Archivio mensile:Febbraio 2023

Quella volta a Ginevra

Aspirazioni idee e fatti, che hanno portato l’EOC del 2006, in Italia.

EOC DI GINEVRA
L’Italia amatoriale delle orchidee, in occasione dell’EOC di Ginevra ed anche in seguito, non ha potuto contare in una concreta collaborazione generale, perché?
Così, in quel caldo Aprile del 97, l’Italia delle orchidee, quella umile, quella pratica, quella disponibile, arrivò al Palexpo di Ginevra, con il suo carico di speranze.
Cominciò il lavoro di diplomazia e di allestimento, attivati in maniera impareggiabile, dai nostri rappresentanti: il Presidente Franco Bruno ed il segretario Enrike Berg Panà, e la macchina espositiva si mise in moto. Quella volta, in compagnia di amici orchidofili, partecipai anche personalmente, oltre che con le mie orchidee e fu molto utile perché potei rendermi conto del suo funzionamento.
L’atmosfera di quei giorni fu raccontata con passione, da una cronista sul campo, chiaramente innamorata delle orchidee ed ora segretario dell’ATAO, ecco le sue impressioni:

“Emozioni di un viaggio entusiasmante: Di Mara De Nardo Era presto, ancora un po’ buio, quando siamo partiti ancora infreddoliti, ma con l’entusiasmo dei bambini, per raggiungere Ginevra e visitare il Congresso Europeo di orchidologia organizzato dall’European Orchid Congress.Treviso – Ginevra, chilometri di autostrada abbastanza monotona e piena di traffico che abbiamo passato parlando chiaramente… di orchidee… ma non solo! Arrivati in Val d’Aosta e con il cambiamento del panorama, il nostro interesse è stato preso dal monte Bianco, dal Cervino e da una spruzzata di neve che ci ha accolto in prossimità del confine. Il viaggio è stato tranquillo, il tempo sembrava volare, ma alla frontiera svizzera il pagamento della tassa autostradale valida per un anno, anche per noi gitanti di due giorni, ha innervosito il gruppo, e riservato non pochi insulti al paese caro a Guglielmo Tell. Finalmente arriviamo all’expo (palazzo delle esposizioni) di Ginevra ed alle agognate orchidee.
I miei occhi da quell’istante e per quasi quarantotto ore non videro che piante, fiori, colori, specie, ibridi, in un turbinio inimmaginabile e frenetico. Dopo aver pagato dieci franchi svizzeri, sono salita, assieme a Guido, Ermanno e Gianmaria, sulla scala mobile che portava all’ingresso dell’esposizione, ci siamo divisi per cercare lo stand italiano, ma giungevano alla mia vista solo gli stand dell’Olanda, Germania, Danimarca, Nuova Zelanda.Incrociamo Graziano Marongiu del clan Lecouffle di Parigi, grande è stata la mia sorpresa e credo anche dei miei compagni di viaggio, nell’apprendere che a Ginevra per le piante italiane, non c’era stata fortuna.
La trepidazione in tutti noi è cresciuta, specialmente credo in Guido De Vidi, che aveva mandato le piante in esposizione.

Finalmente… ecco la meravigliosa Vanda coerulescens di Guido in bella mostra,… ma ha già il cartellino della giuria per un premio! è stata la mia prima esclamazione!
Grande gioia nel nostro piccolo clan A.T.A.O., pacche sulle spalle di Guido, i complimenti,… poi finalmente ci siamo dedicati all’osservazione dello stand Italia.

In uno spazio angusto, meno di due metri per tre, c’erano quaranta piante italiane, troppo vicine per aver risalto; quello che si vedeva chiaramente erano i cartellini, appoggiati al bordo dello stand che preannunciavano un premio; erano ben otto! tutti sulle piante e del nostro vice Presidente Guido De vidi.
Il salone della mostra era così suddiviso: Metà era occupato dagli stands di esposizione, l’altra metà dal mercatino delle piante.

Questa è stata almeno per me, un esperienza incredibile, avrei comperato di tutto, passavo e ripassavo per i bancali di vendita, leggevo e rileggevo i cartellini delle piante, perché essendo ancora una principiante non riuscivo a distinguere a prima vista tutte le piante in esposizione.
Per gli acquisti ho avuto bisogno anche dell’aiuto dei miei compagni di viaggio; ho così arricchito la mia collezione di orchidee ma ho alleggerito il mio portafoglio! La via del ritorno è risultata brevissima, ma anche se abbiamo sbagliato strada, avevamo molto da raccontarci sulle persone incontrate, sulle piante, sulle medaglie; ritornavamo orgogliosi di essere iscritti all’A.T.A.O.”

Lo scherzetto di Marongiu.

Andò proprio così, il furbacchione di Graziano, vecchia conoscenza e grande amico, memore dei fasti Italiani di Hannover, ci accolse con questo simpatico scherzetto. Il palazzo delle esposizioni di Ginevra era immenso, rumoroso, disorientante e poco consono ad un’esposizione di orchidee: l’aria era oltremodo secca e le piante boccheggiavano.

Ci piazzammo orgogliosi, nei pressi del nostro stand. Fu in quell’occasione che feci la proposta al Presidente dell’AIO e membro del consiglio dell’EOC, di perorare la candidatura Italiana per una futura esposizione Europea.

L’edizione del 2000 era già ad appannaggio di Copenaghen-Danimarca, magistralmente rappresentata a Ginevra da uno stand d’eccezione e dagli attivisti, intenti a distribuire materiale divulgativo.
Per il 2003, il congresso di Ginevra, avrebbe confermato la designazione dell’Inghilterra con esposizione a Londra.
Con queste premesse, non fu facile per il prof. Franco Bruno avanzare richieste di candidatura per la nostra Italia, gli unici bagagli che poté esibire, oltre alla sua capacità diplomatica ed autorevolezza, furono quelle medagliette che intasavano il nostro spazio espositivo.
A riunione finita, il Presidente ci comunicò che il consiglio EOC aveva accettato in linea di massima, di candidare l’Italia. Fu una bella soddisfazione per tutti, e cominciò così la grande corsa al 2006. Ci demmo appuntamento al 2000 a Copenaghen, e cominciammo a prepararci per conquistare la designazione definitiva.

Cattleya leopoldii

Cattleya leopoldii Versch. 1854 sottogen. Falcata sez. Guttatae. Sinonimi: Cattleya tigrina; Cattleya guttata Lindley var. leopoldii Lem 1885; Epidendrum eliatus var. leopoldii Rchb.f 1862.

Le mie impressioni su questa specie botanica si avvalgono di parecchie ricerche scientifiche e se devo dire il vero, qualche dubbio mi rimane, l’unica certezza è la sua indubbia bellezza.
La pianta rappresentata nella foto, a mio avviso è da considerarsi Cattleya leopoldii e nel prosieguo della mia analisi cerco di spiegare il perchè. Prima di addentrarci nella descrizione di questa specie, per i motivi enunciati in precedenza, occorre fare un’analisi tassonomica più approfondita perchè non è molto facile stabilire con esattezza qual è il nome di specie più accettato.

L’orchidea in questione è stata importata in Europa dalla ditta belga Verschaffelt, che l’ha registrata con il nome di Cattleya leopoldii nel 1854. Poi è stata descritta da Lemaire, nel 1855, come varietà della Cattleya guttata Lindley, ricevendo anche in quell’occasione la denominazione di var.’leopoldii’ in omaggio e onore al re Leopoldo di Belgio, un grande appassionato delle orchidee esotiche.
Qualche autore sostiene che questa specie sia in realtà la stessa classificata 7 anni prima da Richard, con il nome di Cattleya tigrina, altri studiosi ancora, la ritengono molto prossima alla descrizione della Cattleya guttata.
E’ evidente l’incertezza, che diventa problematica anche nei nomi delle ibridazioni discendenti da questa specie botanica.
Per inquadrare la situazione dobbiamo partire dalla specie di riferimento: Cattleya guttata

Cattleya guttata descritta da Lindley nel 1831 è sicuramente una delle più importanti fra tutte le Cattleya brasiliane raccolte da Robert Gordon nel 1827.
Molta incertezza nasce con le specie similari dello stesso gruppo e soprattutto con i nomi dei moltissimi ibridi discendenti.
Il primo problema si presenta con la Cattleya leopoldii ed effettivamente molte forme tigrate scure della Cattleya guttata , si assomigliano molto. Sembra che la differenza sostanziale per individuare le due specie sia nella formazione del pannicolo dei fiori, che nella Cattleya leopoldii escono dal fodero ancora verde dello pseudobulbo annuale maturo, generalmente in tarda primavera-estate, mentre nella Cattleya guttata i fiori escono sempre dallo pseudobulbo maturo, ma dopo un breve riposo e dal fodero secco. Il periodo della fioritura è riferito al nostro emisfero settentrionale.

Altre differenze sono rilevate anche nel diverso numero di fiori e nella dimensione delle piante ma qui si entra in un terreno minato perchè queste caratteristiche variano sostanzialmente in funzione del tipo di coltivazione.
Le successive argomentazioni possiamo considerarle utili per tutta la gamma delle “guttate”.

Ambiente d’origine, caratteristiche morfologiche e note colturali
E’ una specie endemica del Brasile: Alagoas, Bahia, Espírito Santo, Minas Gerais, Paraná, Pernambuco, Rio Grande do Sul, Rio de Janeiro, Santa Catarina e São Paulo.
E’ una pianta epifita a sviluppo simpodiale, con pseudobulbi a canna, avvolti da foderi bianchi con 2 a volte 3 foglie apicali consistenti, oblunghe ed ellittiche.
All’apice degli pseudobulbi, in primavera-estate spunta uno stupendo pannicolo, portante secondo la specie, 8-15 fiori profumati e di lunga durata.
Cattleya leopoldii, come già scritto è collegata strettamente a C. guttata e/o C. tigrina, e questi accoppiamenti tassonomici rendono più apprezzabile la descrizione che sarebbe più difficile se fatta separatamente.
Senza entrare nei dettagli, come guida di base possiamo specificare che la C. guttata produce fiori più piccoli con labello stretto e minuti, mentre nella C. leopoldii i fiori sono più grandi ed il loro labello è largo e ben sviluppato.

Inoltre la Cattleya leopoldii produce meno fiori e di solito color marrone, a differenza della gamma molto varia, che troviamo invece nella C. guttata.
In natura la dimensione della C. leopoldii è solitamente la metà della C. guttata, ma in coltivazione le grandezze sono molto legate all’ambiente, luce e tipo di coltivazione.

Coltivazione
Le specie di questo gruppo, come la maggior parte delle epifite, sono xerofite (periodo di secco) ed in natura si sono adattate perfettamente a condizioni ambientali limite: resistono a lunghi periodi di secco e le loro radici grosse e leggermente pelose si insinuano in tutti gli anfratti, assolvendo la duplice funzione di sostegno (alberi e pendii) e da magazzino di cibo ed acqua.
Cattleya leopoldii richiede clima da serra calda e umida con buona ventilazione e tanta luce (quasi diretta)
Stante la sua dimensione ed il portamento eretto, conviene coltivarla in vasi con composto di corteccia media (dove è possibile il reperimnto si può anche usare xaxim sminuzzato e/o pezzetti ci cocco). Buoni successi si possono ottenere anche usando substarti inerti.
E’ utile rallentare o cessare le bagnature durante i due mesi invernali Dicembre e Gennaio.
Il ciclo delle fertilizzazioni e dei trattamenti protettivi seguono lo standard del suo genere: dosi generose durante il periodo vegetativo di concime equilibrato NPK 20.20.20, e 2 trattamenti di NPK 10.30.20 nella fase di maturazione delgli pseudobulbi giovani.