosa cornice verde della loro dimora ai propri gusti ed esigenze.

Le orchidee tornano con gli emigranti
Giuseppe Rocca, emigrante fortunato, è vissuto per molti anni in Argentina, dove probabilmente ha avuto modo di conoscere ed apprezzare la flora esotica, che poi al suo ritorno ha voluto riprodurre nella sua nuova dimora chiavarese.
Forse lui stesso introdusse nel nuovo parco, insieme alle tante piante esotiche, anche varie specie di orchidee del centro e sud America, compreso il tanto amato Oncidium bifolium.

Chiavari: scorcio.

L’Oncidium bifolium fu sistemato all’aperto nel parco, sui tronchi degli aranci, dove si trovò subito a suo agio.
Molte orchidee cominciarono a diffondersi anche nelle costiere circostanti e in quei tempi non era difficile scorgere ceppi attaccati agli ulivi ed aranci dei giardini.
Con il trascorrere del tempo e con il paziente lavoro dei giardinieri, forse anch’essi emigranti di ritorno, il parco si arricchisce di nuove essenze ed è diviso in diverse aree: il lecceto, le conifere, il camelieto, il palmeto, le piante grasse, il roseto, i bambù, le serre monumentali con le orchidee, il tutto è abbellito con giochi di grotte, laghetti e ponticelli. Passa qualche anno ed il nostro Oncidium bifolium (una varietà d’alta quota con la caratteristica di mostrare gli steli fiorali con gli pseudobulbi ancora giovani), all’evidenza mostra di saper resistere anche ai seppur miti inverni temperati della costiera Ligure. Nel frattempo, qualche divisione della pianta (per fortuna), trova posto nel giardino di un bravo giardiniere del parco.

Il Palazzo Rocca diventa pubblico
Il palazzo, agli inizi del 900 è abitato dal nipote del proprietario Giuseppe Rocca, Luigi Daneri, che alla morte, come da indicazioni testamentarie dello zio è destinato a pubblica Galleria d’arte (1912).
Poi il Palazzo Rocca ed annesso parco, diventano proprietà del Comune di Chiavari. Il tutto è aperto al pubblico dal 1987, Palazzo Rocca Costaguta diventa pinacoteca, secondo le volontà di Giuseppe Rocca a cui si deve, sulla scorta delle trasformazioni già operate dai Grimaldi, l‘attuale aspetto di dimora borghese.
Oggi il percorso si può leggere seguendo un triplice matrice: il museo della città; il museo dell‘abitare e, appunto, la pinacoteca.

Le orchidee del parco non vanno d’accordo con il pubblico
Il famoso Oncidium bifolium, che si era adeguato molto bene al clima Ligure, non è riuscito a resistere alle attenzioni del pubblico e presto nel parco di Palazzo Rocca, di questa orchidea botanica si son perse le tracce. Per fortuna, grazie a quel giardiniere, che molti anni addietro sistemò la famosa divisione nel suo giardino, ora possiamo ancora ammirare il vecchio ed ormai secolare Oncidium.

Storia Un bel mattino, squilla il telefono dell’ufficio dei Fratelli Giorgi (famosa famiglia di vivaisti di Lavagna), all’altro capo del filo, una voce femminile racconta la storia di un’orchidea presente nel suo giardino, attaccata ad un tronco d’arancio ormai morto e chiede se sono interessati all’acquisto.
Alessandro Giorgi, grande conoscitore di orchidee, coglie subito l’importanza della notizia e si raccomanda di non toccare ne dividere i ceppi.
L’arancio con l’ultima testimonianza di un’orchidea esotica vissuta per un secolo all’aperto in Italia è ora custodito nei “Giardini dei Giorgi” a Lavagna.

Grande esemplare di Oncidium bifolium. Nella foto si può ammirare la dimensione della pianta abbarbicata ad un tronco di arancio, gelosamente custodita da Alessandro Giorgi, appassionato (lui dice ex) e gran conoscitore del mondo delle orchidee.

Visita ai Giardini dei Giorgi

…”Più avanti – quando ormai la gestione dell’azienda era passata ai quattro figli di Antonio, (Giulio, Alessandro, Cesare ed Emilio) – giunse l’epoca dell’orchidea, per la quale la famiglia Giorgi nutrì un vero e proprio amore. Coltivata nelle serre di Lavagna, veniva commercializzata in Italia e all’estero, anche grazie alla collaborazione con aziende cardine del mercato come Vacherot et Lecoufle di Parigi. Sono trascorsi gli anni, Giulio ed Alessandro non ci sono più, attualmente l’attività – attualmente è gestita da Cesare, Antonio (figlio di Alessandro) e Pietro (figlio di Giulio). Link al sito: http://www.giardinodeigiorgi.it/GiardinoDeiGiorgi_2-0/la
Durante la mia visita alle serre, stante l’abbondanza vegetativa dell’Oncidium, mi son sentito autorizzato a chiedere ad Alessandro se potevo avere un piccolo ricordo: mi è stato risposto un no motivato – “desidero non toccare la pianta” .
In quell’occasione non avevo con me la macchina fotografica e pertantotornai il giorno dopo per immortalare la pianta con una foto. Appena arrivato nel vivaio, Alessandro mi racconta la storia dell’esemplare e giunto in prossimità della pianta, sposta il grande vaso per metterla in giusta posa e ad un tratto scorge un piccolo ceppo (due pseudobulbi ed un nuovo germoglio) caduto sul composto del vaso: con un gesto di rassegnazione e di amicizia me lo regala: ora anch’io ho un piccolo testimone da custodire: grazie ad Alessandro e al destino.

Nota finale: Come già scritto sopra, è trascorso un po’ di tempo dai racconti di questo post, ad ogni buon conto desidero rievocarlo (aggiornato) in ricordo di due bravi coltivatori di orchidee che ora non sono più fra noi: a Giulio ed Alessandro Giorgi

Oncidium bifolium coltivazione di Andrea Vaccari nel suo giardino

Oncidium cariniferum

Oncidium cariniferum: fiore

Anche ai coltivatori di lungo corso, capita di veder fiorire per la prima volta, una specie della quale non si conosceva il nome. Provenienza Costarica, giunse nella mia collezione nel 1998. In questi mesi ferddi, la pianta ha dovuto svernare a temperature basse e con poca luce, col senno di poi (i fiori mi hanno consentito la classificazione), erano le condizoni ideali per lei, ed eccola in fiore: questo post è dedicato alla perseveranza, dote indispensabile ad un coltivatore amatoriale.

Oncidium cariniferum (Rchb. f.) Beer 1854 Oncidium cariniferum vive in Costa Rica e Panama. Cresce sui rami più grandi nella foresta montana inferiore ad altitudini da 1000 a 2400 metri sul livello del mare.
Sinonimi: Collare-stuartense cariniferum (Rchb.f.) Senghas & Bockemühl 1997; Miltonioides carinifera (Rchb.f.) Senghas & Luckel. 1997; Basionimo Odontoglossum cariniferum Rchb. f. 1852; Odontoglossum hastilabium var. fuscatum Hook 1856. Questa specie è stata descritta da Johann Georg Beer nel 1854. Origine del nome di specie: da carena “chinata” dei sepali.


Oncidium cariniferum è una specie epifita di medie dimensioni da clima freddo, con pseudobulbi ovoidi, solcati, lunghi 9-12 cm., sottesi da brattee foliacee con due foglie apicali.
Fiorisce in primavera, autunno e inverno su steli ramificati che possono raggiungere anche uun metro di altezza. Sepali e petali lunghi 3 cm, all’esterno verdognoli, ma di un interno marrone-violaceo, distintamente increspati sul retro. Labello bianco-giallastro, sessile, ligulato alla base. Colonna allungata, con ali crenulate trasparenti, il suo letto di antera appena marginato.


Oncidium cariniferum necessita di un livello leggero di luce ancor più ombreggiato per le piante giovani. Le foglie diventano blu rossastre se ricevono troppa luce, invece verde scuro indicano una luce insufficiente. Una leggera abbronzatura delle foglie e dei bulbi più vecchi indica che la luce è buona per la fioritura.
Oncidium cariniferum può essere coltivato in condizioni di temperatura fredda. In estate, l’intervallo di temperatura ottimale è compreso tra 8°C e 26°C. In inverno, ha bisogno di una temperatura notturna minima da 4 a 13° C, con temperature diurne da 10 a 17°C. Nel loro ambiente naturale le temperature notturne possono scendere a 5°C e sebbene tollerano basse temperature fino a 0°C, non tollerano le gelate.
Umidità:
Questa orchidea preferisce livelli di umidità relativa tra il 55-75%. Viene solitamente coltivato in vaso utilizzando una miscela di i perlite e corteccia sminuzzata o in muschio di sfagno e perlite (70:30) come substrato.
Irrigazione:
Ocidium cariniferum ama l’acqua abbondante e richiede frequenti annaffiature nei mesi più caldi, il substrato non deve mai asciugarsi. Durante l’estate bagnare ogni 2-3 giorni, tuttavia durante l’invernole frequenze potrebbero scendere a una volta ogni 10-14 giorni. Si consiglia nebulizzare ogni giorno con tempo molto caldo.
Fertilizzante:
Questa pianta richiede frequenti applicazioni di fertilizzanti da metà a un quarto di forza tutto l’anno, ma meno in inverno. Applicare fertilizzante ogni 2 settimane in fase di sviluppo e mensilmente quando la pianta è in riposo.

Jumellea stenophilla

Jumellea stenophilla

Quest’anno ha deciso di farmi una bella sorpresa mostrandomi addiritura due bellissimi fiori colore bianco-verde.

Jumellea stenophilla: fiore

Jumellea Schltr., 1914. Il nome del genere è un omaggio al botanico francese Henri Lucien Jumelle (1866-1935). Descrizione del genere Jumellea è un genere di orchidee con circa 40 specie originarie del Madagascar, delle Comore, delle Mascarene e dell’Africa orientale. Il genere Jummellea è composto da specie epifite o litofite che si caratterizzano per le infiorescenze singole, con fiori di colore bianco, con sepali e petali di uguale lunghezza, saldati alla base, e un labello intero, con solco centrale collegato all’orifizio dello sperone; il gimnostemio contiene 2 pollinii globosi o subglobosi.
Le diverse specie si differenziano in base alla lunghezza dello sperone, alle dimensioni dei fiori, alla presenza o assenza di fusto, alla forma delle foglie.

Altre osservazioni Le specie del genere Jumellea sono diffuse prevalentemente in Madagascar, ove è concentrata la maggiore biodiversità, in alcune isole dell’oceano Indiano occidentale (Comore, isole Mascarene) e nell’Africa centro-orientale.Il genere Jumellea comprende circa sessanta specie. La particolarità di questo tipo di orchidee è di mostrare una grande variabilità nella dimensione dello sperone. Lo sperone è una modifica di un particolare petalo dei fiori di orchidea: il labello. Questo sperone è, nel genere Jumellea, un tubo di dimensioni variabili che contiene nettare cercato dalle falene. Queste falene sono attratte dal dolce odore di fiori al crepuscolo. Cercano il fiore dal suo colore bianco e lo impollinano prendendo il nettare dal fiore.

Biologia La riproduzione della maggior parte delle specie di Jumellea è legata alla impollinazione entomofila da parte di farfalle notturne della famiglia Sphingidae. E’ stata anche documentata la possibilità di autoimpollinazione, come nel caso di Jumellea stenophylla, quale adattamento evolutivo dovuto all’assenza di impollinatori in nuovi habitat di recente colonizzazione. Per merito di Darwin, si sa che le orchidee angraecoide a sperone lungo sono note per la loro affascinante relazione evolutiva con le falene (Sphingidae) del Madagascar. Ma recenti studi sulla biologia riproduttiva della Jumellea stenophylla endemica nell’isola Reunion evidenziano che nonostante la specie mostri fiori con la tipica sindrome da impollinazione sfingofila (cioè la lunghezza dello sperone era in media 137,9 mm, il volume medio di nettare era di 6,1 µl e la concentrazione di nettare era del 10,7% di zucchero in equivalente saccarosio), non richiede impollinatori per ottenere frutti. Rispetto ad altre orchidee impollinate da insetti pronubi la longevità dei fiori è molto breve, dura meno di 5 giorni e la specie non emette il caratteristico profumo notturno, forte e dolce. Come si è scritto precedentemente l’autoimpollinazione è una conseguenza di modifiche ambientali. Su Reunion, tale sistema di fecondazione non è raro nelle specie a sperone lungo e sembra sia legato all’assenza di impollinatore specifico non presente nell’isola.

Jumellea stenophilla: fiore

La specie: Jumellea stenophylla (Frapp. ex Cordem.) Schltr.1915 Nome comune Jumellea dalle foglie sottili. Jumellea stenophylla (Frapp. Ex Cordem.) Schltr., Beih. Bot. Centralbl. 33 (2): 430 (1915).
Sinonimi omotipici:
Angraecum stenophyllum Frapp. ex Cordem., Fl. Riunione: 200 (1895).
Sinonimi eterotipi:
Jumellea penicillata (Cordem.) Schltr., Beih. Bot. Centralbl. 33 (2): 430 (1915).
Jumellea gracilipes Schltr., Repert. Spec. Nov. Regni Veg. 18: 324 (1922).
Jumellea ambongensis Schltr., Repert. Spec. Nov. Regni Veg. Beih. 33: 288 (1925).
Jumellea esilia Schltr., Repert. Spec. Nov. Regni Veg. Beih. 33: 293 (1925).
Jumellea imerinensis Schltr., Repert. Spec. Nov. Regni Veg. Beih. 33: 296 (1925).
Jumellea unguicularis Schltr., Repert. Spec. Nov. Regni Veg. Beih. 33: 304 (1925).
Descrizione:
Piante acaulis, alte 16-40 cm, foglie 5-7 di dimensioni variabili (8-40 cm x 4-15 mm), lingulate, rigide e più o meno pieghettate nel senso della lunghezza. Infiorescenze leggermente più corte delle foglie o uguali a esse. Sepali lineari-lanceolati, spessi e subottusi. Petali lineari-acuti, più lunghi dei sepali, ma più stretti. Labello dilatato apicamente e completamente attenuato o acuminato-acuto (romboide-ellittico, romboide-ovale e acuto); sperone filiforme. Colonna a forma di ascia, con gli angoli ottusi, l’inferiore più grande del superiore. Antera emisferica, asportata davanti con un dente piccolo e ottuso nel seno.
Habitat:
Jumellea stenophylla cresce epifita nella foresta di muschio a quote elevate (da 1.400 a 2.000 metri). È endemica nelle montagne del Madagascar centrale. Fiori tra novembre e maggio.
Coltivazione:
Questa specie va coltivata come la maggior parte delle Jumellea: in vaso con corteccia di abete medio, luce media e temperature intermedie. Questa miniatura a sviluppo lento raramente supererà un vaso da 8 – 10 mm.

Orchidee…dalla Puglia con passione

Nella rivista Gardenia, mese di Febbraio, ho avuto il piacere a la sorpresa di leggere un bellissimo sevizio Di Mariangela Molinari (foto Ferruccio Carassale) che racconta le passioni botaniche di due cari amici: Margherita e Daniele Gamberini. Con questo post desidero condividere con voi lettori, qualche mia impressione ed uno “scampolo” di quelle pagine dedicate ad una sensazionale esperienza di vita.

Qualche mese fa ricevetti una telefonata da Daniele, che, sapendo della mia intenzone dichiudere con le orchidee, chiese conferma e avutala manifestò il suo desiderio di avere qualche pianta della mia collezione. Mi sono sentito onorato. Siamo rimasti d’accordo che gli avrei inviato una rassegna fotografica di un possibile pacchetto di esemplari. Fu così che Antonio, un comune amico trevigiano, portò in Puglia una ventina di specie. Non si parlò mai di soldi, ma di valori umani: “tu produci buon olio d’oliva” – dissi – “fai tu, io amo l’olio d’oliva!” Il baratto, come si usava fare un tempo, da parte mia la gioia di sapere al sicuro le mie creature e nel contempo di poter condire le insalate con olio sopraffino.

Con Margherita e Daniele ci conosciamo da una vita, una coppia solare, sai, quelle persone che il “feeling” nasce subito e spontaneo. Non so se la loro passione per le orchidee sia nata prima o come conseguenza dei loro viaggi nei posti più disparati del Pianeta. Penso che anche il loro amore sia stato frutto della condivisione del viaggiare. E’ stata un’altra coppia fantastica, Renata Feltrin e Antonio Polloni, nostri amici montebellunesi e loro compagni di tante avventure a propiziare la nostra conoscenza. Loro trevigiani, Daniele bolognese e Margherita friulana, oggi vivono gran parte dell’anno in terra di Puglia a coltivare ulivi e a soddisfare le passioni per l’ambiente. Daniele e Margherita sono anche impegnati nel sociale e stanno dalla parte degli indifesi, dei piccoli coltivatori che vedono sparire i loro ulivi secolari, minacciati da malattie e da scelte politiche sbagliate.