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Categoria madre del blog: giorno per giorno con le orchidee, diario di un appassionato.

AIUTO: chi la conosce?

Pleurothallis Ecuadoregna

Fiorisce regolarmente in questo periodo (novembre). Pianta di grandi dimensioni per il suo genere: foglie ovali appuntite, di 10×5 cm. con gambi lunghi anche 20 cm. agli apici si formano diversi steli fiorali muniti di tantissimi fiori color giallo pallido.

Precisazione: le dimensioni che ho riportato si riferiscono alla coltivazione nella mia serra, penso che in natura, siano molto inferiori. Ho notato, soprattutto nelle Pleurothllidinae, una grande differenza di sviluppo rispetto all’origine, seppur già piante adulte a volte triplicano.
Penso possa essere: Pleurothallis floribunda

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osservazioni e commenti.

Iacopo
Ciao Guido, purtroppo non si vede molto, credo che sia praticamente impossibile fotagrafare il fiore con la digitale ma osservando il portamento l’unica a cui mi sento di proporti una similitudine è questa Pleurothallis ghisbreghtiana di un collezionista giapponese. http://papageno.web.infoseek.co.jp/Pleurothallis.htm – Sono rimasto con la curiosità di vedere il tuo O. ornithorhynchum! ciao
Pleurothallis ghisbreghtiana

Guido
Ciao Iacopo, grazie della collaborazione e grazie anche per i tuoi commenti sempre molto amichevoli. Penso che non sia la Pleurothallis ghisbreghtiana, soprattutto per la forma delle foglie e per il periodo di fioritura. Ti faccio vedere le foglie di quella che potrebbe essere la Pleurothallis ghisbreghtiana che ho in serra e poi guarda una “quasi macro digitale con flash?” dei fiori della Pleurothallis in questione: che ne dici? Ciao, ti saluto con un anteprima di fioritura dei miei O. ornithorhynchum.

Colori e profumi

Un bel meristema di penultima generazione

Collezione Guido De Vidi. Foto 24.11.04-Tutti i diritti sono riservati.

Blc. Adam Hausermann’MAGICLAND’
(Mem. Roselin Reisman x Lc. Mattie Share)

Informo gli amanti delle Cattleye ( specie ed ibridi selezionati) che la prossima primavera rinvaserò tutta la collezione. Normalmente sono disponibili due divisioni per pianta. Se vi interessano, fate un fischio!

Spazio aperto

Dialogo con i visitatori del blog.

Commenti

Commento di Daniele1090
Avevo intenzione di cimentarmi nella coltivazione di un paphiopedilum, ma dato che sono ancora un neofita, quale specie mi consiglieresti Guido? Grazie, Dani 🙂
…..Scusate, ma non mi sono presentato 😀 Mi chiamo Daniele e ho 14 anni, ho una phalaenopsis che sono riuscito a farla rifiorire, speriamo bene…. ho visto che molti di voi frequentano il forum di Giardinaggio.it… io sono Daniele1090 😉 Anche se sono ancora un ragazzo e sono alla mia prima orchidea (la classica phalaenopsis, di cui la coltivazione per ora va bene :D) Approfitto di questo messaggio, dato che non ho trovato l’ indirizzo mail di Guido, per chiedere se potresti mettere qualcosa sulla Vanda, mi interessa molto!!! E’ bellissima 😉 PErò prima vedo come va con la phalaenopsis e per la sua fioritura A presto, Dani PS: Complimenti per questo splendido sito-forum 😉 ciaoooo
Domenica 21/11/04 @ 21:32:08

Commento di Michele
Il Paphopedilum venustum del secondo post sui Paphiopedilum è veramente impressionante; chissà poi quando sarà fiorito!! Vorrei avere un consiglio: oggi ho visto alcuni alberi avviluppati dall’edera e mi sono ricordato che tempo fa avevo letto che i fusti ricoperti di radici avventizie dell’ edera possono essere usati come supporto per le orchidee. Tu Guido li hai mai provati? Ciao, Michele
Domenica 21/11/04 @ 21:40:23

Commento di Cinxia
Grazie Guido. Sono affascinata dalla chiarezza, la competenza e la disponibilità che mostri nei confronti di chi ha tutto da imparare. Ah una domanda… io al vivaio ho trovato solo corteccia di pino di pezzatura abbastanza grossa… è possibile usarla magari sminuzzandola?
Domenica 21/11/04 @ 21:49:40

Commento di Fabio
Ciao Guido mi sabaglio o qui si sta gia iniziando la stesura per qualcosa di più importante??? EH EH EH se è così posso dirti che chi ben comincia…. Fabio.
Lunedí 22/11/04 @ 13:20:18

Commento di eleonora
Volevo solo unirmi al commento di cinxia, Guido sei veramente unico. E mi pare evidente che hai una incredibile capacità di contagio del virus delle orchidee.

Dialogo:

Ciao Daniele, ti vedo molto attivo nel forum Giardinaggio e fai molto bene.
Vedere che un ragazzo quattordicenne è così appassionato delle orchidee, mi rende molto felice;
se vuoi cimentarti con i Paphio, parti con quelli del primo gruppo, ad esempio un bel insigne o qualche ibrido… ma vedrai che con la tua passione sarà facile addomesticare le piante.
Nei prossimi post devo parlare delle serre, ma ti prometto di preparare un bel racconto sulle Vanda. Per il momento ti dedico questa scheda di una specie abbastanza rara che in questi giorni è fiorita nella mia serra. Ciao, non mollare e tieni in pugno le orchidee.

Collezione Guido De Vidi. Foto del 24.11.04
Tutti i diritti sono riservati.
Vanda hindsii Lindl 1843.
Il nome deriva da Hinds, botanico inglese vissuto all’inizio del 1800.
Originaria della Nuova Guinea e della Papuasia.

Questa originale specie di Vanda, vive in Australia e nella parte Nord della Nuova Guinea.
La Vanda hindsii è un’orchidea epifita a sviluppo monopodiale che ama vivere in alto sui rami degli alberi, vicino ai grandi fiumi. In qualche caso può vivere anche come litofita, su spuntoni rocciosi in pieno sole a 400 – 500 metri d’altezza sul livello del mare.

Il gambo vegetativo è molto lungo (anche due metri) con foglie ricurve e linguate, di color verde smeraldo; dalle ascelle della parte superiore del fusto, escono gli steli fiorali, portanti 7-8 fiori profumati, rigidi, carnosi e di lunga durata.

In coltivazione questa specie di Vanda, si adatta a varie condizioni e si sviluppa con facilità; la sua principale caratteristica è quella di produrre un estesissimo pannicolo di lunghe radici.

Questa particolare caratteristica vegetativa, rende la pianta di difficile gestione, sia in termini di spazio verticale sia orizzontale, inoltre non è molto generosa nelle sue fioriture e soprattutto esige temperatura calda e moltissima luminosità: quasi in pieno sole.
La coltivazione di questa Vanda è un buon banco di prova per i collezionisti.
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Michele, è vero: con i fusti delle vecchie edere si possono fare dei tronchetti per poggiare le orchidee, io ho provato, ma devo dire la verità, con scarsi risultati. Penso che sia causa della folta (peluria, non conosco il termine tecnico) che si trova attorno al fusto. Michele, vedrai, quando il Venustum sarà in fiore che bomba!!! Ciao
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Cinxia, mi fai arrossire, grazie per le tue parole.
Per la corteccia, è sempre meglio averne di grossa perché con una forbice grossa (quella che i contadini usano per potare le viti) si può sminuzzare secondo le esigenze. Ciao
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Fabio, intanto raccontiamo e poi si vedrà. Sai, con queste prove generali cerco di capire se il filone del raccontare le orchidee in modo vissuto e non cattedratico, è d’interesse per gli appassionati. Ciao.
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Eleonora, grazie. Speriamo di poter rimettere insieme il gruppo del corso e molti altri che nel frattempo si stanno avvicinando alle orchidee. Tu sai miei problemi. Ciao

Conoscere e coltivare i Paphiopedilum 6

La fertilizzazione
Collezione Guido De Vidi. Foto del 22.11.04 – Paphiopedilum: primo piano di coltivazione.
Fertilizzazione, note generali.

Sappiamo tutti che i tre valori alfa numerici riportati sulle etichette dei fertilizzanti si riferiscono ai tre minerali di cui hanno assoluto bisogno le piante: azoto (N), fosforo (P), potassio (K).

L’azoto è un elemento essenziale delle proteine e della clorofilla, il fosforo agisce da catalizzatore e da regolatore dell’attività vitale ed il potassio serve da catalizzatore e regolatore di funzioni particolari, quali la giusta dimensione della pianta.

Pertanto, somministrando nella fase vegetativa primaverile il 30.10.10 che contiene una quantità tripla d’azoto, si agevola la vegetazione, usando il 20.20.20 si alimenta la pianta in maniera equilibrata ed intervenendo con il 10. 30.20 a prevalenza di fosforo, (considerato la dinamite delle cellule viventi), si favoriscono buone fioriture.

Detto questo, nello specifico è importante analizzare a quale popolazione d’orchidee si vuol dar da mangiare e per quali scopi: può essere utile stabilire regole e quantità variabili prestabilite, su popolazioni omogenee e può essere scarsamente praticabile in una collezione di specie diverse.

Per capirci meglio, un produttore di Phalaenopsis per scopi commerciali, trova sicuri benefici da un’alimentazione particolareggiata, così pure un produttore di Vanda, Cymbidium o per l’appunto Paphiopedilum.

Al collezionista generalista, fatta salva la primavera in cui può fertilizzare due o tre volte con 30.10.10, conviene alimentare le sue orchidee in maniera bilanciata: 20.20.20 con dosaggi molto bassi, quasi tutte le volte che bagna le piante.

Il massimo risultato di questo tipo di fertilizzazione, si ottiene attivando un semplice trucchetto: indugiare con la doccia sulle piante che normalmente mangiano di più e scivolar via appena possibile dalle piante che non desiderano troppi minerali.

Così facendo accontentiamo i Paphiopedilum che amano mangiare poco e pure le Vanda che hanno sempre un po’ di fame in arretrato.

Morale del ragionamento: ad un appassionato torna più utile avere tutta la collezione in buona forma e qualche fiore in meno, mentre per il produttore che cerca il massimo risultato, favorire la crescita veloce e la gran fioritura delle sue piante attraverso una fertilizzazione spinta, rende di più in termini di profitto.

Il calcio somministrato nella sua formulazione chimica di nitrato, è necessario alla strutturazione delle pareti delle cellule ed alla regolazione delle loro attività: io l’uso con molta parsimonia. Inoltre, tenuto conto che è già presente nei substrati di coltura ed anche nella composizione dell’azoto,fatta l’eccezione delle orchidee terricole quali i Paphiopedilum, una dose eccessiva di calcio, può risultare tossica.

Dei concimi organici si fa un gran parlare ed in buona sostanza si può affermare che sono naturali e non di sintesi, quindi, portatori di una gamma più completa d’elementi definiti secondari (ferro – magnesio – zolfo – boro ecc), che sono già relativamente presenti nel substrato di coltura o nei tronchetti su cui coltiviamo le nostre orchidee.

I chelati sono delle sostanze organiche capaci di attrarre a se vari elementi minerali e di tenerli disponibili in qualsiasi momento per le piante; quelli combinati con il ferro, tipo il sequestrane, risultano più convenienti, ma anche in questo caso, vale la regola delle specificità che non vige nell’amatorialità.

Alimentazione mirata e controllo della salute.
Abbiamo già capito che i Paphiopedilum sono preminentemente orchidee terricole. Pure quelle che scelgono di vivere in anfratti rocciosi oppure sui rami degli alberi a bassa quota, sono biologicamente strutturati per raccogliere il massimo del loro nutrimento, dal substrato nel quale si sviluppano le loro radici.

Questa loro peculiarità biologica li rende meno dipendenti da forme d’alimentazioni occasionali esterne e le differenzia dalle loro sorelle che poggiano le radici su tutori abilitati più all’abbarbicamento che al nutrimento. In questo secondo caso, le orchidee considerate “epifite” a tutti gli effetti, per loro necessità di sopravvivenza sono costrette a sviluppare un esteso apparato radicale ben disposto ad assorbire con buon rendimento, cibo ed umidità dall’aria e da agenti esterni al substrato di supporto.

In questa sede è appena il caso di specificare che le radici delle epifite, nel loro percorso evolutivo, si sono attrezzate sia per sostenersi con apposite ventose e sia per assorbire umidità ed acqua circostante, quasi come fossero delle spugne.

Faccio quest’introduzione discorsiva per motivare la scarsa necessità di fertilizzazione chimica dei Paphiopedilum ed evidenzio la parola, chimica, per poter dividere in due modi, le forme d’alimentazione dei Paphiopedilum.
Considero alimentazione chimica, l’aggiunta di minerali N P K ed altri secondari, già formulati e sintetizzati chimicamente, sia liquidi sia solidi.

Definisco alimentazione in dotazione, tutto quello che le piante riescono a trovare nel composto del substrato, indipendentemente dall’aggiunta di minerali esterni.

Detto questo, una volta sistemati i nostri Paphiopedilum in un buon substrato, completo di tutte le sostanze minerali a loro utili, si potrà intervenire con l’aggiunta di N (azoto) – P (fosforo) – K (potassio) molto saltuariamente ed in quantità molto blanda.

Quando e quanto fertilizzare.
L’aggiunta di minerali al substrato dei Paphiopedilum è consigliabile effettuarla soltanto nei momenti del loro sviluppo:
– primavera “marzo – giugno”
– autunno “settembre – metà novembre.
In primavera, per sollecitare la crescita dei nuovi germogli, consiglio di usare formulazioni: 30.10.10, mentre nel restante periodo formulazioni equilibrate 20.20.20 oppure 18.18.18. Usate quantità molto basse ( 0,3 grammi per litro d’acqua).
Cercate nel mercato, prodotti solubili in acqua che diano garanzie in etichetta, d’alta solubilità e scarsi sali residui.

Controllo della salute dei Paphiopedilum.
Le piante di Paphiopedilum, forse perché non producono sostanze mielose, sono raramente aggrediti dai parassiti.
Quindi conviene intervenire solamente se si nota la presenza di agenti patogeni esterni.
Consiglio di usare insetticidi sistemici che sono molto efficaci e poco dannosi.

Fortunatamente anche le malattie fungine sono rare.
La miglior cura è prevenire ed un’ottima prevenzione si ottiene coltivando piante sane, vigorose e sistemate in ambiente ordinato e pulito.

Pur adottando tutte le precauzioni, qualche errore si commette sempre, bagnature di troppo, ristagno indebito sui colletti dei germogli ed ecco che si scopre qualche rizoma o foglia basale color bruno scuro: è già in atto una malattia fungina.

L’intervento deve essere deciso ed immediato: agire con un bisturi opportunamente sterilizzato, tagliare tutte le parti infette, 2 centimetri oltre la massima propagazione dell’infezione e poi togliere la pianta dal vaso, eliminare tutte le radici colpite da marciume bruno, disinfettare la pianta mediante l’immersione in una soluzione fungicida (possibilmente sistemica). A questo punto, conviene lasciar asciugare le radici della pianta per almeno una giornata e poi procedere celermente ad un provvidenziale rinvaso.

Come potete notare non faccio riferimenti a nomi specifici per i prodotti da usare, mi permetto di darvi soltanto il consiglio di usare i meno nocivi: le orchidee sanno apprezzare.

Con queste ultime considerazioni chiudo il mio racconto sui Paphiopedilum, sicuramente non completo, pertanto, qualsiasi vostro contributo sarà utile al suo perfezionamento prima di diventare un capitolo del libro famoso.
Ringrazio di cuore tutti i visitatori del blog e soprattutto le amiche ed amici orchidofili che con la loro partecipazione rendono quest’ esperienza viva e dinamica.

Conoscere e coltivare i Paphiopedilum 5

Bagnature e rinvasi, come e quando.

Quando bagnare le piante.
La prima domanda che un neofita rivolge al coltivatore esperto di Phapiopedilum è di solito la seguente: quando e quanto devo bagnare i miei Paphiopedilum?

Il coltivatore esperto di turno fa buon viso a cattiva sorte e tergiversando, risponde come le sacerdotesse Greche con gli oracoli, al tempio di Delfi: “dipende dal clima e da…. ecc”. In verità questa domanda buttata lì a bruciapelo, infastidisce il coltivatore perché non può dare una risposta soddisfacente, senza dover fare tutta una serie di valutazioni colturali e dei vari modi di annaffiatura.

Il requisito fondamentale da rispettare con le bagnature è quello di non lasciare mai asciugare il composto del substrato.
Come si può ben capire, il mantenimento della costante umidità del substrato, varia in funzione della formulazione del composto, della dimensione dei vasi, dell’alloggiamento della pianta, della posizione della serra e dello stato dell’apparato radicale (radici sane ed in pieno sviluppo, oppure radici ferme o deteriorate).
Ciò detto, potete ben capire quanto è difficile stabilire dei tempi precisi; ad ogni buon conto nelle coltivazioni domestiche, per capire se i nostri Paphiopedilum hanno sete, si può anche procedere al controllo manuale ed approssimativo del peso dei vasi.

Altra regola utile è quella di aumentare la frequenza delle annaffiature proporzionalmente al clima stagionale: massime in estate, molto ridotte in inverno, con particolare attenzione per le piante con il substrato e le radici in crisi.

Considerandola semplicemente come indicazione generale, possiamo affermare che durante la stagione calda bisogna bagnare almeno ogni due giorni e nel restante periodo, una volta la settimana.
Nel dubbio che la pianta sia asciutta non indugiate, bagnatela!

Alla presenza di piante con le radici compromesse, tenetele leggermente all’asciutto; così facendo si sollecita la ricostituzione dell’apparato radicale.

Si consiglia inoltre di bagnare nelle prime ore della giornata e con mattinate soleggiate, questo per consentire alle piante di asciugare le foglie prima delle ore notturne.

Ovviamente, nulla vieta di bagnare anche di notte, in tal caso bisogna prestare attenzione a non spruzzare acqua sulle foglie, in quanto l’asciugatura durante le ore notturne fresche ed umide è molto rallentata: l’acqua stagnante tra le ascelle delle foglie giovani, è veicolo di marcescenze.

Come bagnare i Paphiopedilum.>
Il sistema ideale sarebbe quello di bagnare ogni singola pianta, avendo cura di agire solamente sul composto, ripetendo l’azione finché il substrato è ben fradicio.
Questo sistema è praticabile, quando le piante in collezione sono relativamente poche.
Nelle coltivazioni di Paphiopedilum in serra, l’operazione “bagnatura” che inevitabilmente consiste in una doccia generalizzata, si fa un pochino più complessa e richiede una certa accortezza.

Ovviamente i nostri Paphiopedilum convivono in serra con altri generi di orchidee e molto spesso in situazioni di sovraffollamento, bisogna pertanto evitare di commettere due errori in contemporanea: lasciare all’asciutto qualche pianta e procurare altresì, inopportuni ristagni d’acqua sui colletti dei nuovi germogli.

E’ importante quindi attrezzarsi con un getto doccia non molto violento e usandolo con padronanza, agire tra i vasi, quasi a voler cercare le parti a vista del composto.
Durante quest’operazione manuale, al fine di poter stabilire il tempo di permanenza del getto d’acqua sopra ogni vaso, l’occhio del coltivatore deve scandagliare l’esistente.
Terminata l’operazione della bagnatura, tornerà molto utile fare un controllo generale allo scopo di eliminare con soffi decisi, eventuali ristagni d’acqua sui colletti dei germogli.

Composti per il rinvaso dei Paphiopedilum.
Nel variopinto mondo delle orchidee, non c’è nulla di più intricato della giusta soluzione per il loro substrato di coltura.

I prodotti per realizzare i vari composti sono legati alle diverse zone di coltivazione e quindi alla facilità di reperimento di materiali esistenti in loco.
Sentiremo parlare di, sfagno (muschio acquatico), di bark ( corteccia di pino), fibra d’osmunda ( esteso groviglio radicale di una felce chiamata osmunda regalis), torba, corteccia di cocco sminuzzata, pietra vulcanica, carbone vegetale, roccia calcarea, terra cotta sminuzzata, ecc.
Sono tutti prodotti dai nomi affascinanti, messi al servizio della fantasia dei coltivatori e spesso sembrano più miracolosi quelli più difficili da reperire.
La nostra fantasia nella realizzazione dei composti per orchidee è messa a dura prova proprio con i Paphiopedilum che essendo orchidee semi terricole, sono relativamente più esigenti delle sorelle epifite ( devono trovare essenzialmente nel substrato di coltura, i loro elementi nutritivi).
Non me la sento di elencare tutte le combinazioni, mi limito ad illustrare la mia soluzione, raccomandando di interpretare i miei consigli ed adattarli alle vostre esperienze di coltivazione. Dopo anni di preparazione dei composti per i miei Phapiopedilum, ancor oggi, quando mi accingo ad iniziare la fatidica miscelazione, c’è sempre qualche dubbio che m’induce ad apportare qualche piccola modifica.
La scelta di base parte dalla questa considerazione: utilizzo di materiali facilmente reperibili, che consentano di realizzare c c composto soffice, drenante e che contenga i minerali necessari al nutrimento dei Paphiopedilum.

Prodotti e loro miscelazione
1) – 35% corteccia di pino di media e piccola pezzatura, messa preventivamente a bagno in acqua per almeno tre giorni.
2) – 35% torba di sfagno molto filamentosa.
3) – 20% agriperlite, eolite, pomice equamente miscelate (può anche essere usato solamente uno dei tre componenti, sempre 20% in percentuale totale).
4) – 10% materiale calcareo grossolano, rocce o sassi preventivamente triturati ( sabbia o ghiaino).

Il tutto va depositato in un contenitore capiente per poterlo mescolare energicamente e ripetutamente: a questo punto il composto è pronto per l’uso.
Ultima annotazione: è possibile variare le percentuali secondo la dimensione dei vasi e delle piante (ad esempio per vasi grandi è consigliabile aumentare percentuale e dimensione del bark)

Quando rinvasare.
La regola generale direbbe almeno ogni due anni, nei periodi di sviluppo delle piante e cioè, in primavera (marzo –giugno), oppure in autunno (settembre – ottobre).
In piena estate è sconsigliabile toccare le piante perché sono stressate dal caldo: stesso discorso per motivi opposti, durante la stagione fredda.
Volendo entrare un po’ più nel dettaglio possiamo stabilire che i Paphiopedilum vanno rinvasati quando:

1) – le radici si comprimono troppo all’interno del vaso, al punto da rendere inefficaci le annaffiature.
2) – eccessivo invecchiamento del substrato di coltura.
3) – problemi all’apparato radicale.

Per chiudere l’argomento dei substrati, vi ripropongo la sequenza fotografica del rinvaso del mio Phapiopedilum parishii:

…….Sequenza d’operazioni, per il rinvaso di una pianta di: Paphiopedilum parishii:
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