Orchidari… figli delle “scatole magiche” di Ward

Se hai problemi di spazio in serra, se hai finito i soldi per mantenerla, se sei in crisi perchè le tue orchidee battono i denti dal freddo, non farti prendere dal panico…vai sul piccolo, costruisciti una “scatola magica”…

Chiamalo orchidario, terrario o con altro termine, tutto parte da Ward
Questo post è dedicato a chi coltiva le orchidee in casa e spesso si è dovuto attrezzare nei modi più “rocamboleschi” per garantire alla propria collezione un luogo adatto alla crescita e alla fioritura. Per chi non ha la fortuna di poter realizzare una serra o destinare un’appendice della propria abitazione alla propria “fitopassione”, un jardin d’hiver dove immergersi in un angolo tropicale, rimane un piccolo luogo dove concentrare il proprio sguardo verso la natura, a volte talmente piccolo che al suo interno in epoche passate ci si divertiva a creare riproduzioni di veri e propri paesaggi in miniatura o architetture in scala ridotta popolate di vegetali: il terrario.
I moderni terrari hanno subito un’evoluzione meno estetica e più tecnologica di un tempo, da scatola chiusa sostenuta da strutture ricamate di ferro battuto si sono trasformati in ambienti ventilati con impianti di illuminazione artificiale.
Ma come e quando nacque il terrario e chi scoprì il miracolo della coltivazione sotto vetro?
A fare questa scoperta fu il dott. Nathaniel Bagshaw Ward (1791-1868), quest’uomo, che ha il merito di aver cambiato il mondo botanico così drasticamente, rimane l’ennesimo personaggio-ombra che emerge dalle nebbie della Londra vittoriana. Non pensiate che questa sia la solita frase retorica, dietro alle sue scoperte si nascondono una serie di evoluzioni storiche senza le quali il mondo moderno sarebbe decisamente diverso da quello che noi conosciamo.

Nathaniel Bagshaw Ward (1791-1868)
Sarebbe noioso stilare l’elenco delle società che lo vedevano attore partecipe, vi basti sapere che spaziavano dal campo medico, farmaceutico a quello botanico.
Ma partiamo con ordine: nato a Londra Ward sviluppò presto il suo interesse per il mondo naturale nonostante lo circondasse il grigio panorama della città industrializzata. Alla tenera età di 13 anni si ritrova per mare su una nave in viaggio per la Giamaica: era convinto di far carriera in marina. Dopo quel viaggio, come sperava il padre, valente chirurgo, egli abbandonava l’idea di essere un marinaio per seguirlo nella pratica medica. Ma la flora tropicale aveva risvegliato in lui l’interesse per la natura e in particolare per palme e felci.
Ward lavorava nell’est End di Londra e continuava a coltivare la sua passione per la botanica e l’entomologia tra un paziente e l’altro, nel tempo libero. Collezionava piante coltivandole all’aperto: il suo erbario contava più di 25000 specie.

Sognava ricoprire un vecchio muro di confine del suo giardino di felci e muschi; questo è quello che scrisse di se’ e del suo desiderio nel suo libro del 1852 “On the Growth of Plants in Closely Glazed Cases”:

“The science of Botany, in consequence of the perusal of the works of the immortal Linnaeus, had been my recreation from my youth up, and the earliest object of my ambition was to possess an old wall covered with ferns and mosses. To obtain this end, I built up some rock-work in the yard at the back of my house, and placed a perforated pipe at the top, from which water trickled on the plants beneath; these consisted of Polypodium vulgare, Lomaria Spicant, Lastroea dilitata, L. Filix mas, Athyrium Filax foemina, Asplenium Trichomanes and a few other ferns, and several mosses procured from the woods in the neighborhood of London, together with primroses, wood-sorrel, & c. In consequence, however, of the volumes of smoke issuing from surrounding manufactories, my plants soon began to decline, and ultimately perished, all my endeavours to keep them alive proving fruitless”.

Il suo giardino a Wellclose square non fu esattamente quello che Ward si era immaginato, solo poche delle felci piantate sopravvissero. Questo tasso di fallimento fu determinato dalla cappa di inquinamento soffocante della Londra industrializzata, la stessa atmosfera inquinata dal fumo proveniente dalla combustione del carbone e dai solfuri che fece coniare a un giornalista nel 1905 il termine “smog”, abbreviazione di “smokey fog” (nebbia fumosa).

Nel 1829 circa Ward salvò la pupa di un lepidottero (sfinge) in un “ambiente naturale” e la sigillò in un contenitore. La storia non ricorda il destino del lepidottero, ma dopo un po’ di tempo Ward notò che alla base del contenitore chiuso dal terreno iniziavano a germogliare delle felci: la sua curiosità su quanto tempo queste potessero vivere in un ambiente protetto, o meglio sigillato, portò a una delle scoperte botaniche ed economiche più importanti dell’età vittoriana: la cassetta wardiana (Wardian Case).

Una classica Wardian case – Da “The Victorian Fern Craze” di DE Allen (Hutchinson, 1969)

“When the attempt had been given up in despair, a fresh impetus was given to my pursuits, and I was led to reflect a little more deeply upon the subject, in consequence of a simple incident which occurred in the summer of 1829. I had buried the chrysalis of a sphinx [moth] in some moist mould contained in a wide-mouthed glass bottle, covered with a lid. In watching the bottle from day to day, I observed that the moisture which, during the heat of the day arose from the mould, condensed on the surface of the glass, and returned whence it came; thus keeping the earth always in some degree of humidity. About a week prior to the final change of the insect, a seedling fern and a grass made their appearance on the surface of the mould.
I could not but be struck with the circumstance of one of that very tribe of plants which I had for years fruitlessly attempted to cultivate, coming up sponte sua in such a situation, and asked myself seriously what were the conditions necessary for its well-being? To this the reply was — a moist atmosphere free from soot or other extraneous particles; light; heat; moisture; periods of rest; and change of air. All these my plant had; the circulation of air being obtained by the diffusion law already described.
Thus, then, all the conditions requisite for the growth of my fern were apparently fulfilled, and it remained only to test the fact by experiment. I placed the bottle outside the window of my study, a room with a northern aspect, and to my great delight the plants continued to thrive. They turned out to be L. Filix mas and the Poa annua. They required no attention of any kind, and there they remained for nearly four years, the grass once flowering, and the fern producing three or four fronds annually. At the end of this time they accidentally perished, during my absence from home, in consequence of the rusting of the lid, and the consequent too free admission of rain water.”

(Nota: Ward fa riferimento alle felci come piante cresciute da seme e non da spore, inoltre chiama il bozzolo del lepidottero crisalide, termine oggi associato alla pupa di una farfalla).
Preso dal fervore per la sua scoperta, Ward inizò tutta una serie di esperimenti costruendo dei terrari in vetro più grandi che riempirono il suo giardino e ogni stanza della sua abitazione: alcuni li mise perfino sopra il tetto di casa! Il terrario più grande (2.4 mq) conteneva al suo interno più di 50 specie di piante abbarbicate sulla riproduzione di una finestra della Tintern Abbey (a lato foto).

I contatti con la famosa Loddiges Nursery che sponsorizzava le spedizioni esplorative volte alla scoperta di nuove piante, gli permisero di testare il potenziale della sua invenzione per il trasporto di esemplari per mare. All’epoca la sopravvivenza a questi lunghi viaggi era impensabile. Le piante tenute sottocoperta morivano per mancanza di luce, mentre quelle tenute sul ponte per salsedine, forti venti, bruciature da sole e mancanza d’acqua.

Wardian Case da interno (dal libro di Ward del 1852)

Crescere e spedire piante sotto vetro non era cosa nuova, ma nuovo era il concetto dell’ambiente sigillato non contaminato dalle condizioni atmosferiche circostanti.
Ward fece quindi costruire da un carpentiere una cassa per le sperimentazioni, il telaio doveva essere in legno duro e le connessioni più rigide e resistenti possibili: questo per evitare danni per effetto della condensa. Ed ecco nato il primo terrario!.
Nel 1833 spedì in due casse delle felci native dell’Inghilterra in Australia, questo fu il suo primo grande esperimento. Dopo 6 mesi di navigazione il carico sbarcò nel porto di Sydney con le piante vive e vegete! Le casse come su richiesta vennero pulite e riempite di specie native australiane che prima di allora non si erano mai riuscite a trasportare oltremare; nel febbraio del 1835 il carico salpò e la nave sconvolta dalle tempeste di Capo Horn e arrivò a Londra solo dopo 8 mesi di navigazione. Le casse erano sul ponte e non erano state aperte nonostante le temperature fossero variate da -7 a 49 C° e coperte dalla neve durante parte del viaggio.
In città Ward attendeva ansioso di visionare il carico. Nel suo libro del 1852 scrisse: “I shall not readily forget the delight expressed by Mr. G. Loddiges, who accompanied me on board, at the beautiful appearance of the fronds of Gleichenia microphylla [umbrella or coral fern], a plant now for the first time seen alive in this country.”
L’esperimento ebbe successo e Ward pubblicò un pamphlet dal titolo “The growth of Plants without open exposure to the Air” in cui descriveva i sui metodi. A questo seguì la pubblicazione nel 1842 del libro “On the Growth of Plants in Closely Glazed Cases”.
Dopo di lui tutta l’Inghilterra iniziò a usare i terrari, sia per le coltivazioni cittadine che per le spedizioni via mare e Loddiges potè constatare che il tasso di sopravvivenza delle piante era cresciuto dallo 0.1 al 90%.
Joseph Dalton Hooker fu uno dei primi a servirsi delle cassette wardiane per la sua spedizione in Antartico nel 1839, ma il primo di cui si ha notizia fu John Gibson, pupillo di Paxton, che partì per l’India nel 1835 per conto del duca del Devonshire, in un viaggio che lo tenne lontano dall’Inghilterra per oltre 2 anni e che riportò al duca più di 80 specie di orchidee diverse, tra cui quello che venne chiamato Dendrobium devonianum, che fiorì per la prima volta nelle serre di Chatsworth nel 1840.

Nel 1854 il dott. Ward diede lettura della sua scoperta alla Royal Society nel Chelsea Physic Garden: in quel tempo era già noto che la sue wardian cases avevano cambiato la faccia del commercio in tutto il mondo. Queste rimasero in uso per parecchio tempo, si dovette aspettare più di un secolo l’arrivo delle buste in plastica e le ingombranti e pesanti cassette vennero soppiantate.

Curiosità e alcuni esempi del modo in cui è cambiata l’agricoltura internazionale:
•Un botanico scozzese A. Maconochie rivendicò di aver scoperto il terrario prima di Ward nel 1825 ma non rese pubblica la sua invenzione fino al 1839 quando il terrario di Ward era già in uso … trop tard!
•Gli studi di Ward portarono nelle case della middle class vittoriana la moda di terrari “elaborati” e acquarii: la combinazione di acquario-terrario fu chiamata nei paesi di lingua anglofona Warrington Case.
•Un tipo di muschio africano fu chiamato Wardia in suo onore.
•Negli ultimi anni della sua vita si ritirò a Clapham Rise nel sud est di Londra in una casa che volle chiamare “The Ferns” (Le Felci).
•Joseph Hooker fu tra i primi esploratori a servirsi delle cassette, spedendo molte specie diverse in Inghilterra durante i suoi viaggi durati 4 anni, dal 1839 al 1843, sul “Terror and Erebus” con il Capitano James Clark Ross.
•Robert Fortune usò le cassette per trasportare 20,000 piante di tè da Shanghai alla regione dell’ Assam in India, dove, ancora oggi, si produce uno tra i migliori tè del mondo.
•Nel 1851 per la Grande Esposizione di Londra Ward mise in mostra una bottiglia contente felci e muschi sigillata da più di 18 anni …
•L’orchidomania della tarda età vittoriana fu interamente possible grazie alle cassette del Dr Ward, e molte delle piante che oggi abbiamo nei nostri appartamenti vennero raccolte e portate in Europa dai loro luoghi d’origine nelle cassette wardiane.
•L’Hevea brasiliensis, l’albero della gomma da Pará in Amazzonia, venne spedito con successo a Kew, da lì verso la Malesia e lo Sri Lanka, dove si stabilì l’industria della gomma coloniale inglese. Questa fu una grande risorsa durante le due guerre mondiali, e contribuì significativamente alla vittoria degli alleati nella seconda Guerra Mondiale.
Post tratto da un articolo di Elettra Zardo

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