Archivio mensile:Luglio 2020

L'uva di Sant'Anna

Prologo: fine luglio anni 50, un racconto semplice.

Storie e ricordi.
I ricordi della mia infanzia non spaziano nella vita opulenta dell’aristocrazia, ma emergono da uno stentato palcoscenico fatto di vita umile e servile. Siamo in quel Veneto povero, contadino, sul finire degli anni 40 del secolo scorso. Ero bambino, non superavo i 5 anni di età. La mia famiglia viveva lavorando un piccolo fondo, nemmeno 4 campi di terreno, a mezzadria. Poco frumento, poco mais, e poca uva per fare il vino da dividere a metà con il padrone.

La mia casa
La casa dove vivevo non era dotata di corrente elettrica, la “luce” sarebbe arrivata con il “miracolo economico degli anni 60” l’illuminazione notturna era data da lumi a petrolio. Il gabinetto era fuori, vicino alla concimaia. Poche stanze, essenziali e risultava difficile distinguere gli spazi dedicati agli animali, da quelli esclusivi di uso domestico, tutto girava in funzione della sopravvivenza famigliare. L’apoteosi dell’uso promiscuo avveniva in primavera con la coltivazione dei bachi da seta.
Nella stalla c’erano due mucche ed un asino, quello era l’unico “vano” della casa ad essere riscaldato (dal fiato degli animali), luogo prediletto nelle lunghe e fredde notti invernali, dove si trascorrevano le serate a fare “filò”; i vecchi raccontavano vecchie storie con personaggi dai nomi che incutevano paura “la Lumiera, el Massariol” e si giocava alla “Tria”, ricordo che si stava bene.

La frutta per noi bambini ce l’andavamo a raccogliere nei campi e come si suol dire oggi era anche biologica… noi si diceva “salvarega”. Non c’era gran varietà: “pometi” (piccole mele che maturavano a fine giugno) de San Piero, “amoi de San Giovanni” (prunus selvatici che maturavano in corrispondenza della festa di San Giovanni), ed era una bella festa per noi bambini di Pero. Potevamo anche raccogliere piccole pesche che crescevano su alberi stentati dei campi del vicino. Ma fra tutti spiccava la mitica uva delle primizie che maturava a fine luglio: l’uva di Sant’Anna che per me era tabù!.
Chissà per quale motivo tutta la frutta era dedicata a qualche santo… non l’ho mai capito, forse serviva di promemoria ai contadini, quasi tutti analfabeti, per cadenzare i lavori della terra.

La pergola d’uva.
La casa guardava a mezzogiorno su un grande cortile di terra battuta, con marciapiedi di sassi del Piave e una grande vite di uva Isabella sistemata a pergola, che abbracciava tutto il lato sud. Ogni inverno quella lunga vite veniva potata con maestria da mio nonno Antonio – “lasciami povera e ti farò ricco” – usava dirmi, mentre sfoltiva i tralci. Per la verità la pergola era formata da due tipi di uva, L’uva Isabella e l’uva di sant’Anna, così nominata perché per il 26 di Luglio festa di sant’Anna, quest’ultima iniziava già a maturare ed era la prima uva, bella, di un colore bianco dorato. Ma, quei grappoli d’orati che troneggiavano sopra gli occhi di un bambino, non si potevano toccare finché non erano tutti maturi. La vendemmia, o meglio i migliori grappoli sistemati in una cesta di vimini, erano le primizie da portare alla “siora parona” nella sua villa padronale ubicata vicino alla chiesa del paese.

Solamente dopo questa obbligata ritualità servile (il padrone a fine raccolto poteva madarti fuori di casa), si potevano tagliare i grappoli rimasti, ben pochi e già irrimediabilmente divorati dalle vespe e dai mosconi; rimanevano pochi chicchi utili per deliziare le voglie di un bambino.

Ecco, nonostante siano trascorse tante estati, ogni anno riaffiora questo ricordo dell’uva impossibile da cogliere.
Ora i tempi sono cambiati, non c’è più quella vecchia arpia che aspetta la cesta con le primizie, i supermercati sono pieni di ogni ben di Dio, ma a ricordo di quei tempi andati ho ugualmente voluto coltivare l’uva Isabella e l’uva di sant’Anna. Ho rifatto anche la pergola, eccola nella foto sopra a sinistra.


Il piacere di cogliere qualche grappolo, seppur con qualche chicco da eliminare, accarezzarli, e godere del loro profumo e sapore, non ha prezzo!

Phalaenopsis deliciosa

Prologo:

20 anni, 20 anni esatti si sono sommati uno sopra laltro da quel giorno che l’orchidea, della quale vi racconterò, giunse in vicolo Parnasso. Antonietta, di Padova, una donna delicata e gentile mi telefonò chiedendo di potermi incontrare: “ho un’orchidea da farle vedere… sono appena tornata da Saigon”. Ed è così che questa deliziosa specie, iniziò a vivere con le altre piante della collezione. Antonietta mi chiese di accudirla. Da quella volta non ci siamo più rivisti con Antonietta, sarà stato un Angelo?
Il nome dell’orchidea è Phalaenopsis deliciosa, ma ha anche un fracasso di sinonimi: la tassonomia o meglio i tassonomi, nel tempo, si sono divertiti ad infierire su questa piccola orchidea.
A lei e ad Antonietta dedico questo articolo… buona lettura.

Phalaenopsis deliciosa… nota anche come Kingidium decumbens.

Phalaenopsis deliciosa: collezione rio Parnasso: pianta.

Alcuni autori attribuiscono a questa specie, il nome di Kingidium decumbens e viceversa, purtroppo un doppio errore di classificazione di oltre un secolo fa, ha dato vita ad una lunga storia fatta di incertezze tassonomiche ancora non del tutto chiarite.

Phalaenopsis deliciosa: collezione rio Parnasso: fiori.

Phalaenopsis deliciosa (Rchb.f 1854)
Origine del nome di specie: dal Latino deliciosus, (delicato).
Distribuzione: Sri Lanka, India, Filippine, Borneo e Sumatra. Mai come in questo caso, il nome di una specie vegetale risulta più rappresentativo delle sue caratteristiche, sia per i fiori, che per la delicatezza delle foglie.

Sinonimi principali:
Kingidium deliciosum (Sweet 1970) – Doritis hebe (Schltr 1913) – Phalaenopsis alboviolacea (Ridl. 1893) – Aerides latifolia (Thw 1861) – Kingiella hebe (Rolfe 1917) – Doritis philippinensis (Hearts 1908) Doritis latifolia (Trim 1885) – Phalaenopsis wightii (Rchb.f 1862) – Kingiella philippinensis (Rolfe 1917) – Phalaenopsis bella (Teijsm & Binn 1862) – Doritis wightii (Benth & J.D.Hook 1883) – Doritis steffensii (Schlt. 1911) –Kingidium deliciosum var. Bellum (Gruss & Röllke 1993) – Kingidium wightii (Gruss & Röllke 1995) –
Phalaenopsis hebe var. Amboinensis (J.J Smith 1917) – Phalaenopsis hebe (Rchb.f 1862) – Phalaenopsis amethystina (Rchb.f 1865). In aggiunta a questa lunga sfilza di sinonimi, questa specie, a causa di un doppio errore di classificazione iniziale (è stata registrata con il nome di Aerides decumbens, in realtà non si trattava nemmeno della Phalaenopsis deliciosa bensì della Phalaenopsis parishii) è conosciuta anche con questi sinonimi:
Phalaenopsis decumbens (Holtt) – Aerides decumbens (Griff) – Biermannia decumbens (Tang & Wang) – Kingidium decumbens (P.F Hunt) – Kingiella decumbens (Rolfe)

Phalaenopsis deliciosa: collezione rio Parnasso: stelo fiorito.

Descrizione della specie
Phalaenopsis deliciosa Rchb.f., Bonplandia (Hannover) 2: 93 (1854).
Orchidea di piccole dimensioni, epifita, in natura è endemica lungo corsi d’acqua situati a basse quote (0 – 600 metri).
Pianta a sviluppo monopodiale su di un fusto molto corto dove si formano da 3 a 6 foglie succulenti, obovate, oblunghe con i margini ondulati che possono misurare fino a 15 cm di lunghezza e 5 di larghezza.
Le infiorescenze arcuate (da cui uno degli epiteti di specie “decumbens” – dal latino “prostrato”), ramificate, a seconda della salute della pianta, possono raggiungere anche 20 cm. di lunghezza.
I fiori piccoli e carnosi misurano da 1 a 2 cm di diametro, si aprono in successione sugli steli prolungando in tal modo il periodo della fioritura. Petali e sepali sono bianchi tendenti al crema pallido, con delicati puntini rosa porpora alla loro base. Il labello presenta i lobi laterali color malva con striature bianche e due piccoli denti gialli. La base del lobo mediano è caratterizzata da sfumature bianche all’apice, mentre la colonna e color rosa carneo.

Phalaenopsis deliciosa: collezione rio Parnasso: coltivazione in veso.

Phalaenopsis deliciosa può essere coltivata su piccoli vasi (possibilmente trasparenti) oppure su zattera: le radici di questa specie sono fotosintetiche e traggono vantaggio se esposte alla luce.
L’ambiente di coltivazione ricalca quello della gran parte delle specie di Phalaenopsis, luce filtrata, buona umidità e temperatura da serra calda – intermedia. E’ utile fare attenzione durante il periodo di riposo post fioritura (riduzione delle bagnature), con l’accortezza di mantenere comunque, leggermente umida la pianta.
La fioritura inizia verso la tarda primavera e si protrae per parecchio tempo, qualora si notino stati di stress è consigliabile interromperla recidendo le infiorescenze.

Le varietà botaniche:
Phalaenopsis deliciosa var. hookeriana (O.Gruss & Roellke) Christenson, Phalaenopsis: 223 (2001). (sin. Kingidium wightii, Kingidium hookerianum), presenta le stesse caratterisiche morfologiche della specie tipo con un’unica variante sulla tonalità di colore dei fiori: petali e sepali gialli di tonalità più o meno intensa.

Il genere Nota: Recentemente, i generi Doritis Lindl. e Kingidium P.F.Hunt, sono stati inclusi nel genere Phalaenopsis (Christenson – 2001). Tale decisione è stata supportata da verifiche e prove fatte sul DNA, accettate in (World Checklist of Monocotyledons, Royal Botanical Gardens, Kew). Tuttavia non tutti gli esperti sono pienamente consenzienti.

Ora possiamo iniziare la ricognizione tassonomica in questo intricato segmento della botanica, prendendo come riferimeto base, il nome di genere Kingidium. Polychilus, Phalaenopsis, Aerides, Doritis, Biermannia, Kingiella, Kingidium, con molti di questi nomi ancora in uso popolare per questo genere, è comprensibile la nostra confusione tassonomica. Con calma cercheremo di orientarci…si spera.
La mia prima esperienza con questo gruppo di orchidee inizia alcuni anni orsono con l’analisi di una piccola pianta (provenienza Vietnam), classificata come Phalaenopsis decumbens.

Kingidium è un genere di orchidee epifite a sviluppo monopodiale, composto di 6 – 10 specie, a seconda delle interpretazioni più o meno restrittive. L’habitat di questo genere è sparso in Asia Sud-Orientale, Sri Lanka, India, Miamar (ex Birmania), Tailandia, Vietnam, Cina, Filippine e Indonesia.

Kingidium, Doritis e Paraphalaenopsis, sono generi molto simili a Phalaenopsis.
Kingidium differisce da Phalaenopsis per il numero delle masse polliniche (4) (Phalaenopsis ne ha 2), dal sacchetto e dal mento, caratteristiche che lo distinguono anche dal genere Doritis. Tra l’altro è differenziato ancora da Doritis dai relativi denti cilindrici corti.
Come si è scritto sopra, alcuni botanici mantengono questo genere separato, altri lo classificano come Doritis ed altri ancora come Phalaenopsis.
Le distinzioni ed i testi di verifica dei vari botanici non sono omogenei e quindi il tutto appare molto complesso, di difficile comprensione e comunque molto vago.
Il genere Kingidium è stato creato nel 1970 da P.F.Hunt, Kew Bull. 24: 97 (1970), precedentemente era conosciuto come Kingiella (Griff.) Rolfe, Orchid Rev. 25197 (1917).
La decisione di abbandonare il nome “Kingiella” è stata presa per evitare ulteriore confusione con un altro nome di specie già registrato (Kingella), appartenente alla famiglia Loranthaceae A.L. Jussieu, famiglia erbacea conosciuta nel campo medico anche come Mistletoe
Il nome Kingidium è stato dato in onore del collezionista e botanico inglese Sir George King ( 1840-1909 ), autore di “The Orchids of Sikkim and the Himalaya”.

Phalaenopsis deliciosa: collezione rio Parnasso: fiori.

Le specie
Si è scritto in precedenza, che il genere Kingidium comprende 5-10 specie, ecco alcune fra le più significative:
Kingidium chibae – Kingidium braceanum – Kingidium deliciosum ( decumbens ) – Kingidium hookerianum – Kingidium minus – Kingidium philippinense – Kingidium taeniale – Kingidium wightii. Ad esclusione del Kingidium taeniale, senza foglie, occasionalmente con piccole foglie e con un esteso apparato radicale a radici appiattite (da cui l’epiteto di specie – per la somiglianza delle radici alle “tenie”), le altre specie assomigliano alle Phalaenopsis: foglie ovali, lucide, color verde scuro, infiorescenze ramificate e sequenziali per gran parte dell’anno.
Il genere Kingidium richiede un periodo di riposo dopo la fioritura, durante il quale è indispensabile fare molta attenzione con le bagnature per evitare spiacevoli marciumi.
I fiori di Kingidium sono piccoli (1 – 1,5 cm.) e si aprono in successione su steli curvi ad esclusione di quelli della specie K. chibae, che si formano su steli eretti.
La marcata predisposizione fotosintetica delle radici consiglia di coltivare le specie di Kingidium su zattere per consentire la fotosintesi anche all’apparato radicale.

Un po' di orchidologia: tassonomia.

Differenze fra due specie affini: Bulbophyllum dentiferum e taeniophyllum

Disquisizioni tassonomiche
E’ veramente difficile descrivere le differenze morfologiche fra le due specie citate nell’occhiello dell’articolo – posto che di specie si possa intendere – sì perchè potremmo anche trovarci a disquisire su un sinonimo della stessa specie. Per capirne un po’ di più, proviamo a chiedere aiuto alla letteratura disponibile.

Bulbophyllum dentiferum: fiori

Le foto del post mostrano una pianta della mia collezione orchidee, cartellinata come Bulbophyllum dentiferum.

Gunnar Seidenfanden, nel suo libro scritto insieme a JJWood (Notes on Cirrhopetalum, 1973 and Orchids of Peninsula Malaysia and Singapore, 1992), ha separato B. taeniophyllum da B. dentiferum per alcune differenze morfologiche sui margini del sepalo dorsale (peluria, erosione e forma).

Bulbophyllum dentiferum: esemplare collezione rio Parnasso.

Nel libro, fra l’altro si legge: Bulbophyllum dentiferum – sepalo dorsale con erosioni e lieve peluria (hair-point) al vertice, petali erosi, ciliati, acuminati e scuri al vertice, sepali laterali misurano (3-5 x 15-20 mm).
Peter O’Byrne (A-Z of South East Asian Orchid Species, 2001) scrive che B. dentiferum produce più fiori di tutte le altre specie della sezione Cirrhopetalum. Mediamente 12-30 fiori, completando spesso l’intero cerchio ed anche raddoppiando la spirale. Egli aggiunge che la pigmentazione rosa sui sepali varia considerevolmente.
Altra annotazione sul libro di Seidenfanden rileva che i petali di B. taeniophyllum hanno le superfici papillose. Differenze.
Non c’è dubbio che le differenze tra queste due specie sono minime. Oltre alla dimensione dei fiori, sembra essere determinante la struttura dei sepali dorsali. B. dentiferum: Denticolati con denti molto piccoli.
Entrambe queste specie hanno questa caratteristica lungo i margini all’apice della dorsale.
B. taeniophyllum. Taenia a forma di benda o fascia, con riferimento alle foglie.

Considerazioni finali.
La descrizione della specie B. taeniophyllum, nella stessa pubblicazione di cui sopra, evidenzia la punta molto breve del sepalo dorsale, con i bordi dentati all’apice (non così pronunciata come nel B. dentiferum) ma tuttavia presente.
Forse queste piccole differenze tra la specie malese B.dentiferum e la specie ben più ampiamente distribuita B.taeniophyllum sono i risultati evolutivi di un più ampio aerale di endemicità in cui è presente quest’ultima specie.
Se qualche autore o tassonomo, in futuro, proponesse una nuova riclassificazione, ovvero: B.dentiferum Seidenfaden 1973 = sinonimo di B.tainiophyllum Par & Reichb, f. 1874., mi troverebbe perfettamente d’accordo.

Maxillaria costaricensis

Maxillaria costaricensis, Schltr 1923.
Nome comune: Maxillaria costaricana
Sinonimi: Maxillariella costaricensis (Schltr.) M.A. Blanco & Carnevali 2007

Maxillaria costaricensis: pianta fiorita – collezione rio Parnasso

Specie epifita, fiorisce dalla primavera all’estate formando un singolo fiore largo 3,75 cm.
La pianta è simile alla Maxillaria variabilis ma si differenzia per avere foglie strette e petali arricciati.

Maxillaria costaricensis: fiori – collezione rio Parnasso

Maxillaria costaricensis è endemica nella foresta pluviale del Costa Rica ad altitudini da 500 a 1600 metri. Le foglie lanceolate lunghe 10-11 cm sono portate singolarmente in cima a uno pseudobulbo di 1 cm di diametro e alto 2,75 cm; sepali giallo scuro sovrapposti magenta, magenta scuro sul retro; petali gialli, riflessi apicali; labello giallo, magenta profondo basicamente; colonna gialla.

Maxillaria costaricensis – collezione rio Parnasso

Maxillaria costaricensis può essere coltivata in un substrato di corteccia fine, muschio di sfagno o montata su zattera di legno duro o sughero. Desidera temperature calde con medie quantità di luce. Innaffiare regolarmente e mantenere la miscela umida ma non bagnata. La pianta necessita di riposo semi-asciutto durante il mese invernale.

Phragmipedium Memoria Dick Clements "Rio Parnasso"

Phragmipedium in fiore nella collezione rio Parnasso: 12.07.2020. Sto spendendo la Domenica davanti al computer per trovare qualche notizia su questa ibridazione degli anni 90, ma non riesco a levare un ragno dal buco.

Di seguito la mera botanica e tassonomia: Orchid Hybrid: Phragmipedium Memoria Dick Clements (This name is currently accepted by the RHS.) Phragmipedium Memoria Dick Clements is an orchid hybrid originated by G.R.Clements in 1992. It is a cross of Phrag. sargentianum x Phrag. besseae. It is considered a “primary hybrid” because it is a cross between two species. Genus Phragmipedium (Phrag.) Grex: Memoria Dick Clements (name currently accepted by the RHS) Parentsx Phrag. sargentianum x Phrag. besseae. Registrant J.R.Edwards – Originator G.R.Clements Year 1992 Species Composition + Phrag. sargentianum (50%) + Phrag. besseae (50%).


Approfondimenti: Sarebbe interessante conoscere un po’ di più i protagonisti che hanno generato questa nuova pianta. La storia dovrebbe iniziare a metà degli anni 80, quando i beni immobili (siamo negli USA) di G.R.Clements sono in vendita a seguito della sua morte. Clements è noto anche con l’epiteto “Dick”. Dick si dilettava con varie ibridazioni fra specie di Phragmipedium. Dopo la morte, la sua nursery fu acquistata da vari collezionisti che continuarono la coltivazione delle varie piantine, fino a portarle a fioritura. Ed è così le orchidee seminate da Clements cominciarono a mostrare le loro qualità; più di una fu registrata alla Royal Horticultural Society. Ad esempio a una fu dato il nome “Andean Fire” (lindleyanum x besseae) registrata da Leo Schordje, che a riguardo racconta “Ho visto più fioriture nel corso degli anni, dato che sono il giovane che ha registrato quell’incrocio, nel lontano 1992. G.R. “Dick” Clements era il creatore, ho comprato diversi lotti di queste piantine dalla sua vendita immobiliare dopo la sua morte. Ho registrato l’incrocio dopo aver visto fiorire alcuni.”Poche notizie posso aggiungere su J.R.Edwards e la sua registazione RHS del luminoso Pragmipedium della foto, se non riconoscergli stima per aver dedicato il nome in memoria del suo creatore: G.R. “Dick” Clements, chapeau!

Phragmipedium Memoria Dick Clements è uno dei migliori e più popolari ibridi “besseae”.

La coltivazione dei Phragmipedium era andata in disuso nelle collezioni, ma dopo il 1981, con la scoperta di Phragmipedium besseae, il colore rosso fuoco dei suoi fiori ha riportato interesse fra gli ibridatori.

Phragmipedium Memoria Dick Clements J.R. Edwards (G. Clements)
Incrocio originato da G. Clements, e registrato da J.R. Edwards il 27-Feb-1992.
Genitori: Phrag. lindleyanum var. sargentianum (capsula) x Phrag. besseae. Note sui genitori
Phragmipedium lindleyanum var. sargentianum (Rolfe) Gruss
Basionimo: Phragmipedium sargentianum Rolfe in Orchid Review, 4: 332 (1896)
Etimologia: nominato in onore del Prof. CS Sargent, allora direttore all’ Harvard Arboretum ed editore di Garden and Forest.
Transferito: Gruss in Orchid Digest, 67(4): 228 (2003)
Distribuzione: Phrag. lindleyanum var. sargentianum è endemico nella Provincia di Pernambuco (Brasile), nelle foreste delle catena del Cariris o Tabatinga.

Phragmipedium besseae Dodson & Kuhn in American Orchid Society Bulletin 50: 1308 (1981)
Perù: San Martin, sulla strada che da Tarapoto porta a Yurimaguas, pianta litofita sulle rocce di granito bagnato, alt 1100 m.
Scoperto il 13 luglio 1981, J. & E. Halton Besse 62 (SEL).” (Dodson & Kuhn, 1981)
Etimologia: in onore della signora Elizabeth Locke Besse che ha scoperto la prima pianta.
Il primo avvistamento di Phrag. besseae risale al 1960 ad opera di Padre Angelo Andreetta, che racconta ” individuato a una certa distanza e sul lato opposto del Rio Cuyes nel sud-est dell’Ecuador, ma pensavo che fossero Begonia froebelii.”

L’enorme successo di questo incrocio ha sollecitato a più riprese l’interesse di molti ibridatori, tanto da indurli a riproporlo in diversi “remake”, usando vari cloni dei due genitori ed anche invertendo il genitore (capsula) con il genitore (polline).
Per comodità useremo il vecchio basionimo “sargentianum”
Ecco di seguito alcuni “remake” fra i più interessanti:
Phragmipedium Mem. Dick Clements (sargentianum ‘March Mist’ X besseae ‘Strawberry’)
Phragmipedium Mem. Dick Clements ‘Yellow Fin’(sargentianum ‘Westwood x besseae ‘Last Time’)
Phragmipedium Memoria Dick Clements (besseae ‘June’ X sargentianum ‘Pyrope’)
Phragmipedium Memoria Dick Clements (sargentianum ‘Pyrope’ X besseae ‘June’)
Phrag. Mem. Dick Clements (sargentianum ‘Future’ x besseae ‘Robert’s First’)
Va da se capire che ogni clone di Phrag. Mem. Dick Clements presenta varie tonalità di colori ed anche diversità nella morfologia della pianta e dei fiori. Si va dal colore rosso scuro con profonde sfumature di rosa, ai petali larghi con texture setose. Con le loro sperimentazioni, gli ibridatori tendono ad ottenere fiori grandi con petali e sepali larghi, piante vigorose con foglie rigide e con brevi rizomi orizzontali fra le singole vegetazioni, onde evitare il tratto fastidioso del Phrag. besseae.