Prologo: fine luglio anni 50, un racconto semplice.
Storie e ricordi.
I ricordi della mia infanzia non spaziano nella vita opulenta dell’aristocrazia, ma emergono da uno stentato palcoscenico fatto di vita umile e servile. Siamo in quel Veneto povero, contadino, sul finire degli anni 40 del secolo scorso. Ero bambino, non superavo i 5 anni di età. La mia famiglia viveva lavorando un piccolo fondo, nemmeno 4 campi di terreno, a mezzadria. Poco frumento, poco mais, e poca uva per fare il vino da dividere a metà con il padrone.
La mia casa
La casa dove vivevo non era dotata di corrente elettrica, la “luce” sarebbe arrivata con il “miracolo economico degli anni 60” l’illuminazione notturna era data da lumi a petrolio. Il gabinetto era fuori, vicino alla concimaia. Poche stanze, essenziali e risultava difficile distinguere gli spazi dedicati agli animali, da quelli esclusivi di uso domestico, tutto girava in funzione della sopravvivenza famigliare. L’apoteosi dell’uso promiscuo avveniva in primavera con la coltivazione dei bachi da seta.
Nella stalla c’erano due mucche ed un asino, quello era l’unico “vano” della casa ad essere riscaldato (dal fiato degli animali), luogo prediletto nelle lunghe e fredde notti invernali, dove si trascorrevano le serate a fare “filò”; i vecchi raccontavano vecchie storie con personaggi dai nomi che incutevano paura “la Lumiera, el Massariol” e si giocava alla “Tria”, ricordo che si stava bene.
La frutta per noi bambini ce l’andavamo a raccogliere nei campi e come si suol dire oggi era anche biologica… noi si diceva “salvarega”. Non c’era gran varietà: “pometi” (piccole mele che maturavano a fine giugno) de San Piero, “amoi de San Giovanni” (prunus selvatici che maturavano in corrispondenza della festa di San Giovanni), ed era una bella festa per noi bambini di Pero. Potevamo anche raccogliere piccole pesche che crescevano su alberi stentati dei campi del vicino. Ma fra tutti spiccava la mitica uva delle primizie che maturava a fine luglio: l’uva di Sant’Anna che per me era tabù!.
Chissà per quale motivo tutta la frutta era dedicata a qualche santo… non l’ho mai capito, forse serviva di promemoria ai contadini, quasi tutti analfabeti, per cadenzare i lavori della terra.
La pergola d’uva.
La casa guardava a mezzogiorno su un grande cortile di terra battuta, con marciapiedi di sassi del Piave e una grande vite di uva Isabella sistemata a pergola, che abbracciava tutto il lato sud. Ogni inverno quella lunga vite veniva potata con maestria da mio nonno Antonio – “lasciami povera e ti farò ricco” – usava dirmi, mentre sfoltiva i tralci. Per la verità la pergola era formata da due tipi di uva, L’uva Isabella e l’uva di sant’Anna, così nominata perché per il 26 di Luglio festa di sant’Anna, quest’ultima iniziava già a maturare ed era la prima uva, bella, di un colore bianco dorato. Ma, quei grappoli d’orati che troneggiavano sopra gli occhi di un bambino, non si potevano toccare finché non erano tutti maturi. La vendemmia, o meglio i migliori grappoli sistemati in una cesta di vimini, erano le primizie da portare alla “siora parona” nella sua villa padronale ubicata vicino alla chiesa del paese.
Solamente dopo questa obbligata ritualità servile (il padrone a fine raccolto poteva madarti fuori di casa), si potevano tagliare i grappoli rimasti, ben pochi e già irrimediabilmente divorati dalle vespe e dai mosconi; rimanevano pochi chicchi utili per deliziare le voglie di un bambino.
Ecco, nonostante siano trascorse tante estati, ogni anno riaffiora questo ricordo dell’uva impossibile da cogliere.
Ora i tempi sono cambiati, non c’è più quella vecchia arpia che aspetta la cesta con le primizie, i supermercati sono pieni di ogni ben di Dio, ma a ricordo di quei tempi andati ho ugualmente voluto coltivare l’uva Isabella e l’uva di sant’Anna. Ho rifatto anche la pergola, eccola nella foto sopra a sinistra.
Il piacere di cogliere qualche grappolo, seppur con qualche chicco da eliminare, accarezzarli, e godere del loro profumo e sapore, non ha prezzo!
Salve,
alla ricerca di maggiori informazioni su un antico quanto prezioso vitigno mi sono imbattuto nel Suo ricordo scritto qui.
Coltivatori e Cultori della buona Uva del ns. territorio in una piccola impresa a conduzione famigliare voluta e diretta dai nonni Elisabetta e Luigi nell’agro di Trani(Ba), dove grazie alla Loro perizia e competenza acquisita in una vita di Agricoltura si è prodotto uva da tavola in maggior parte Uva Italia commercializzata nel mercato nazionale ed estero.
Per la grande passione e l’amore per certe meraviglie prodotte dalla terra il nonno e la nonna hanno sempre conservato anche alcuni filari( a tendone) di Vittoria; Mennavacca; Cardinale; Nera di Troia ed appunto Uva di Sant’Anna (utile proprio alla scansione del tempo e ad aprire le “danze” della stagione di Vendemmia).
Ancora oggi noi nipoti abbiamo voluto recuperare un vecchio unico tralcio di una antica vite di Sant’Anna condotto quindi a pergola e che ora padroneggia ombreggiando un vecchio casolare recuperato nella città di Bari zona Sud
( territorio di antica tradizione orticola detta degli “Sciacquati” antico sistema di irrigazione dolce)) dove in tanti partecipiamo al mantenimento ed alla coltivazione di “Orto Gentile” – Bene Comune.
Quest’anno una generosa raccolta ha regalato alle volonterose e volenterosi che frequentano Orto Gentile – Bene Comune, gioia per gli occhi e per il palato facendo riconoscere ai più un sapore vero autentico unico a km.0 e sfruttamento 0
Agro Ecologia Unica Via 🙂
Caro Guido è sempre un piacere lasciarsi trasportare dai tuoi scritti, soprattutto per chi ha vissuto esperienze simili. Quanta dignità nella vita contadina che hai ricordato. Grazie!
Un abbraccio a Te e Rosetta
Loredana
Grazie Loredana, sapere che quel che scrivo è apprezzato, fa sempre piacere; un abbraccio.
Guido.