La Regina di una notte di mezza estate a Schio (Vicenza)
Prima di scrivere le mie impressioni su questa specie botanica ho dovuto compiere parecchie ricerche scientifiche e se devo dire il vero, qualche dubbio mi rimane, l’unica certezza è la sua indubbia bellezza.
La pianta rappresentata nella foto, a mio avviso è da considerarsi Cattleya leopoldii e nel prosieguo della mia analisi cerco di spiegare il perchè.
Collezione Guido De Vidi – foto 12.07.06 – Diritti riservati.
Cattleya leopoldii Versch. 1854 sottogen. Falcata sez. Guttatae. Sinonimi: Cattleya tigrina; Cattleya guttata Lindley var. leopoldii Lem 1885; Epidendrum eliatus var. leopoldii Rchb.f 1862.
Prima di addentrarci nella descrizione di questa specie, per i motivi enunciati in precedenza, occorre fare un’analisi tassonomica più approfondita perchè non è molto facile stabilire con esattezza qual è il nome di specie più accettato.
L’orchidea in questione è stata importata in Europa dalla ditta belga Verschaffelt, che l’ha registrata con il nome di Cattleya leopoldii nel 1854. Poi è stata descritta da Lemaire, nel 1855, come varietà della Cattleya guttata Lindley, ricevendo anche in quell’occasione la denominazione di var.’leopoldii’ in omaggio e onore al re Leopoldo di Belgio, un grande appassionato delle orchidee esotiche.
Qualche autore sostiene che questa specie sia in realtà la stessa classificata 7 anni prima da Richard, con il nome di Cattleya tigrina, altri studiosi ancora, la ritengono molto prossima alla descrizione della Cattleya guttata.
E’ evidente l’incertezza, che diventa problematica anche nei nomi delle ibridazioni discendenti da questa specie botanica.
Per inquadrare la situazione dobbiamo partire dalla specie di riferimento: Cattleya guttata
Cattleya guttata descritta da Lindley nel 1831 è sicuramente una delle più importanti fra tutte le Cattleya brasiliane raccolte da Robert Gordon in 1827.
Molta incertezza nasce con le specie similari dello stesso gruppo e soprattutto con i nomi dei moltissimi ibridi discendenti.
Il primo problema si presenta con la Cattleya leopoldii ed effettivamente molte forme tigrate scure della Cattleya guttata , si assomigliano molto. Sembra che la differenza sostanziale per individuare le due specie sia nella formazione del pannicolo dei fiori, che nella Cattleya leopoldii escono dal fodero ancora verde dello pseudobulbo annuale maturo, generalmente in tarda primavera-estate, mentre nella Cattleya guttata i fiori escono sempre dallo pseudobulbo maturo, ma dopo un breve riposo e dal fodero secco. Il periodo della fioritura è riferito al nostro emisfero settentrionale.
Altre differenze sono rilevate anche nel diverso numero di fiori e nella dimensione delle piante ma qui si entra in un terreno minato perchè queste caratteristiche variano sostanzialmente in funzione del tipo di coltivazione.
Le successive argomentazioni possiamo considerarle utili per tutta la gamma delle “guttate”.
Ambiente d’origine, caratteristiche morfologiche e note colturali
E’ una specie endemica del Brasile: Alagoas, Bahia, Espírito Santo, Minas Gerais, Paraná, Pernambuco, Rio Grande do Sul, Rio de Janeiro, Santa Catarina e São Paulo.
E’ una pianta epifita a sviluppo simpodiale, con pseudobulbi a canna, avvolti da foderi bianchi con 2 a volte 3 foglie apicali consistenti, oblunghe ed ellittiche.
All’apice degli pseudobulbi, in primavera-estate spunta uno stupendo pannicolo, portante secondo la specie, 8-15 fiori profumati e di lunga durata.
Cattleya leopoldii, come già scritto è collegata strettamente a C. guttata e/o C. tigrina, e questi accoppiamenti tassonomici rendono più apprezzabile la descrizione che sarebbe più difficile se fatta separatamente.
Senza entrare nei dettagli, come guida di base possiamo specificare che la C. guttata produce fiori più piccoli con labello stretto e minuti, mentre nella C. leopoldii i fiori sono più grandi ed il loro labello è largo e ben sviluppato.
Inoltre la Cattleya leopoldii produce meno fiori e di solito color marrone, a differenza della gamma molto varia, che troviamo invece nella C. guttata.
In natura la dimensione della C. leopoldii è solitamente la metà della C. guttata, ma in coltivazione le grandezze sono molto legate all’ambiente, luce e tipo di coltivazione.
Coltivazione
Le specie di questo gruppo, come la maggior parte delle epifite, sono xerofite (periodo di secco) ed in natura si sono adattate perfettamente a condizioni ambientali limite: resistono a lunghi periodi di secco e le loro radici grosse e leggermente pelose si insinuano in tutti gli anfratti, assolvendo la duplice funzione di sostegno (alberi e pendii) e da magazzino di cibo ed acqua.
Cattleya leopoldii richiede clima da serra calda e umida con buona ventilazione e tanta luce (quasi diretta)
Stante la sua dimensione ed il portamento eretto, conviene coltivarla in vasi con composto di corteccia media (dove è possibile il reperimnto si può anche usare xaxim sminuzzato e/o pezzetti ci cocco). Buoni successi si possono ottenere anche usando substarti inerti.
E’ utile rallentare o cessare le bagnature durante i due mesi invernali Dicembre e Gennaio.
Il ciclo delle fertilizzazioni e dei trattamenti protettivi seguono lo standard del suo genere: dosi generose durante il periodo vegetativo di concime equilibrato NPK 20.20.20, e 2 trattamenti di NPK 10.30.20 nella fase di maturazione delgli pseudobulbi giovani.
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