Oncidium bifolium a Chiavari: un bel racconto Italiano

Storia di emigrazioni, e di orchidee

Era da tanto tempo, che sentivo parlare di grandi piante d’Oncidium coltivate all’aperto in Liguria, ma prima d’ora non avevo mai avuto modo di approfondire la notizia…sì perchè a dire il vero mi è sempre sembrata una mitizzazione più che una notizia verosimile.
E’ tutta vera, invece! L’altro ieri ho toccato con mano (come si suol dire) la mitica pianta secolare di Oncidium bifolium ed ora vi racconto la sua storia.

Fiori di Oncidium bifolium (foto sopra)

Stranamente, l’avventura Italiana dell’Oncidium bifolium è legata ai flussi migratori nel Sud America dei secoli scorsi.
In vari periodi, vaste fette della nostra popolazione hanno cercato fortuna o più semplicemente sussistenza, emigrando in diversi paesi del mondo; moltissime son le associazioni di “Italiani nel mondo”.
La Liguria e soprattutto la cittadina costiera di Chiavari, nei secoli scorsi fu anch’essa terra d’emigranti, specie nel continente sudamericano. Traccia dei movimenti migratori rimangono negli alberi genealogici dei chiavaresi e nelle molte vie dai nomi inequivocabili (Corso Buenos Aires, Corso Montevideo, Corso Valparaiso, Corso Lima…)

Chiavari, capovalle della Fontanabuona, situata nel Golfo del Tigullio è tuttora definita “la città più argentina d’Italia”. Sui quotidiani locali le notizie sui paesini dell’entroterra si trovavano spesso nella stessa pagina insieme con quelli di Buenos Aires o Valparaiso. Le strade, le piazze, gli edifici pubblici della zona portano ancora oggi nomi sudamericani, e nei circoli e nei caffè dei paesi liguri gli “americani” si riunivano per parlare spagnolo e celebrare la festa dell’Indipendenza dell’Argentina.
Gli “americani” così chiamati, erano i tanti emigranti di ritorno, sia quelli che l’”America” non l’avevano trovata, sia quei pochi, che invece avevano fatto fortuna.

Palazzo Rocca – Chiavari.
Palazzo Rocca Costaguta è un‘antica dimora gentilizia il cui nucleo originario fu commissionato dalla famiglia Costaguta a Bartolomeo Bianco fra il 1626 e il 1635.
Palazzo Costaguta, poi Grimaldi, quindi Pallavicini e infine Rocca, dal nome dell‘ultimo proprietario.
Palazzo Rocca fu costruito, come si è già scritto, nel 1629 su progetto dell’architetto Bartolomeo Bianco per conto della famiglia Costaguta; nel’700 fu più volte rimaneggiato dai nuovi proprietari, i Pallavicino e i Grimaldi, e ceduto nel 1903 a Giuseppe Rocca, un chiavarese arricchitosi in Argentina.
Annesso al palazzo omonimo, il parco Rocca (oggi pubblico) si sviluppa lungo la collina, alle spalle della villa. La prima sistemazione organica che lo riguarda risale al XVIII secolo, in occasione dell’ampliamento del palazzo verso levante ad opera dei Grimaldi; ma l’allestimento attuale – progettato dall’architetto genovese Polinice Caccia e realizzato dalla ditta Bernasconi di Cornigliano – è del 1908, e fu voluto dalla famiglia Rocca, che aveva acquistato il complesso pochi anni prima (1903).
In linea con la trasformazione del palazzo – che divenne un’abitazione alto-borghese, arredata con gusto eclettico tardo ottocentesco e dotata di illuminazione elettrica e altre innovazioni tecnologiche – i nuovi proprietari adeguarono anche la fastosa cornice verde della loro dimora ai propri gusti ed esigenze.

Le orchidee tornano con gli emigranti
Giuseppe Rocca, emigrante fortunato, è vissuto per molti anni in Argentina, dove probabilmente ha avuto modo di conoscere ed apprezzare la flora esotica, che poi al suo ritorno ha voluto riprodurre nella sua nuova dimora chiavarese.
Forse lui stesso introdusse nel nuovo parco, insieme alle tante piante esotiche, anche varie specie di orchidee del centro e sud America, compreso il tanto amato Oncidium bifolium.

L’Oncidium bifolium fu sistemato all’aperto nel parco, sui tronchi degli aranci, dove si trovò subito a suo agio.
Molte orchidee cominciarono a diffondersi anche nelle costiere circostanti e in quei tempi non era difficile scorgere ceppi attaccati agli ulivi ed aranci dei giardini.
Con il trascorrere del tempo e con il paziente lavoro dei giardinieri, forse anch’essi emigranti di ritorno, il parco si arricchisce di nuove essenze ed è diviso in diverse aree: il lecceto, le conifere, il camelieto, il palmeto, le piante grasse, il roseto, i bambù, le serre monumentali con le orchidee, il tutto è abbellito con giochi di grotte, laghetti e ponticelli.

Passa qualche anno ed il nostro Oncidium bifolium (una varietà d’alta quota con la caratteristica di mostrare gli steli fiorali con gli pseudobulbi ancora giovani), all’evidenza mostra di saper resistere anche ai seppur miti inverni temperati della costiera Ligure.
Nel frattempo, qualche divisione della pianta (per fortuna), trova posto nel giardino di un bravo giardiniere del parco.

Il Palazzo Rocca diventa pubblico
Il palazzo, agli inizi del 900 è abitato dal nipote del proprietario Giuseppe Rocca, Luigi Daneri, che alla morte, come da indicazioni testamentarie dello zio è destinato a pubblica Galleria d’arte (1912).
Poi il Palazzo Rocca ed annesso parco, diventano proprietà del Comune di Chiavari.
Il tutto è aperto al pubblico dal 1987, Palazzo Rocca Costaguta diventa pinacoteca, secondo le volontà di Giuseppe Rocca a cui si deve, sulla scorta delle trasformazioni già operate dai Grimaldi, l‘attuale aspetto di dimora borghese.
Oggi il percorso si può leggere seguendo un triplice matrice: il museo della città; il museo dell‘abitare e, appunto, la pinacoteca.

Le orchidee del parco non vanno d’accordo con il pubblico
Il nostro Oncidium bifolium, che si era adeguato molto bene al clima Ligure, però non è riuscito a resistere alle attenzioni del pubblico e presto di lui, nel parco di Palazzo Rocca, si son perse le tracce.

Per fortuna, e grazie a quel giardiniere, che molti anni addietro sistemò la famosa divisione nel suo giardino, ora possiamo ancora ammirare il vecchio ed ormai secolare Oncidium.

Grande esemplare di Oncidium bifolium, attualmente proprietà dei Fratelli Giorgi di Lavagna (GE).
Nella foto si può ammirare la dimensione della pianta abbarbicata ad un tronco di arancio, gelosamente custodita da Alessandro Giorgi, appassionato (lui dice ex) e gran conoscitore del mondo delle orchidee.

Un bel mattino, squilla il telefono dell’ufficio dei Fratelli Giorgi (famosa famiglia di vivaisti di Lavagna), all’altro capo del filo, una voce femminile racconta la storia di un’orchidea presente nel suo giardino, attaccata ad un tronco d’arancio ormai morto e chiede se sono interessati all’acquisto.
Alessandro Giorgi, grande conoscitore di orchidee, coglie subito l’importanza della notizia e si raccomanda di non toccare ne dividere i ceppi.
L’arancio con l’ultima testimonianza di un’orchidea esotica vissuta per un secolo all’aperto in Italia è ora custodito nei “Giardini dei Giorgi” a Lavagna.

Visita ai Giardini dei Giorgi
Durante la mia visita alle serre e stante l’abbondanza vegetativa dell’Oncidium, mi son sentito autorizzato a chiedere ad Alessandro se potevo avere un piccolo ricordo: mi è stato risposto un no motivato – “desidero non toccare la pianta” .
In quell’occasione non avevo con me la digitale e pertanto son tornato il giorno seguente per immortalare la pianta con una foto.

La mattina seguente, Alessandro mi racconta la storia a grandi linee e giunto in prossimità della pianta, sposta il grande vaso per metterla in giusta posa e ad un tratto scorge un piccolo ceppo (due pseudobulbi ed un nuovo germoglio) caduto sul composto del vaso: con un gesto di rassegnazione e di amicizia lo rivolge verso di me, ora anch’io ho un piccolo testimone da custodire: grazie ad Alessandro e al destino.

Nota: se avete altre notizie in merito aggiungetele nei commenti, grazie

Orchidee di primavera…continuazione

Prosegue, geograficamente parlando, verso nord il viaggio inizato da Carlo Ivano e Gabriella in una valle tra le prime in provincia di Belluno, poco distante dal confine con la provincia di Treviso.
La valle in questione è quella di Schievenin più nota ai più non tanto per il suo interesse prettamente naturaliastico quanto per le sue palestre di roccia gettonatissime tra gli arrampicatori ed i freeclimbers.
Già luogo di scoperta nel mio post precedente della Cephalanthera longifolia, nella medesima zona ho rinvenuto altre specie di orchidee spontanee site, in questo caso, in un ambiente molto diverso dalla precedente.

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Orchis tridentata foto sopra

Eccezion fatta per la Orchis tridentata Scopoli che nel suo cromatismo più scuro ho trovato al limite esterno di un noccioleto in un prato e per la Dactylorhiza maculata (Linnaeus) Soó fotografata ai margini

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Dactylorhiza maculata (foto sopra a sinistra) – Neottia nidus-avis (foto sopra a destra)

del torrentello che scorre in fondo alla valle, le altre sono state tutte rinvenute all’interno del noccioleto in condizioni di luce scarsa
 width= data la copertura delle fronde dei noccioli su terreno soffice e ben umido in mezzo ad una distesa di pervinche.

Le tre orchidee in questione, o meglio due dato che la terza è sempre la Orchis tridentata ma con un cromatismo più chiaro dettato probabilmente dalle condizioni di luce più scarse sono:
Listera ovata (Linnaeus) R. Brown
(foto a sinistra)
Neottia nidus-avis (Linnaeus) L.C. M. Richard

La giornata è conclusa con una leggera pioggia gisto ad omaggiare una mattinata di domenica dedicata a “scarpinare” a destra e a manca tra rocce calcaree roveti e quant’altro si possa trovare in un sottobosco.

Orchidee di primavera di G. & C.I.

Mai come in questo periodo nel nostro territorio Veneto, dai litorali alla Pedemontana, si possono ammirare così vaste e varie fioriture di orchidee spontanee.

Il percorso, uno dei tanti da noi effettuati per confermare siti già conosciuti da noi e che comunque riservano sempre nuove sorprese o alla ricerca di nuovi, ci porterà in tre province Venete: Venezia, Padova e Treviso.

Partendo dal confine con il Friuli Venezia-Giulia, dove alle foci del Tagliamento (Bibione) troviamo Cephalanthera rubra (L.) L.C.M. Richard “Elleborina rosea”. (foto in alto a sinistra)

Dai confini del basso Friuli al litorale Veneziano
Abbandoniamo l’alto Veneziano, ci spostiamo lungo la costa Adriatica e precisamente nella pineta del Cavallino (Jesolo) per ammirare questo magnifico esemplare di Epipactys helleborine alto più di 90 cm:

Epipactys helleborine (L.) Krantz.
Nota anche con il nome di”Elleborina comune”. (foto sopra)
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Dendrobium chrysotoxum: scheda

Bagliore giallo

Dendrobium chrysotoxum – Collezione Guido De Vidi – foto 01.06.06 – Diritti riservati


Dendrobium chrysotoxum Lindley 1847
Sezione: Callista
Sinonimi: Callista chrysotoxa (Lindl.) Kuntze 1891- Callista suavissima Kuntze 1891- Dendrobium suavissimum Rchb.f 1874

Specie botanica epifita, con pseudobulbi fusiformi portanti foglie (4-5) apicali, lanceolate. E’ nativa della Birmania, Laos, Tailandia, Cina e India.
Nelle nostre collezioni Europee il Dendrobium chrysotoxum fiorisce in primavera: Aprile-Maggio.

Questo generosissimo Dendrobium è conosciuto anche come “Orchidea di Dai”

Nello Yunnan, Cina del Sud, vive la minoranza culturale “Dai” di religione buddista, che ama molto i fiori. I loro fiori preferiti sono quelli del Dendrobium chrysotoxum , perchè propongono il colore giallo/arancione, lo stesso della loro religione e fioriscono esattamente nel periodo delle feste d’Aprile.

Le popolazioni di quelle terre coltivano con passione, esemplari di Dendrobium chrysotoxum , sistemandoli sui tetti delle loro case e sui rami degli alberi: immaginate che botta di colore e luce.
Questa specie botanica è veramente resistente e molto duttile: può tollerare una vasta gamma di situazioni climatiche e colturali.

I coltivatori smaliziati dicono: “Procurati una pianta di Dendrobium chrysotoxum , per metà anno bagnala a volontà, l’altra metà dell’anno tienila secca, ma sempre in piena luce e vedrai sempre bellissime fioriture, che dureranno quasi un mese intero.”
Proprio così non è…ma poco ci manca: l’esemplare della foto rimane appeso nella parte alta e luminosa della mia serra tutto l’anno con poca acqua durante la fase del semi riposo, più abbondante nei mesi che precedono la fioritura e, poco fertilizzante.

In coltivazione si consiglia di tenere quest’orchidea in vaso: nei luoghi d’origine si sviluppa bene in magri anfratti rocciosi o sugli alberi.

Ascocentrum curvifolium

Una specie molto solare
Pianta fantastica, esemplare da esposizione…da far impazzire i giudici.
Questa orchidea sarà presto esposta a Salzano VE in occasione della locale festa popolare dove il nostro Club collaborerà con gli amici delle piante carnivore.

Ascocentrum curvifolium – Collezione Guido De Vidi – foto 31.05.06 – Diritti riservati

Ascocentrum curvifolium (Lindl.) Schlecter 1913
Ascocentrum rubrum (Lindl.) Seidenf. 1988
Gastrochilus curvifolius O.Ktze. 1891
Saccolabium curvifolium Lindley 1833
Saccolabium miniatum Hooker not Lindley 1862
Saccolabium rubrum Lindley 1828

Tribù: Vandeae
Sottotribù: Sarcanthinae

La specie, scoperta nel Nepal è stata descritta con il nome di Ascocentrum curvifolium, nei primi anni del diciannovesimo secolo, ma è stata inviata in Europa al Dr. Wallich molti anni prima. J.Lindley forse la descrisse per la prima volta, nel 1833 con il nome di Saccolabium curvifolium.
Ascocentrum curvifolium è certamente la specie più rappresentativa del genere, anche se nelle collezioni non è molto frequente poterla ammirare.
Il colore molto luminoso (arancio o rosso/rubra) dei fiori, rende questa specie molto ricercata per le ibridazioni intergeneriche: le Vandaceae ibridate con A. curvifolium producono discendenti con piante molto più piccole e compatte rispetto alla dimensione del genitore Vanda, ma con i fiori grandi come quelli delle Vanda e spesso con la luminosità di quelli dell’ A. curvifolium.
Recentemente la varietà a fiori rossi è stata separata daA. curvifolium ed ora è da considerarsi specie distinta con il nome di: Ascocentrum rubrum.
Il fogliame lungo e ricurvo è la caratteristica evidente di A. curvifolium, ma ciò nonostante questa specie è stata spesso confusa con A. garayi che, seppur anch’essa con le foglie tronche e seghettate in punta, quest’ultime sono più corte, rigide e tozze.
E’ un’orchidea epifita a sviluppo monopodiale, predilige temperature calde e molta luce (in serra va tenuta nella parte più alta con pochissima ombreggiatura).
Fiorisce in tarda primavera. Consiglio di coltivare questa specie su cestini con asticelle di legno, substrato di bark grosso e sfagno (lo sfagno assume importanza nella prima fase di crescita della pianta).
A. curvifolium non richiede particolari periodi di riposo. Ad ogni modo tenuto conto che va collocato nella parte più calda, luminosa e secca della serra, richiede bagnature abbondanti soprattutto durante la fase vegetativa.
Attenzione alle bagnature invernali, le basse temperature ed il ristagno d’acqua producono marcescenze
Leggete anche questo post per vedere gli sviluppi dell’esemplare.