Libro Orchidea; parte 2

Parte: 2

CAPITOLO 5 Sognando la serra amatoriale per coltivare orchidee.

5.1. Primi problemi da risolvere.
Per evitare brutte sorprese con la legge, prima di decidere qualità, dimensione e stile della serra dei sogni è indispensabile analizzare la situazione urbanistica del territorio in cui si vive. La serra, piccola o grande che sia è un immobile e come tale è soggetto alle normative di legge che regolano la pianificazione urbanistica del territorio. In materia urbanistica ci sono leggi e normative, europee, nazionali e regionali, che si aggiungono, e a volte si sovrappongono a quelle locali.

Con l’arrivo delle nuove tecnologie rivolte alla produzione di energia rinnovabile (pannelli fotovoltaici) sono entrate in vigore nuove leggi in aggiunta alle prescrizioni urbanistiche già esistenti. A grandi linee le serre si suddividono in due tipologie: mobili e fisse. Entrando nel merito legislativo, va ricordato che i vari livelli istituzionali legiferano in modo autonomo, e pertanto, quando si decide di costruire una serra sia essa fissa o mobile è necessario prendere in esame l’intera mole di norme e regolamenti in vigore.

Nota per la tipografia: la foto è stata ricavata dal sito europrogress” vedere la dimensione e la qualità
foto 48 E’ considerata serra mobile, una struttura rivolta alla protezione stagionale delle colture, non dotata di fondazioni, costruita in legno o tubolare metallico e con copertura degli impianti in film plastico. Essa può essere ancorata al suolo con sistemi di bloccaggio ed è subordinata alla comunicazione al sindaco. Rientrano nella tipologia di serre fisse, quelle dotate di fondazioni e muri di cinta.

Foto 2: serra fissa
Nota per la tipografia: la foto è di piccole dimensioni è stata incollata dall’archivio fotografico di SerreGiardini, serve la stessa a misura grande.
foto 49 Conoscere la differenza tra serra mobile e serra fissa è un valido aiuto nelle fasi iniziali, ad esempio, nei casi in cui non si può ottenere la canonica concessione edilizia, sarà possibile optare per la serra “mobile”, installabile con una dichiarazione di inizio lavori, o una semplice comunicazione al Sindaco. Quanto già scritto, vale anche se si decide di installare una piccola serra su un lastrico solare o sulla terrazza. In questi casi possono intervenire ulteriori vincoli di carattere architettonico.

Prima di avventurarci in edificazioni incerte è quindi utile affrontare i vari adempimenti burocratici. Molti amici orchidofili hanno dovuto chiudere con la coltivazione delle orchidee proprio per problemi urbanistici. Prima o poi si incontra sempre il vicino o l’amico zelante (eufemismo), che trova il tempo per fare qualche denuncia.

5.2. Individuare lo spazio per la serra.
Quando il sogno della serra per coltivare orchidee esotiche nasce insieme alla costruzione di una nuova dimora, ci troviamo nella situazione ideale perché possiamo valutare le varie soluzioni, insieme al progettista.
In questo caso le dimensioni e lo stile della serra saranno solamente legate alle disponibilità economiche ed alla creatività dell’architetto.
Non sempre, in sede di progettazione di una nuova casa, il tecnico incaricato ci propone anche uno spazio per coltivare le piante esotiche. Soprattutto in Italia, a differenza di altri paesi, manca la cultura del verde. manca quella sensibilità proggettuale, che considera gli spazi da adibire alla vita delle piante, parte integrante dell’abitare e non onere accessorio. Stante questa situazione, purtroppo, per soddisfare la nostra prorompente passione dobbiamo trovare soluzioni postume:

1. Disponibilità di ampi spazi esterni dove poter edificare la serra in un corpo isolato.
Questa è sicuramente la situazione più auspicabile, ma anche la più costosa, perché bisogna edificare una struttura del tutto indipendente da eventuali corpi edilizi esistenti. Nella fase di studio va data massima importanza alla disponibilità di luce solare per gran parte delle ore del giorno; vanno quindi scelti spazi lontani almeno cinque metri da altri edifici esistenti e da alberature ad alto fuso. Altro punto fondamentale da analizzare preliminarmente è la disponibilità degli allacciamenti ai servizi: energia elettrica, gas e acqua potabile.

2. Addossare la serra, ad un corpo esistente.
Con questa soluzione si ottengono buoni risultati in termini di costi e di consumi. Inoltre, creando una struttura con linee architettoniche in armonia con l’esistente, può nascere veramente la serra dei sogni, il classico giardino d’inverno godibile anche come loggia luminosa. In questo caso è importante che lo spazio dove si installa la serra sia a sud sud-ovest della casa.

3. Utilizzo dei lastrici solari nelle abitazioni con tetto piatto ed accessibile.
Chi abita in case di questo tipo, anche se non dispone di spazi scoperti, può realizzare ugualmente il sogno della serra per le sue orchidee. C’è però un problema in più da risolvere: controllare l’ impermeabilizzazione della porzione di tetto adibita a pavimento della serra.

4. Sfruttare le ampie e soleggiate terrazze e terrazzini di cui sono dotati certi alloggi.
Fatte sempre salve le famose limitazioni urbanistiche, con un po’ di ingegno si possono realizzare delle graziose prospicienze chiudendo una porta finestra o attrezzando qualche ampia vetrata.

5. Inventare piccole soluzioni, ovvero le serre, che chiameremo “domestiche”.
Il pensiero va dritto al vecchio acquario in disuso parcheggiato in magazzino, non c’è nulla di più facile che far diventare “orchidario” un ex acquario.

5.3. La Serra in giardino.

foto 50 Dopo aver individuato la nostra piccola o grande porzione di terreno da destinare a serra, e sistemati anche un pò di conti in tasca, finalmente abbiamo deciso le misure: larga cinque metri e lunga sei. Si dirà:
“Non sarà troppo grande?”
In effetti, trenta metri quadri di spazio coperto prefigurano una bella serra, ma la serra non sarà mai troppo grande, questo ce lo ricorda anche l’amatissima Rebecca Tyson Northen in uno dei suoi libri. Quando lei ci dava i suoi consigli su come farci la serra, eravamo negli anni sessanta del secolo scorso, ma ancora nessuno meglio di lei è riuscito a far sintesi delle emozioni e delle aspirazioni del collezionista di orchidee tropicali. Quel libro porta il titolo (LE ORCHIDEE) edizioni Rizzoli 1981, ora introvabile e mai più ripubblicato in lingua italiana. Riscopriamo la sua delicata maniera espositiva andandoci a leggere alcuni paragrafi del suo libro:

foto 51“Il primo consiglio che ci sentiamo di dare ad un futuro possessore di serra, è di farsene una abbastanza grande da poter contenere il suo hobby in sicuro e costante aumento. Una serra piccola può dare l’impressione di essere immensa, al principio, se la si paragona al piccolo posto che normalmente si concede alle piante da appartamento. Ma è leggendario che i coltivatori di orchidee non sono mai soddisfatti: continuano ad aumentare le proprie collezioni.
All’inizio, forse, non vi interessate che di una specie o due e vi ritenete contenti con pochi esemplari di ciascuna. Ma è inevitabile che vi innamoriate quanto prima di un’altra specie e poi di un’altra ancora. E allora comprerete due o tre piantine dell’una e poi due o tre piantine dell’altra. E le piantine diventeranno piante adulte, e le piante adulte avranno presto bisogno di essere divise. Così, in un tempo relativamente breve, i vostri bancali saranno affollatissimi e a questo punto non potrete che unirvi alla generale lamentela: «Oh! se avessi un po’ più di posto!».

Vi suggeriamo quindi di non cambiare automobile per qualche anno o di fare una vacanza meno dispendiosa, per potervi così permettere di costruire una serra piuttosto grande per le orchidee. Vi sono anche altre ragioni per non farsi una serra troppo piccola. Una serra molto piccola è difficile da organizzare; lo scarso volume d’aria si scalda rapidamente e si raffredda rapidamente, creando un forte sbalzo di temperatura. E lavorare in una serra piccola è difficoltoso. Le infiorescenze grandi si intrecciano le une alle altre, le piante non hanno spazio sufficiente e la mancanza di spazio determina cattive condizioni di coltura. La dimensione minima (che non permetterà la coltivazione di un gran numero di esemplari) è di circa 2 metri e mezzo per 3 metri. Questa ampiezza permette di avere due bancali laterali e un passaggio al centro. Se invece l’ampiezza è di 3 metri e 70 centimetri, potrete avere due bancali ai lati e uno in centro, con due passaggi. Una serra di 4 metri di ampiezza per 5-6 metri di lunghezza vi offre abbastanza spazio per coltivare un numero veramente soddisfacente di piante e, nello stesso tempo, non è troppo grande perché una persona anche con altri impegni non possa occuparsene nel suo tempo libero.

Il costo di una serra e dell’equipaggiamento non si raddoppia, quando lo spazio si raddoppia; è di metà o di un terzo in più. In altre parole, potrete avere uno spazio doppio con un costo maggiorato appena di metà o di un terzo. Per avere un’idea dei tipi e dei costi di una serra, chiedete i cataloghi a diversi rivenditori e fabbricanti; visitate anche qualche serra nella regione dove abitate. Parlate ai proprietari, cercate di scoprire quali sono i difetti di certi tipi di impianti e quali ne sono le caratteristiche interessanti, in modo che possiate evitare i primi e adottare le seconde. Informatevi sull’efficienza dei termosifoni e prendete nota di ogni particolare, controllando quali dei sistemi adottati possono essere adatti per le orchidee. Esaminate accuratamente il rapporto fra le forme delle serre e lo spazio che ciascuna offre per i bancali. Forse, il tipo di serra più economico, da un punto di vista dello spazio e dell’efficienza del lavoro, è ancora quello che è in uso da molti anni.


Alcuni stili moderni possono attrarre per considerazioni di carattere estetico, ma prima dell’estetica vengono i requisiti fondamentali e necessari per una buona conduzione. Una serra può costituire un’unità a sé, o può essere appoggiata a un fabbricato esistente. In quest’ultimo caso, può essere congiunta a un estremo, con tutta la lunghezza della serra che corre all’esterno, oppure può essere appoggiata al fabbricato per un fianco, con il muro di questo che serve come muro laterale della serra stessa. Meno opportuna per la coltivazione delle orchidee è un passaggio, coperto e chiuso da vetri, tra due fabbricati, la casa e il garage, ad esempio. Questa soluzione non offre sufficiente luce, ma se si scelgono tipi di orchidee adatti per questo ambiente, anche questa soluzione può essere accettata e una serra così concepita darvi buone soddisfazioni. Nello scegliere il luogo per la serra, occorre tenere presente che questa deve poter ricevere tutta la luce possibile, in tutto l’arco del giorno. Se oltre che la serra state facendo i piani di costruzione anche di una nuova casa, allora potrete riservare ad essa un posticino buono; trovare invece una soluzione ideale in uno spazio dove esistono già costruzioni talvolta non è compito facile.”>

5.4. Scelte preliminari.
Il nostro sogno comincia a prendere corpo e dopo aver risolti gli aspetti burocratici, individuati gli spazi e decisa la dimensione, ora possiamo scegliere i materiali per costruirla. Se paragoniamo l’edificazione della nostra serra ad un viaggio verso una meta sognata, ora ci troviamo ad un bivio di importanza strategica:

1. Scelta della Ditta costruttrice.

2. Modalità e tipologia delle infrastrutture.

foto 52 La scelta della Ditta costruttrice assume un ruolo fondamentale per la buona riuscita del progetto, questa deve garantirci la qualità dei materiali e nel contempo la pazienza nel fornire risposte alle nostre mille domande, in buona sostanza deve nascere il “feeling” fra noi e il fornitore. Un concetto questo, che potrà sembrare scontato, ma non lo è. Non dobbiamo commettere l’errore di accontentarci delle prestazioni del bravo “artigiano generico”, nè avere la presunzione di saper far tutto. Il giusto equilibrio si trova consultando le ditte costruttrici di serre amatoriali, ad esempio “Serre Giardini”, azienda di medie dimensioni che propone la qualità delle serre professionali applicata a quelle amatoriali.
Scelta la ditta a cui affidare la costruzione della serra, le prime opzioni da valutare sono, la modalità e la tipologia delle infrastrutture da realizzare:

1. effettuare uno sbancamento del perimetro interno alla serra – anche profondo un metro – per guadagnare in altezza ed in risparmio energetico.

2. costruire un muretto di cinta, sul quale poggiare l’intera struttura.

3. apoggiare la serra direttamente al livello del suolo.
In ogni caso il pavimento interno alla serra deve essere drenante. Per ottenere un’ottimo drenaggio si effettua un lieve sbancamento del suolo (20 centimetri) e si rimpingua con ghiaia macinata che servirà da polmone assorbitore. Nel caso di costruzione semi interrata si effettua uno sbancamento maggiore a quello desiderato. I camminamenti di servizio potranno essere impreziositi con lastroni, a forma irregolare, di pietra viva. Durante questa fase, che possiamo definire di fondazione, non dobbiamo dimenticarci di pensare alle varie infrastrutture necessarie per gli allacciamenti:

1. Condotte sotterranee per l’energia elettrica, il gas e l’acquedotto.

2. Vasca sotterranea o in superficie per raccogliere le acque pluviali provenienti dalle grondaie.

5.5. Il sogno prosegue.
foto 53 Abbiamo già preparato la base sulla quale posare la serra ed ora, con l’aiuto del nostro amico costruttore, possiamo individuare l’agibilità complessiva: modalità di accesso alla serra, materiali e impiantistica. La porta di ingresso, nel limite del possibile, conviene collocarla dal lato più stretto e possibilmente verso sud. Così facendo si ottiene un’ottima resa del sistema di raffreddamento della serra. Per quanto riguarda i materiali ha molta importanza la modularità dei suoi elementi strutturali già prefabbricati, questa peculiarità, consente maggior facilità di montaggio e smontaggio. Possiamo suddividere i materiali di costruzione della serra, in tre standard:

1. Standard di elevata qualità, che prevede strutture portanti in alluminio, pannelli perimetrali in vetro camera ed elementi di copertura in policarbonato.

2. Standard di media qualità, che prevede strutture portanti in profilato di ferro zincato e pannelli di policarbonato.

3. Standard minimale, che prevede strutture portanti in tubolare zincato e copertura in nylon a foglio semplice o doppio e gonfiato.

L’esperienza personale mi spinge ad affermare che, esclusa la soluzione a “telo” singolo, le altre sono quasi equiparabili sotto l’aspetto della resa termica: la differenza sta tutta nella durata e sulla diversa qualità estetica.

L’effetto “serra”, ottimo sistema per catturare l’energia solare, pone problemi di sovratemperature, generalmente risolto con finestre di apertura variamente automatizzate. Le aperture, se da un lato arieggiano e raffrescano la serra, d’altro canto abbassano drasticamente l’umidità interna, creando in tal modo periodici “stress” secchi.
Nella serra ideale per coltivare orchidee, il mantenimento di un alto (60/70%) e costante valore di umidità è molto importante, ed il raffrescamento ottenuto esclusivamente con aperture – per i motivi già esposti – può essere dannoso.
Non servono aperture supplementari alla porta di ingresso, i parametri (umidità – temperatura) interni saranno gestiti da appositi sistemi di coibentazione, umidificazione e ricambio interno dell’aria.
La misura in altezza delle pareti assemblate con moduli prefabbricati sarà stabilita a seconda che esse, siano poggiate ed ancorate sulla base della fondazione, piuttosto che sul muretto di cinta. In entrambi i casi il risultato complessivo potrà vedere le pareti alte minimo due metri, mentre il colmo del tetto, tenuto conto delle canoniche pendenze (30/35%), potrà superare i tre metri di altezza.
foto 54 Due aspetti molto importanti da considerare in fase di costruzione del tetto sono:

1. Intelaiatura portante e sovrastante il tetto di 40 centimetri dove poggiare la rete ombreggiante.

2. Grondaie di raccolta dell’acqua piovana.

Le uniche aperture ed immissioni di aria dall’esterno in questo modello di serra saranno offerte dalla porta di accesso (80-100 cm.), e sul lato opposto, dai pannelli alveolari per il raffreddamento interno “cooling”. Qualora si decidesse di coprire il tetto della serra con doppio nylon gonfiabile, si dovranno installare tubature curve e mantenere una intercapedine di aria non superiore a 10 cm. fra i due teli, che sarà gestita da un ventilatore centrifugo pilotato da un pressostato.

5.6. Organizzazione interna
foto 55 La gran parte delle oltre 25000 specie di orchidee sono epifite, questo implica una particolare organizzazione interna della serra. I supporti interni siano essi bancali, ganci o reti di appoggio, dovranno rispondere alle esigenze vegetative delle piante e cioè:

1. poter ispezionare tutte le piante esposte.

2. disporre di bancali a gradini per ottenere il massimo utilizzo degli spazi, in un bancale largo due metri si possono ricavare sei gradini – tre per lato – che ci consentiranno di incrementare del 25% lo spazio utile.

3. allestire i gradini – dove poggiano i vasi delle piante – con rete metallica zincata; in commercio si trovano varie misure e sezioni. Questa soluzione garantisce, robustezza, resistenza nel tempo e massima diffusione della luce fra le piante.

4. collocare all’apice centrale della piramide del bancale, una rete verticale. Così facendo si ottiene una griglia dove poter appendere le zattere delle orchidee epifite che richiedono maggior luce.

Nella realizzazione dei bancali è indispensabile prevedere uno spazio di “camminamento e lavoro” attorno ad essi non inferiore a settanta centimetri. Il primo gradino di supporto dei vasi, può essere collocato ad un’altezza di settanta-ottanta centimetri dal suolo, in ogni caso si deve calcolare un giusto equilibrio delle masse fra la base ed il soffitto. E’ utile ricordare che con una corretta organizzazione degli spazi, in una serra di orchidee, si possono ottenere quattro ed anche cinque livelli di microclimi diversi.

foto 56 L’impiantistica interna per la gestione della serra, dovrà godere di un alto tasso di automazione. Questo si ottiene con un controllo complessivo, sia in loco che remoto, pilotato da un (PLC). Controllore logico programmabile, letteralmente (Programmable Logic Controller) specializzato in origine nella gestione o controllo dei processi industriali. Il PLC esegue un programma ed elabora i segnali digitali ed analogici provenienti da sensori e diretti agli attuatori presenti in serra.

Un buon livello di controllo e gestione automatici si ottiene anche con l’ausilio di termostati e umidostati digitali. Complessivamente la serra dovrà essere dotata dei seguenti attuatori di sevizi:

1. Sistema di riscaldamento pilotabile. La scelta della fonte sarà determinata dalle disponibilità in loco. In caso sia disponibile energia elettrica prodotta con pannelli fotovoltaici si può optare per la pompa di calore, in altri casi si può ricorrere ad altre fonti energetiche, non da ultima la stufa a pellet.

2. Ventilatori per il movimento interno dell’aria.

3. Aspiratore per il ricambio dell’aria interna.

4. Pompa per le bagnature, ed i trattamenti da 10-20 bar.

5. Pompa ad alta pressione (70 bar), filtri, ugelli, porta ugelli e tubi di raccordo per la nebulizzazione interna (FOG).

6. Pompa per il ricircolo dell’acqua nei pannelli (cooling) e relativo kit modulare.

Tutte le apparecchiature elencate sopra vanno organizzate e gestite da un quadro di protezione, comando, e controllo di tutte le funzioni richieste, comprese alcune prese di corrente e qualche punto luce per le normali esigenze operative interne. Sembra una centrale elettronica, ma appena inizieremo ad affrontare i vari aspetti funzionali, capiremo che non è poi tanto difficile. Se si opta per la soluzione (PLC), tutto diventa più semplice e meno costoso, però serve qualcuno che sappia implementare le programmazioni software.

CAPITOLO 6 – Controllo e gestione di temperatura e umidità interne.

6.1. Supporti tecnologici.
La temperatura interna alla serra va tenuta negli standard voluti con riscaldamento supplementare in inverno e con il raffrescamento nelle stagioni calde. Il riscaldamento invernale va scelto tenendo conto delle disponibilità tecnologiche esistenti ed individuando la fonte energetica più economica: gasolio, gas metano, geotermia, pompa di calore, stufa a pellet o propaggine dell’abitazione. A prescindere dalle fonti, le soluzioni tecniche, possono essere di tre tipi:

1. Generatori di aria calda.

2. Radiatori o tubi alettati, collegati con il riscaldamento dell’abitazione.

3. Tubazioni a pavimento, con acqua a bassa temperatura, collegati l’impianto dell’abitazione.

Riscaldare costa e quindi vanno trovate tutte le strategie per risparmiare. Nella stagione invernale, molti coltivatori usano proteggere internamente la serra con nylon supplementare dotato di piccole camere d’aria a forma ovale. Il raffrescamento, o meglio, il giusto regime della temperatura e dell’umidità interne durante i mesi caldi è dato dalla magica simbiosi di due parole: “fog e cooling”.

Qualche anno fa, mettiamone più di venti, le serre amatoriali per la coltivazione delle orchidee erano poche e generalmente autocostruite. Le motivazioni erano tutte legate ai costi proibitivi dei materiali e delle implementazioni tecnologiche, e quei pochi appassionati di orchidee si cimentavano nella coltivazione in condizioni veramente difficili.
Il problema principale che si presentava al coltivatore dilettante era il controllo della temperatura massima in serra. Nelle serre a coltivazione “standard” (ortaggi, talee ed altro) è sufficiente il raffrescamento ottenuto con aperture, mentre le nostre serre amatoriali devono rispondere anche al costante mantenimento dell’umidità relativa dell’aria, non garantito dalle occasionali aperture. La tecnologia che consente la corretta gestione della temperatura e della umidità di una serra amatoriale è quella già applicata su larga scala nelle serre professionali e cioè: nebulizzazione e raffrescamento evaporativo. L’impiantistica necessaria si realizza con due applicazioni tecnologiche:

1. Impianto nebulizzante interno alla serra, detto “sistema fog”.

2. Impianto di raffrescamento, detto “sistema cooling”: immissione di aria dall’esterno attraverso pannelli alveolari bagnati.

L’aria entra per depressione interna provocata da estrattori posizionati nella parte alta del lato opposto ai pannelli stessi. Nel passato questa tecnologia era economicamente compatibile solo per grandi serre, ora i costi sono abbastanza contenuti ed è possibile usarla anche per serre amatoriali.

6.2. Qualche nozione di termodinamica.
Il processo termodinamico che fa modificare lo stato dell’aria può essere definito “controllo adiabatico”.

ADIABATICA – dal greco adiábatos, impenetrabile al calore-. Indica la trasformazione subita da un gas o vapore quando il passaggio da uno stato iniziale a uno finale avviene senza scambio di calore con l’esterno. Durante una espansione adiabatica, un fluido si raffredda, durante una compressione adiabatica un fluido si riscalda. Ogni trasformazione adiabatica è quindi accompagnata da variazioni di energia interna.
ARIA – L’aria è una miscela di azoto (78 %), di ossigeno (21 %) e di piccoli quantitativi di altri gas. L’aria atmosferica contiene anche vapore acqueo o (umidità), se non contiene vapore viene detta aria secca mentre nel caso opposto viene detta aria umida.
foto 57 Il processo adiabatico non prevede apporto di energia termica dall’esterno: l’acqua presente nei pannelli alveolari viene finemente nebulizzata dall’aria e immessa nell’ambiente. Il processo necessario per la trasformazione e/o mantenimento dell’acqua da liquido a vapore viene fornito dall’aria immessa, che quindi diminuisce la propria temperatura.
Le proprietà termodinamiche dell’aria umida sono regolate dalle leggi della fisica, per poter capire i fenomeni che ci interessano, evidenziamo alcuni concetti:

1. Temperatura a bulbo asciutto espressa in °C è quella misurata da un termometro ordinario.

2. Temperatura a bulbo bagnato espressa in °C è quella rilevata con un termometro il cui bulbo sia stato ricoperto da una garza bagnata con acqua pura ed esposto ad una corrente d’aria in moto turbolento (velocità maggiore di circa tre m/s). Il termometro dove essere schermato e protetto da eventuali effetti radianti.

3. Umidità relativa (RH) è la percentuale di umidità presente nell’aria rispetto a quanta ne sarebbe contenuta se saturata alla stessa temperatura. Solitamente è espressa come percentuale.

4. Temperatura al punto di condensa espressa in °C, o temperatura di rugiada è quella che provoca la condensa dell’acqua contenuta nell’aria. In questo stato l’umidità relativa dell’aria è del 100% e le temperature a bulbo asciutto o bagnato sono le stesse.

5. Saturazione adiabatica è il trasferimento di una certa quantità del calore sensibile dell’aria (calore che può essere percepito) sotto forma di calore latente aggiunto (calore non percepito). Durante questo processo il calore totale in un determinato volume d’aria rimane esattamente lo stesso, ma la proporzione tra calore sensibile e calore latente è stata modificata. Quindi, aggiungendo acqua vaporizzata alla massa di aria presente in serra, si diminuisce la temperatura fino a raggiungere la sua saturazione: “temperatura di rugiada”.
Come possiamo ottenere questo effetto:

1. Con il sistema “fog” che ci consente di giocare su due parametri strettamente legati, (temperatura ed umidità dell’aria), e fortemente condizionati dal riscaldamento dell’aria stessa per l’effetto serra.

2. Con il sistema “cooling” che interviene quando il sistema “fog” da solo ci porta fuori soglia.

Il sistema cooling si avvale sempre della nebulizzazione dell’aria, per ottenere la variazione di stato, ma in aggiunta, ricambia anche l’aria calda interna, con aria esterna più fresca. I due sistemi di raffrescamento sono strettamente interdipendenti è utile installarli entrambi.

6.3. Concetti pratici del sistema cooling.
Una serra amatoriale per la coltivazione delle orchidee non può essere paragonata a nessun tipo di coltivazione professionale, sia per la densità delle piante alloggiate ed anche per la loro particolare collocazione. L’equilibrio complessivo si perfeziona col tempo, con gli errori e con la conoscenza di ogni angolo della serra: come si ama spesso dire, ogni serra di orchidee ha una sua peculiarità. Il controllo della temperatura interna, sempre legato all’umidità relativa dell’aria è il problema principe da risolvere. Il buon rendimento dipende molto dal giusto equilibrio fra la dimensione della parete di raffrescamento (pannelli alveolari) e la massa d’aria aspirata.

Ci sono formule matematiche che stabiliscono parametri dei rapporti massa/tempo di estrazione dell’aria interna. Una volta fatti i calcoli è buona regola installare un aspiratore più potente di quanto necessario; può essere usato a velocità ridotta. Stesso discorso vale per la parete raffrescante, mettiamo pure un pannello in più. I pannelli alveolari vanno posizionati nella parte bassa di un lato più stretto della serra ed in opposizione a quello dove è installato l’estrattore, che generalmente coincide con la porta di ingresso.

L’installazione dei pannelli alveolari nella parte bassa della parete ci consente di creare una porzione di serra molto fresca dove coltivare tutte le nostre specie da serra fredda. Il cono di aria calda che si forma sotto il tetto può essere tranquillamente miscelato da un ventilatore interno posto il più alto possibile. I pannelli alveolari possono essere installati nella parete a nord oppure in quella a sud: con i pannelli posti a nord si ottengono due climi distinti in serra, mentre con la soluzione opposta di può disporre di una serra con temperatura interna più uniforme.

Nei paragrafi precedenti si è enunciato il principio della saturazione (umidità relativa dell’aria 100%)
La saturazione dell’ambiente presuppone di rilevare la stessa temperatura sia essa misurata a bulbo asciutto che rilevata a bulbo secco. La massima discordanza fra le due misure si ha con l’aria secca.
Quindi, disponendo di due termometri, uno dei quali attrezzato a bulbo bagnato, si può tarare la giusta velocità dell’estrattore e la corretta quantità di acqua che attraversa la parete raffrescante e miscelazione interna dell’aria, fino a raggiungere il compromesso desiderato fra temperatura massima compatibile ed umidità relativa dell’aria. I valori di compromesso medio possono essere 30 C° di temperatura massima con 60/70% di umidità relativa, inoltre, per garantire un buon ambiente di vita alle orchidee è utile mantenere costante l’umidità relativa dell’aria a parità di temperatura: esempio 30° – 60/70% costanti e non 30° con oscillazioni 40- 90%.

6.4. Ombreggiatura della serra
foto 58L’ultimo problema da risolvere prima di passare al collaudo vero e proprio della serra, è il controllo della luce solare. La gran parte delle orchidee vive in habitat dove la luce giunge filtrata dagli alberi; poche specie di orchidee accettano la luce diretta del sole. Pertanto, una serra pensata per coltivare orchidee deve essere dotata di sistemi ombreggianti. L’ombreggiatura si ottiene facilmente con l’ausilio di reti di plastica di varia gradazione, di filtraggio: dal 30% al 90% della luce solare.

Posto che la rete va collocata esternamente alla struttura – l’interno deve rimanere totalmente disponibile per la collocazione delle piante – è buona norma tenere la rete staccata di almeno 30 cm dal tetto della serra, questo per consentire la circolazione dell’aria fra tetto e rete, con lo scopo di evitare indesiderabili accumuli di calore. La gradazione ombreggiante deve tener conto del livello di trasparenza della serra e delle varietà di orchidee in coltivazione. Un filtraggio del 50-60% può rappresentare una base media accettabile: ferme restando le valutazioni specifiche dei singoli casi.

foto 59 Giunti a questo punto, la serra dovrebbe essere in condizione di funzionare. L’avvio, nella più rosea delle ipotesi, riserva sempre qualche sorpresa, l’ambiente interno raggiungerà l’equilibrio biologico dopo mesi o forse anni. Nella fase iniziale sarà conveniente coltivare piante relativamente resistenti e poco costose. Una collezione di orchidee non si può improvvisare, essa cresce impercettibilmente intorno a noi, giorno per giorno, ed insieme divide gioie e delusioni.

CAPITOLO 7 Il sogno è finito, ora vediamo passo dopo passo, come è nato il prototipo “ORCHIDEA”
7.1. Finalmente funzionante.
Il sogno è finito, sì, nei vari capitoli di questo libro, abbiamo sognato ed esplorato con la fantasia, una piccola parte dei miti che hanno scritto la storia delle orchidee. Abbiamo anche accarezzato e studiato l’idea di costruirci una bella serra per le orchidee: il sogno si è trasformato in realtà.

foto 60 Oggi 12 Agosto 2013, comincia a pulsare di “energia propria” il prototipo della nuova serra amatoriale “ORCHIDEA”, pensata “chiavi in mano”, per coltivare orchidee ed altre piante esotiche. Quel sogno, nato la scorsa primavera nel “buen retiro” di Orchids Club Italia, in occasione della mostra di Ortogiardino a Pordenone è diventato realtà.
Durante i giorni della mostra, ammaliati dalle orchidee, dai tarallucci e dalle abbondanti bollicine dei “fruit” di prosecco, si discuteva su come dovrebbe essere la casa ideale per coltivare orchidee esotiche.
Luca Bedin, titolare di SerreGiardini presente in fiera con il suo stand, fine osservatore ma sempre parco di parole, forse cogliendo il filo dei discorsi, esordì:
” Guido, vuoi che proviamo a costruire una serra per coltivare orchidee?”
Il resto è storia attuale. E’ nata la collaborazione con SerreGiardini ed ora cominciamo a veder maturare i primi frutti.
Si dirà, ma dov’è la notizia, di serre amatoriali ce ne sono di tutte le misure, qualità e prezzi.
Sì è vero, ma nell’attuale mercatro si trovano tutte scatole vuote da “attrezzare” a posteriori, con oneri ed imprevisti, a volte insuperabili. La notizia è semplice e disarmante: serra automatizzata, studiata, testata e già attrezzata per ospitare orchidee esotiche “chiavi in mano”, ovvero quello che prima non c’era.

foto 61 Ecco, amiche ed amici orchidofili, vi invito a ripercorrere con a me, tutte le fasi che hanno reso realtà il sogno di ognuno di noi, realtà maturata con il frutto delle mie esperienze di vita in simbiosi con le orchidee. Per creare le condizioni ideali alla loro vita ho sperimentato varie soluzioni: le vedremo insieme.
In questa serra si troveranno bene le orchidee, ma anche altre piante. Sono molto soddisfatto del lavoro fatto, devo dire la verità. Con un pizzico di vanità mi piacerebbe immaginarla come la mia “opera matura”, da mettere a disposizione di quanti intendono e intenderanno avventurarsi nella coltivazione delle orchidee esotiche.
Tutto questo, ha preso forma grazie alla lungimiranza di Luca Bedin, titolare di SerreGiardini, senza la sua disponibilità il sogno sarebbe rimasto tale.

7.2. 10 Maggio 2013 iniziano i primi lavori di sondaggio e posizionamento
Gli spazi a mia disposizione, per sistemare la serra, erano veramente pochi. Il tutto doveva essere completamente rimovibile perchè il prototipo, una volta collaudato (due cicli vegetativi), sarebbe stato rimosso.
Sono riuscito a ricavare quei 30 metri quadri, a nord della mia proprietà, rubandoli all’orto di famiglia.
foto 62 Proprio per quanto scritto poco sopra, non erano possibili fondazioni e quindi, dopo aver effettuato un sommario livellamento del suolo, abbiamo proceduto alla sistemazione della base su cui appoggiare la serra. Si è deciso di utilizzare i moduli di cemento in uso per la delimitazione delle aiuole nei giardini.

foto 63 La soluzione si è dimostrata molto funzionale. Ne è uscito un basamento (20cm di larghezza x 6 cm di spessore), molto solido e facile da posare in quanto gli elementi (1 metro di lunghezza) sono dotati di incastro, particolare che favorisce la loro unione. Per garantire una sufficente stabilità al suolo sono stati prevvisti degli ancoraggi agli angoli.

foto 64 A questo punto, sistemata la base del perimetro, abbiamo predisposto le tubature sotterranee, per l’impianto elettrico e per i rifornimenti idrici. Per poter realizzare il pavimento drenante, si è dovuto sbancare una decina di cm. nel terreno interno della serra.

foto 65 Nel perimetro interno è stato posato un telo “anti erbe”. Nel nostro caso, il telo assolve alla precisa funzione di contenimento del pietrisco (ghiaia macinata) drenante, per facilitarne un eventuale recupero postumo. Inoltre la posa del telo impedisce la crescita di erbe indesiderate e crea una sorta di legame stabilizzante fra tutte le parti del sottofondo.

foto 66 Ecco il pietrisco da livellare internamente alla serra, circa 3 metri cubi di materiale. La principale caratteristica del pietrisco è la sua funzione di spessore drenante, che evita ristagni di acqua, e nel contempo garantisce un buon livello di umidità al suolo. Altra sua ottima caratteristica è la sua duttilità a stabilizzare pavimentazioni a “secco” sovvrastanti, cioè senza uso di cementificazione.
foto 67 La sezione dei pezzetti di pietrisco macinato può variare da 0,5 a 1 cm.
Con questa operazione, i lavori preminilari sono terminati e si può dare inizo al montaggio della serra.
la struttura complessiva della serra è in alluminio con profilati brevettati e modulari. Le pareti sono in vetro camera da 0,8 cm, mentre il tetto e le sue appendici sono in policarbonato da 2,4 cm.

7.3. Inizia il montaggio della serra.
Alle ore 8 di giovedì 16 maggio, puntuali come un orologio svizzero, arrivarono i tecnici di SerreGiardini, Stefano e Antonio, con il carico “prezioso” da installare.

foto 68 Non potei trattenere la mia incredulità. Mi pareva impossibile che in quel furgone ci fosse tutto il materiale neccessario per allestire la serra, ma poi, vista la sua inusuale lunghezza, cominciai a tranquillizzarmi. Per la verità qualche accessorio mancava, ma sarebbe giunto pochi giorni dopo.

foto 69 Un occhiata alla situazione generale, i complimenti per la buona qualità dei lavori preliminari di basamento, e via al montaggio. La solerzia e la sicurezza dei tecnici davano l’idea di musicisti davanti allo spartito letto ed eseguito tante altre volte.

foto 70 Si parte con la distribuzione dei moduli profilati, per poi procedere all’assemblaggio dei longaroni di basamento sui quali saranno successivamente agganciati con viti in acciaio, tutte le strutture verticali.
Ero preoccupato che la struttura combinasse con la base in cemento preparata in precedenza: per fortuna, tutto bene!

foto 71La bella giornata di sole facilita le operazioni di assemblaggio. Già sono state issate le quattro colonne agli angoli della serra e si sta procedendo alla sistemazione dei longaroni laterali che assolvono anche alla funzione di grondaie raccoglitrici della preziosa acqua piovana.

foto 72 Sono trascorse poco più di due ore e “l’ossatura” strutturale della serra comincia a prendere forma. I moduli delle pareti danno già l’idea di come sarà l’opera compiuta e intanto si iniziano ad installare i moduli che costituiranno il tetto. I profilati dovranno assolvere a due funzioni essenziali: portanza e tenuta stagna.

foto 73 Le operazioni procedono senza intoppi, cerco di rendermi utile, ma vedo che tutto è stato proggettato alla perfezione, tanto che le gestualità dei nostri tecnici mi mandano con la memoria alle costruzioni “LEGO” e al piacere della loro composizione.

foto 74 Le “travature” del tetto sono state sistemate ed ora si procede al montaggio del “sopratetto”, una struttura in tubi di alluminio sistemata circa 40 cm. sopra il livello del tetto, con la funzione di sostenere la rete ombreggiante staccata dal tetto. Questo garantirà la formazione di un’intercapedine arieggiata fra rete e tetto che bloccherà eccessivi accumuli di calore.

foto 75 A questo punto può iniziare il posizionamento dei pannelli di policarbonato sul tetto, a copertura degli spazi previsti fra i profilati. I pannelli di policarbonato, 2.4 cm di spessore, sono dotati di 8 “anime” interne e sono protetti da uno speciale trattamento contro i raggi del sole.

foto 76 La particolare conformazione dei profilati portanti, consente di proteggere ermeticamente il tetto da indesiderate infiltrazioni di acqua piovana, attarverso la facile applicazione di una guarnizione in gomma, appositamente studiata. La stessa tecnologia sarà applicata anche nelle pareti e in tutti gli altri punti di unione.

foto 77 La copertura del tetto è ultimata, una breve pausa pranzo, e poi si procede alle “finiture”. Bisogna tamponare con policarbonato gli spazi triangolari fra le pareti ed il tetto. Questa operazione deve tener conto dello spazio per l’aspiratore, che va individuato nella parte alta dei tamponamenti.

foto 78 Dopo qualche imprevisto iniziale, era la prima volta, l’aspiratore è stato provvisoriamente installato. Stante la mole ed il suo peso, si è deciso di studiare dei supporti aggiuntivi, per evitare vibrazioni pericolose, e per poter applicare la protezione esterna.

foto 79 Le pareti della serra, esclusa quella che ospiterà i pannelli del “cooling” sono costituite da vetrate di 2 metri di altezza per 1 di larghezza e vanno incastrate con precisione fra i vari profilati verticali.
La loro tenuta statica è garantita da una apposita sede, sia alla base che al vertice, il tutto bloccato da un profilato e dalla guarnizione in gomma.

fotot 80 E’ ormai sera, la serra è praticamente montata. Manca qualche finitura e l’installazione dei pannelli “cooling”. Siamo soddisfatti, anche Stefano e Antonio lo sono e ammirano il loro lavoro con un pizzico di orgoglio.
A loro va il mio ringraziamento, una bella giornata, un bel lavoro: grazie.

7.4. Le applicazioni accessorie che faranno funzionare la serra
I tecnici di SerreGiardini hanno montato la “scatola” trasparente, ma così, senza i lavori di funzionalità – che vedremo più avanti – la serra non può certo ospitare le orchidee esotiche.
Cari amici orchidofili, siamo giunti veramente al giro di boa: inizieremo a installare tutte quelle implementazioni tecnologiche accessorie, che renderanno la serra, ospitale e vivibile. La personalizzeremo con dei particolari “sentieri” di camminamento, con la realizzazione di bancali appositamente studiati per le orchideee, e non da ultimo, doteremo la serra delle tecnologie di raffrescamento: cooling e fog.
foto 81 Il proggetto di questa serra, proprio perchè doveva essere un prototipo, quindi modificabile e all’occorenza anche smontabile, non prevede alcuna struttura cementificata. Pertanto, i sentieri di camminamento sono stati realizzati con lastre di pietra viva a forma irregolare, poggiati a secco sopra la pavimentazione drenante in pietrisco.

foto 82 Direte voi:
“come riusciremo a tenere ferme quelle lastre, senza nessun ancoraggio in malta”
Innanzittutto la base di sottofondo in pietrisco è un ottimo supporto di ancoraggio, in secondo luogo, rimpinguando le fughe fra le lastre con sabbia di fiume di grossa pezzatura, si ottiene un ulteriore fissaggio e un delizioso effetto architettonico.

foto 83 L’ingresso della serra è stato impreziosito dal posizionamento, sempre a secco, di una gradinata di lastre in pietra della Lissinia, costituita da sedimenti pelagici che si sono depositati durante il periodo Cretacico. Gli spazi laterali alle lastre, ancora spogli, ospiteranno piante aromatiche di varie specie, che daranno il benvenuto gli ospiti che entreranno in serra.

foto 84 Finalmente è arrivato tutto l’occorrente per installare il sistema di raffrescamento adiabatico. Operazione delicata perchè è la prima volta che viene assemblato il tutto e soprattutto a livello sperimentale. L’insieme è costituito da una parete di pannelli alveolari di 15 cm. di spessore, da una pompa per il ricircolo dell’acqua attraverso i pannelli e da un sistema di raccolta dell’acqua stessa.

foto 85 Negli impianti cooling in uso, l’acqua viene raccolta da una “grondaia” di base, e poi convogliata in una vasca. In questo impianto, l’acqua decanta direttamente nella grande grondaia di recupero, che assolve anche alle funzioni di contenitore di riseva. La pompa ricircola questa acqua, mantenuta a livello da un galleggiante che apre e chiude la condotta di alimentazione.

foto 86 La parete di pannelli alveolari è stata ultimata. La pompa e i pannelli sono stati sistemati all’esterno del filo dei montanti di perimetro, per ottimizzare gli spazi interni. Sui montanti prospicenti i pannelli alveolari verrà applicata una rete elettrosaldata, utile per sistemare le orchidee da clima freddo. All’esterno verrà studiata una intercapedine, di protezione e di chiusura, nei mesi freddi.

foto 87 Ora possono iniziare i lavori “elettrici”: illuminazione interna, prese di alimentazione e quadro di comando per le protezioni e le automatizzazioni delle funzioni. Nella parte alta della parete opposta a quella del “cooling” è già collegato l’aspiratore, parte integrante del sistema di raffrescamento adiabatico.

foto 88 La serra amatoriale per la coltivazione delle orchidee deve assomigliare più ad una giunla, piuttosto che alla ordinata sitemazione delle coltivazioni professionali. La soluzione ideale per i bancali dove poter sistemare le piante è a gradini, con una parete verticale in rete, in questo modo si possono ottenere 5 piani di coltivazione.

foto 89 Manca poco al fatidico momento del collaudo ed è ora di installare l’impianto “fog”. L’insieme è costituito da una pompa ad alta pressione 70-100 Bar, un serbatoio per la raccolta dell’acqua piovana che, dopo essere stata filtrata, alimenta l’ingresso della pompa stessa, e da un circuito secondario dotato di ugelli appositamente studiati per nebulizzare l’acqua.

foto 90 Il circuito secondario può essere strutturato ad anello oppure con più rami, a seconda della predisposizione dei bancali. Le varie tratte dei tubi in plastica ad alta pressione andranno sistemate nella parte alta dei bancali, e saranno collegate fra loro ad innesto con dei porta ugelli, sui quali sranno poi inseriti gli ugelli stessi.

foto 91 Bene, la serra è veramente finita, ora possiamo fare il collaudo a “spazi vuoti”, cioè senza piante. Il fog funzionna, le automatizzazioni pure, la temperatura e l’umidità interna si lasciano facilmente “addomesticare” dalle tecnologie implementate: c’è grande soddisfazione fra noi!

7.5. Il trasloco: le nuove inquiline che abiteranno la serra
Si è scritto che la serra “ORCHIDEA” è un prototipo dedicato alla coltivazione delle orchidee, pertanto la sua funzionalità va testata nel tempo e a regime, cioè piena di orchidee.
La mia collezione è composta da varie migliaia di piante e quindi il trasferimento nella nuova serra, di un migliaio di piante, tale è la sua capienza presunta è gioco facile. Mica tanto però, sì perchè, appena iniziato il trasloco c’è stato un parapiglia fra le orchidee della mia collezione: tutte volevano cambiare dimora!
Godiamoci insieme questa bella avventura. Sarà anche l’occasione per rivivere altri miti ed altre storie

foto 92 Per mettere d’accordo le maliarde ho dovuto stabilire dei parametri “draconiani”: saranno trasferite per prime, quelle che abitano in condizioni precarie nella parte vecchia della prima serra, così potremo svuotarla e chiuderla. E’ stato anche stabilito che la trasferta sarebbe avvenuta in “cariola”.

foto 93 Il trasloco è iniziato di buon mattino. Per prime sono giunte nella nuova serra le piccole Schoenorchis e subito si sono ambientate, ma durante la prima notte da sole, hanno ricevuto la visita di una lumaca che ha pasteggiato con i loro piccoli fiori… le orchidee piacciono agli orchidofili, ma alle lumache ancor di più! Tu aspetti un anno per vedere i fiori e in una sola notte le lumache li disruggono!

Il genere Schoenorchis comprende 10 specie di origine asiatica: dall’Himalaya alla Nuova Guinea.
Tutte le specie del genere sono di piccole dimensioni, alcune sono vere e proprie miniature, hanno foglie strette, carnose, con radici molto grosse rispetto alla dimensione della pianta stessa.
GENERE Schoenorchis
FAMIGLIA: Epidendroideae
TRIBÙ: Vandeae
SOTTOTRIBÙ: Sarcanthinae.
Il genere Schoenorchis, è stato stabilito da Blume nel 1825, con la descrizione della specie tipo: Schoenorchis juncifolia.
Le orchidee appartenenti a questo genere producono molte infiorescenze ramificate e di colore rosa, i fiori delle varie specie variano per la struttura della piccola spiga fiorale o per la compattezza dei fiori stessi: tutti sono caratterizzati da sepali e petali minuscoli con il labello molto pronunciato e sottile.
Nella letteratura e nella simbologia delle orchidee, proprio per la loro ridottissima dimensione e per la delicatezza dei fiori, alcune specie di questo genere sono note come “orchidea da occhiello”.
Con la fioritura, le piante raggiungono le loro massime dimensioni, successivamente possono solo produrre piantine laterali (keikis), che crescendo daranno il senso di incespimento, in realtà sono tutte singole unità vegetative.
foto 94 Delizioso esemplare (5 x 4 cm.) di Schoenorchis fragrans (Parish & Rchb. f.) Seidenf. & Smitin. 1963.
Sinonimo: Saccolabium fragrans Parish & Rchb. f. 1874.
Ama essere coltivata su ramoscelli di legno poroso e duro attorno ai quali trova facile sostegno con le sue radici.
Va coltivata in serra calda o ambiente similare – TERRARIO – senza particolari riposi vegetativi e durante la stagione calda, quando vegeta e fiorisce (primavera estate), va spruzzata e fertilizzata con generosità.
Tutte le specie di Schoenorchis, danno grosse soddisfazioni e pochissimi problemi di coltivazione, ma inspiegabilmente, non sono di facile reperimento.

7.6. Paphiupedilum Saint Swithin: portami nella nuova serra!
foto 95 Paphiupedilum Saint Swithin.
Qesto bellissimo esemplare viveva nella serra grande, quella coperta a tunnel, brutta da morire, ma custode degli esemplari che hanno fatto la storia dell’orchidofilia europea degli ultimi 20 anni. Non avrebbe avuto il diritto di cambiare serra, lui non abitava in quella vecchia, ma era da tempo che mi implorava:
“Guido” – mi sussurrava ogni volta che gli passavo da vicino:
“guarda come sono conciato, mi hai relegato in questo spazio angusto, ho perso tante foglie ed anche qualche nuova vegetazione … dai portami di la nella nuova serra! Ed eccolo qua, pimpante e quasi risorto, con i suoi fiori in bella mostra.
foto 96Paphiopedilum Saint Swithin è un ibrido primario (Paph. philippinense x rothschildianum), il grex è stato registrato per la prima volta il 1° Novembre del 1901 da Statter.
Per la precisione in questa ibridazione sono state fissate le masse polliniche di Paph. philippinense nello stigma del fiore di Paph. rothschildianum. Questo grex ha resistito alla prova del tempo e rimane ancora oggi molto popolare, dopo aver raccolto oltre 150 premi, almeno cinque dei quali sono FCC. Considerato che è stato registrato nel 1901, i premi che ha ottenuto, abbracciano più di un secolo di storia dell’orchidologia mondiale.
Paph. Saint Swithin è forse l’ibrido Coryopedilum quintessenza. Esso combina le migliori caratteristiche di ciascun genitore, dal grande sepalo dorsale a righe molto marcate e la grande somiglianza del fiore del genitore Paph. rothschildianum, ai petali lunghi scuri e al vigore dell’altro genitore Paph. philippinense. Quindi non c’è da stupirsi che questo grex abbia resistito alla prova del tempo, accumulando oltre 100 premi AM/AOS. Oltre alle qualità estetiche, Paph. Saint Swithin, pur avendo uno sviluppo lento, è assai vigoroso e va coltivato nelle condizioni standard di tutti i Paph. multiflorali: luce diffusa, buona umidità e temperature calde con un riposo invernale freddo, soprattutto di notte.
Così come si fa per tutti i Paphiopedilun è buona norma rinvasare le piante ogni anno.

7.7. Vanda coerulea, “figlia” della collezione di villa Sutter (Genova)

foto 97 Anche lei, l’orchidea blu, per la precisione il suo nome botanico è Vanda coerulea, ha chiesto di poter cambiare “casa” e come si poteva rifiutare! Oltre ad essere famosa come specie, ha anche una sua storia, questa pianta: proviene dalla famosa collezione di orchidee delle serre di villa Sutter, smenbrata nei primi anni 80 del 1900. Milena Sutter, appena 13 anni, figlia di Arturo – industriale svizzero della cera per pavimenti e del lucido da scarpe – sparisce alle cinque del pomeriggio del 6 maggio 1971. Milena esce dall’esclusiva scuola elvetica che frequenta a Genova e scompare nel nulla. La prima terribile ipotesi è quella del rapimento.
Il giorno dopo la sua sparizione, nella lussuosa villa dei Sutter, arriva una telefonata: un voce maschile chiede un riscatto di 50 milioni. Poi il silenzio, fino a quando – due settimane dopo – il corpo della ragazzina riemerge 500 metri al largo della spiaggia di Priaruggia, sempre a Genova. A trovarlo sono due pescatori. Non c’è alcun dubbio: Milena Sutter è rimasta viva appena mezz’ora, forse un’ora. E’ stata strangolata prima di essere gettata in mare. I pesi che avrebbero dovuto tenere il suo corpicino sul fondo non hanno funzionato. Di questo delitto sarà incolpato
Lorenzo Bozano, 25 anni, figlio della buona borghesia genovese (la sua famiglia è imparentata con gli armatori Costa).
Il vecchio edificio che ospitò la direzione della fabbrica Sutter a Sturla fino agli anni ’80, è rimasto pressoché uguale. È scomparsa la grossa insegna del lucido per scarpe Marga, sul lato più vicino al ponticello che scavalca il torrente Sturla. La villa, quella del nonno di Milena, è ancora della famiglia. In via Mosto, ad Albaro, sorgevano le serre di orchidee, tanto care a Milena. Era suo nonno Adolfo che aveva la passione per le orchidee. A seguito della morte della nipote, Adolfo non volle più nessuno dentro le serre, si chiuse nel suo dolore e le rigogliose piante di orchidee finirono i loro giorni insieme a lui. Oggi, sulle vecchie serre dove giocava Milena, scarni basamenti in cemento armato ricordano un tempo oramai dimenticato. Con la morte del nonno Adolfo, la collezione fu smembrata e venduta a vari (allora) coltivatori di orchidee, fra i quali, anche alla mia cara amica Anna Maria Boticelli ( biologa e brava giornalista botanica). Da lei, acquistai la mia prima Vanda coerulea… parte della collezione dei Sutter. Chissà quante volte Milena avrà ammirato il delicato colore azzurro dei suoi fiori. La salma di Milena riposa lontano dalla curiosità dei genovesi che allora coltivavrono un morboso interesse per la tragedia della ricca adolescente. Fu la madre a scegliere che Milena fosse tumulata i Belgio, dove nacque il nonno paterno, tanto amato dalla studentessa.

foto 98 Vanda coerulea Griff. ex Lindl. 1847
Sinonimi: Vanda coerulescens Lindl. 1857
Nomi popolari: Vanda blu, Autumn lady’s tresses orchid, Kwak Lei (Manipuri)
Etimologia del nome Vanda: da un parola sanscrita con la quale le antiche popolazioni indiane indicavano la Vanda tessellata.
Abbastanza rara in natura, recentemente sono state individuate delle nuove varietà, che sono in attesa di classificazione.
Vanda coerulea è conosciuta anche con il nome popolare “Orchidea blu” ed è originaria dell’Asia sud orientale – Myanmar, Assam, Tailandia – e vive ad altezze comprese fra 800 – 1600 metri.
E’ una specie epifita a sviluppo monopodiale e preferisce climi freschi.

Vanda coerulea var. rosea
foto 100 Sono note molte varietà, si differenziano tra loro per la tessellatura più o meno marcata sui fiori, per le tonalità dei colori, che vanno dal blu marcato, semi alba, e per la loro diversa dimensione.
I mesi di fioritura di Vanda coerulea sono generalmente: Luglio, Agosto e Settembre.
Analizzando esemplari di Vanda coerulea si nota la netta differenza fra piante in coltivazione, selezionate da vari auto incroci per impollinazione, e piante provenienti dai luoghi d’origine raccolte in sito, che possiamo chiamare “selvagge”.
Vanda coerulea è stata scoperta nel 1937 dal botanico inglese William Griffith (1810-1845), sugli alberi di Gordonia (Theaceae) delle foreste di pino e di quercia, durante un suo viaggio nelle zone collinose dell’India orientale.
Questa nuova orchidea rimase pressoché sconosciuta fino al 1847 quando Lindley la descrisse sulla base di un esemplare presente in un erbario. La raccolta in sito è iniziata qualche anno più tardi, e nel 1850 con le importazioni in Inghilterra da parte di Thomas Lobb e Joseph Hooker. L’orchidea blu, potè essere ammirata per prima vota dagli appassionati orchidofili europei, nelle serre della Ditta inglese “Veitch & Sons”.
Questo evento suscitò un gran interesse fra i collezionisti dell’epoca. Purtroppo, le raccolte indiscriminate che seguirono la sua scoperta, decimarono velocemente le varie colonie in sito e presto fu severamente limitata la commercializzazione di questa orchidea.
Ciò nonostante, sia dilettanti che professionisti, incoraggiati dalle richieste di mercato, continuarono l’accumulazione di questa specie facilmente reperibile anche nei mercati locali sempre ben forniti di piante in fiore, strappate nei siti di endemicità dalle popolazioni indigene.
Le raccolte eccessive di questa nuova specie, la distruzione dell’habitat dovuto ad incendi dolosi per ricavare nuovi terreni coltivabili, e non da ultimo il mutamento dell’equilibrio ambientale causato dal riscaldamento atmosferico per l’effetto serra sono state e continuano ad essere gravi minacce della sua estinzione in natura.
A tal proposito giunge strana la notizia che Vanda coerulea sia tornata, suo malgrado, in Appendice II del CITES.
Questa specie era stata inclusa in Appendice I (specie in forte pericolo di estinzione) del CITES, nel 1979, ma nel 2004 in occasione del 13° Meeting of the Conferences of the Party in Bangkok è stata spostata in Appendice II (possibilità di commercializzazione).
Ecco il testo del verbale di trasferimento:
” Prop. 44. Transfer the blue vanda orchid (Vanda coerulea) from Appendix I to Appendix II (Thailand). Tentative U.S. negotiating position: Oppose. This orchid was severely depleted in portions of its range due to over-collection in the past, although, the proponent states that most range countries’ populations are believed to have recovered and that export of wild-collected specimens is prohibited in all range countries by domestic legislation. The preferred specimens for trade in this species are artificially propagated specimens of select clones and hybrids, which are vastly superior in color and form to wild-collected specimens. This species is listed as Rare in the 1997 IUCN Red List of Threatened Plants, although currently the main threat to the species is forest conversion and not collection from the wild for international trade. There is still concern, however, that this species continues to be collected from the wild, particularly in India and Myanmar”.
Le motivazioni sono state più o meno queste: impossibilità di stabilire con sicurezza il reale pericolo di estinzione in quanto i paesi interessati ritengono possibile il recupero delle popolazioni di Vanda coerulea ed inoltre, che le nuove tecnologie di riproduzione renderanno meno appetibile il mercato delle piante in sito… decisamente poco convincenti queste motivazioni.

Descrizione e coltivazione:
Vanda coerulea f. rogersii‘Dottori’
foto 101 Vanda coerulea è dotata di un fusto vegetativo corpulento, presenta foglie coriacee, ligulate, distiche, conduplicate, oblique e tridentate agli apici. Gli steli fiorali possono raggiungere anche lunghezze di 60 cm ed escono dalle ascelle delle foglie a portamento eretto o sub eretto con 5-12 fiori di di grande dimensione e lunga durata. A differenza di tante altre specie dello stesso genere, Vanda coerulea preferisce temperature fresche e luce media, con notti invernali fredde (alcuni coltivatori durante la stagione invernale tengono le loro piante di Vanda coerulea insieme ai Cymbidium con temperature notturne di pochi gradi sopra lo zero termico) e periodo secco (garantire solamente leggere nebulizzazioni di mantenimento) per favorire la successiva fioritura.

7.8. Vanda coerulea, l’orchidea preferita dal Signor Bellamy.
Per cogliere le emozioni che si vivono fra appasionati orchidofili, seppur datati, trovo molto interessanti gli appunti di un viaggio nell’allora Birmania (ora Myanmar), apparsi nel bollettino dell’American Orchid Society del primo Settembre 1952.
“Orchids in Burma Today by Philip R. Fehlandt”
Il signor Philip R. Fehlandt, americano e collezionista di orchidee, racconta la realizzazione di un suo grande sogno: poter visitare i paesi d’origine di molte orchidee della sua collezione.
Descrive con dovizia di particolari, delusioni, paure e difficoltà incontrate in un paese difficile, sempre in balia di guerre e colpi di Stato. Alla fine, le difficoltà incontrate, trovano soddisfazione con la conoscenza di un appassionato collezionista residente da anni in Myanmar ex (Birmania): il signor Bellamy.

Libera riduzione ed interpretazione di quel racconto:
…”Un motivo naturalmente, la guerra. Durante i quasi quattro anni del conflitto, la Birmania è stata devastata dalla guerra. L’avanzamento giapponese ed il ritiro degli americani, gli anni lunghi dell’occupazione giapponese sotto il bombardamento alleato quasi costante, poi la ritirata giapponese e l’avanzamento finale americano, hanno inflitto danni pesanti al paese.
In questa situazione girare per il paese a caccia di orchidee non poteva essere un’impresa facile… senza conoscenze locali, qualsiasi spostamento risultava infruttuoso per non dire pericoloso, ma col tempo qualche contatto cominciava a dare i suoi frutti.
Il primo incontro positivo si materializza con il solito missionario appassionato di orchidee, in questo caso un americano super conoscitore di tutti i Dendrobium indigeni, compreso il famoso Dendrobium color rosso luminoso.
Il vero colpo di teatro succede quando, sparsasi la voce della passione per le orchidee di Philip R. Fehlandt, un conoscente del luogo gli propone un incontro con la principessa Ma Lat, cugina del Re. Si dice che abbia una collezione stupenda, colpo di fortuna! La Principessa per la verità è la moglie del signor Bellamy, un australiano geniale che vive in Birmania da oltre venticinque anni ed è lui il vero collezionista.
I coniugi Bellamy vivono nella Birmania del nord, a Maymyo, più di mille metri sul livello del mare, luce luminosa di giorno, fresco e ventilato la notte. A mezzogiorno, con il sole diretto il caldo si fa sentire, ma basta mettersi all’ombra per godere una temperatura frizzante.
Il signor Bellamy durante la guerra perse l’intera collezione ed ora sta ricostruendola con passione e con risultati lusinghieri. L’incontro nella coltivazione del signor Bellamy avviene in un periodo di scarse fioriture, ma la visione delle piante in piena vegetazione, rigogliose e in perfetta salute è ugualmente uno spettacolo bellissimo – il vero appassionato di orchidee trova enorme soddisfazione quando può ammirare buone coltivazioni – e poi che meraviglia quel Saccolabium là in fondo, carico di fiori e le radici, tutte quelle radici aeree lunghe e ben sviluppate.
Birmania è la patria della Vanda coerulea, e paese adottivo del signor Bellamy, nella sua collezione dovevano essere sicuramente presenti alcuni esemplari:
“Sì, eccoli in bella mostra, ben coltivati e carichi di fiori in tutte le tonalità naturali: blu, rosa e porpora.

La preferita del signor Bellamy è la Vanda coerulea sistemata nel cestello di legno: quattro gambi con steli fiorali per un totale di oltre 200 fiori, che spettacolo!”
“Qual’è il segreto di tanto successo nella coltivazione” – chiedo –
“Il segreto di tanto successo è semplicemente un buon periodo di riposo con notti fredde nel periodo invernale” – esordisce il signor Bellamy -.
A Maymyo durante la stagione invernale le temperature oscillano da 35 gradi centigradi durante il giorno a 16 notturni.
Famosa rimane la foto del signor Bellamy mentre mostra orgoglioso una delle sue piante di Vanda coerulea con ben quattro gambi in fioritura con oltre 200 fiori.
Le variazioni di colore delle varietà di Vanda coerulea della collezione del sig. Bellamy variano dall’azzurro profondo con blu-chiaro e dal lillà al colore rosa”…

Eravamo sul finire degli anni 40 ma ancor oggi il periodo di fresco secco invernale è il vero segreto per poter godere superbe fioriture di Vanda coerulea.

7.8. Phalaenopsis: basta la parola!
foto 102 Eccola! Bellina, vero? Sì, bellina anche di nome: Phalaenopsis bellina. Questa pianta compie 24 anni. Quando è giunta nella mia collezione si chiamava ancora Phalaenopsis violacera var. borneo, poi ha cambiato nome ed è diventata “bellina”. Il posto nella nuova serra lo ha avuto di diritto perchè la struttura dove viveva prima è stata smantellata.

foto 103 Phalaenopsis bellina Christenson 1995
Sottogenere: Polychilos
Sezione: Amboinenses Sweet 1968
Questa specie, precedentemente conosciuta come P.violacea var. borneo, è endemica dell’isola di Borneo e cresce nel Sarawak e nel Kalamantan. In natura, le piante crescono in modo pendulo, con corte infiorescenze che producono fiori di colore bianco con pallide tonalità verdi e marcature viola sui sepali inferiori. Sono estremamente fragranti e possono fiorire per diversi mesi, in particolare nei mesi primaverili ed estivi. Le piante adulte sviluppano grandi foglie ondulate di colore verde traslucido.
Il complesso Phalaenopsis violacea comprende anche la specie Phalaenopsis violacea Hort. ex H. Witte ed è stato sistemata nella sezione Amboinenses, sottogenere Polychilos, dove, secondo la classificazione di Christenson (2001) sono incluse 19 specie.
Studi basati sui dati molecolari, evidenziano che queste specie non sembrano essere monofiletiche (Tsai et al. 2006a, b, 2010). All’interno di questo complesso, un recente studio sistematico, ha identificato due specie distinte, Phal. violacea e Phal. Bellina. Si è giunti a questa determinazione, grazie anche all’esame della fragranza floreale – Christenson Whitten (1995), che ha riconosciuto alla ex Phal. violacea ‘forma borneo’ lo status di specie separata.
Il genere Phalaenopsis rappresenta un gruppo di orchidee, belle e popolari. Secondo le ultime classificazione di Christenson (2001) è composto da circa 66 specie divise in cinque sottogeneri:
Proboscidioides, Aphyllae, Parishianae, Polychilos, e Phalaenopsis.
Di questi, il sottogenere Polychilos è stato ulteriormente suddiviso in quattro sezioni: Polychilos, Fuscatae, Amboinenses e Zebrinae. Stessa decisione anche per il sottogenere Phalaenopsis: Phalaenopsis, Deliciosae, Esmeralda, e Stauroglottis.

Vediamo un po’ più da vicino il genere Phalaenopsis.
foto 104 Le ibridazioni commerciali hanno reso molto popolare questo genere e si può ben dire che ormai regnano in tutte le nostre case.
Queste orchidee vivono e convivono con le ansie ed i patemi d’animo di tanti neofiti, sempre attenti agli spruzzini, alle temperature, ai trucchi per umidificare, alle illuminazioni artificiali etc.
E che dire di quel grande “enigma”, che assale le entusiaste signore “Maria”, – termine coniato per rappresentare la moltitudine che coltiva in casa – quando devono decidere di recidere lo stelo fiorale?
Taglio o non taglio, e se taglio devo farlo al secondo o al terzo nodo?
Sappiamo che le Phalaenopsis sono rifiorenti sullo stesso stelo e questo fenomeno crea sempre delle attese fra i possessori di queste orchidee.
In natura, molte specie di Phalaenopsis sono sempre in fiore. Gli ibridi creati per il mercato delle piante fiorite, hanno fatto tesoro di queste caratteristiche genetiche, e se la salute delle piante è buona, dai nodi (gemme dormienti) posti lungo lo stelo fiorale, ne spuntano di secondari, in progressione.
Fra le varie tendenze, la più in voga nell’ambiente orchidofilo è quella di tagliare lo stelo sfiorito al primo o al secondo nodo: non è un consiglio sbagliato, ma è solo un fatto estetico quasi inutile. Inutile perché è più naturale aspettare che sia la pianta a decidere se e dove produrre i nuovi getti fiorali. Può capitare che lo stelo sfiorito si secchi, in tal caso conviene reciderlo alla base.

7.9. Phalaenopsis, un mercato fatto di milioni di piante.
foto 105 L’origine del nome del genere, deriva dal greco phalaina “farfalla notturna” e opsis “simile”, per via della loro somiglianza con certe falene tropicali. Alcune specie sono assai note, altre più rare nelle collezioni. Certe specie mostrano splendidi fiori di breve durata, altre mantengono la fioritura da due a cinque mesi e fioriscono in successione.
Le piante di questo genere non hanno bisogno di molta luce e richiedono una minima temperatura notturna di 18°, due fattori che rendono facile la loro coltura in serra e non eccessivamente difficile in ambienti domestici.
Le Phalaenopsis sono orchidee a sviluppo monopodiale e si strutturano con ampie e lunghe foglie incurvate, lucide o coriacee, verdi o chiazzate di grigioverde, oppure con la pagina inferiore pigmentata di porpora. Crescono lentamente e formano solo una o due foglie nuove ogni anno. Specie ed ibridi producono radici robuste, sovente appiattite, che si formano alla base del fusto vegetativo. Le spighe fiorali spuntano dalle ascelle delle foglie più basse, oppure anche dove le vecchie foglie sono già cadute. I fiori si dividono in due gruppi:
1 – gruppo delle Euphalaenopsis caratterizzato da appendici che sporgono dal labello e da petali assai più ampi dei sepali.
2 – gruppo delle Stauroglottis, con i petali simili ai sepali e il labello privo di appendici.
La stagione vegetativa delle Phalaenopsis va dalla primavera all’autunno, mentre gli steli fiorali compaiono dalla tarda estate all’inverno. Alcune varietà sono molto puntuali nella fioritura, altre un po’ meno, soprattutto gli ibridi, e quindi gli steli fiorali potranno svilupparsi in qualsiasi momento dell’anno, a prescindere dallo sviluppo vegetativo della pianta.
Lo stelo fiorale può essere arcuato e senza ramificazioni, oppure ramificato. Alcune varietà di Phalaenopsis formano tutti i fiori su un unico stelo e nello stesso tempo, altre aprono i fiori in successione, quest’ultime possono rimanere in fiore per buona parte dell’anno.

Coltivare le Phalaenopsis è abbastanza facile, possono essere sistemate su zattere oppure in vaso, e non richiedono rinvasature frequenti.
Il substrato che incontra generale successo è costituito da corteccia d’abete (bark), miscelata con poca torba di sfagno. Il bark va messo a bagno 3-4 giorni prima dell’uso. Così facendo si evitano inoportune disidratazioni della pianta e si eliminano polvere e impurità di vario genere. Si rinvasa quando il substrato non è più in buone condizioni, generalmente ogni 2 o 3 anni ed il periodo ideale è quando le radici sono in pieno sviluppo.
Nel caso in cui le radici attive siano troppo lunghe, conviene tagliarle oltre i 5 cm. La corteccia dovrà essere di media pezzatura e la pianta andrà sistemata al centro del vaso. Dopo il rinvaso, per evitare marcescenze dell’apparato radicale, la pianta va innaffiata con moderazione. E’ preferibile nebulizzare le foglie anche più volte al giorno, purchè siano asciutte prima della notte.
Una volta formatesi le nuove radici si può procedere con generose bagnature in modo da mantenere sempre umido il substrato di coltura. La pianta in vegetazione trarrà maggior beneficio dalla somministrazione di fertilizzanti: il quantitativo opportuno è di un grammo per litro d’acqua ogni 2 o 3 settimane, scegliendo la formula 30-10-10 nella fase vegetativa e 20-20-20 il restante periodo.
In natura le Phalaenopsis dispongono di luce filtra dagli alberi dei boschi, in coltivazione prosperano bene nella parte più ombreggiata della serra. Una buona ventilazione e circolazione dell’aria interna alla serra, aiuta a mantenere sane le piante e impedisce l’attecchimento di funghi tipo Botrytis, che prosperano a basse temperature in ambiente stagnante.
Fra i vari agenti patogeni, il nemico delle Phalaenopsis è il “falso ragnetto rosso”, la specie Tenuipalpus pacificus è appunto chiamato: parassita delle Phalaenopsis.
Esistono diverse specie simili al Tenuipalpus, queste appartengono al genere Brevipalpus, e gli rassomigliano per l’aspetto e per il comportamento. Il falso ragnetto rosso provoca danni gravissimi alle foglie. Dapprima si manifesta con macchie irregolari, giallastre e incavate. Successivamente le foglie si necrotizzano assumendo colorazioni bianche, grigie o marrone, per poi cadere precocemente. Il danno provocato dal “falso ragnetto rosso” ha l’aspetto di una malattia fungina o virale. I parassiti sono invisibili ad occhio nudo, e per questo ancor più pericolosi: possono essere visti soltanto con una lente a dieci ingrandimenti, oppure con un microscopio binoculare di media qualità.
Altro nemico micidiale per tutte le orchidee ed anche per le Phalaenopsis è la cocciniglia cotonosa: Lichtensia viburni. La cocciniglia cotonosa non è molto resistente agli insetticidi, ma è molto difficile da aggredire: qualche individuo o uova rimangono sempre nascosti e pronti a ricolonizzare la pianta. Può essere combattuta con olio emulsionato oppure con insetticidi sistemici Cloronicotinili (a base di nicotina).

7.10. Missione compiuta, la serra “ORCHIDEA” è a vostra disposizione.
Il mese di Agosto del 2013 se n’è andato quasi tutto, le piogge hanno rinfrescato l’atmosfera, ora il sole splende limpido e una leggera brezza mi accompagna per mano ad ammirare la nuova serra, già piena di rare orchidee.

foto 106 Mi guardo attorno con soddisfazione. Pare che le piante siano in serra da una vita ed invece l’ultima arrivata, la famosa Laelia lundii, medaglia d’oro all’European Orchid Congress and Show ad Hannover 1994, premio bissato anche all’EOC di Padova 2006 è entrata da pochi minuti.

foto 107 Ha già un’anima la serra, si possono odorare gli aromi delle piante in fiore, mentre tutte le nuove inquiline vestite a festa ti fanno l’occhiolino, come a dire:
“hai viso che belle siamo!”
Il mio lavoro è concluso, le “modelle” stanno già sfilando, ma dopo il defilè ufficiale sarà difficile dire a loro che la festa è finita.

foto 108 Fine e inizio sono due concetti che si intersecano: non c’è inizio se non c’è fine e dopo la fine di un progetto ne inizia sempre uno nuovo. Luca Bedin, titolare di SerreGiardini, sembra dire questo, mentre ammira con visibile felicità, l’opera compiuta. Ora può iniziare il grande viaggio della serra “ORCHIDEA”… un sogno diventato realtà.

Ciao! Che ne pensi?