Neobenthamia: un genere composto di un’ unica specie.
Il nome del genere è stato dato in onore di George Bentham, botanico Inglese del 1800. Il nome proprio della specie “gracilis” evidenzia la struttura delicata e gracile della pianta e dei suoi fiori.
E’ un’orchidea terricola e/o litofita e vive in Tanzania.
Foto di copertina: Coelogyne ovalis – collezione rio Parnasso.
Coelogyne, poco meno di 200 specie, pochissimi ibridi, eppure il genere conta piante adattabili a tutti i climi. E’ proprio vero, questo genere non tiene quasi mai banco fra gli appassionati. Proviamo a conoscere un po’ da vicino questo affascinante genere di orchidee. Chi segue questo blog si sarà gia accorto, che gli argomenti, anche di carattere scientifico, vengono presentati in modo discorsivo, semplice e qualche volta perfino romanzato. E’ una nostra scelta editoriale per rendere godibile il vostro viaggio in un mondo fantastico e per non rubare il mestiere agli studiosi, che affrontano scientificamente la botanica la biologia e la tasonomia della grande famiglia delle Orchidaceae.
Introduciamo velocemente in modo canonico il genere:
Coelogyne Lindley 1821 Sottofamiglia Epidendroideae Lindl., Tribù Coelogyneae Pfitzer, Sottotribù Coelogyninae Bentham Derivazione del nome: composizione delle parole greche koilos (cavità) e gyne (femmina). Distribuzione: Tibet, Nepal, Bhutan, India del nord, Cina del sud, India del sud, Sri Lanka, Myanmar, Tailandia ed Indocina, Malesia, Indonesia, Borneo, Filippine, Sulawesi, Maluku, Nuova Guinea, Mariana, Caroline e di Solomon, Vanuatu, nuova Caledonia, Fiji, Tonga. Vista la lunga carrellata dei siti in cui vivono le Coelogyne, possiamo affermare che le varie specie appartenenti al genere si sono adattate a climi diversi, che vanno dalle temperature calde, a quelle intermedie ed anche fredde con periodi secchi. La grande scommessa per coltivare bene le Coelogyne è quindi approfondire la conoscenza delle loro esigenze climatiche. Il nostro cammino fra le Coelogyne inizierà con il prossimo post, proprio dai loro habitat e magari dalle vostre domande.
L’altro ieri, ad attirare la mia attenzione è stata la luminosità dei fiori della Coelogine barbata, desidero quindi introdurre il tema del post presentandovi questa splendida ed inusuale specie botanica.
Coelogyne barbata Lindl. ex Griff. 1848 Il nome di questa specie trae origine dalla estesa peluria del labello.
Da diversi anni coltivo con successo alcune piante di questa specie. Non è molto presente nelle collezioni, ma non è di difficile coltivazione. E’ originaria dell’India e del Sikkim, produce un’infiorescenza inizialmente eretta, ma tendente ad assumere una posizione pendula a causa del peso dei fiori. Lo stelo fiorale porta più di 10 grandi fiori bianchi che si aprono in progressione; il labello è bruno vistosamente fimbriato (da cui il nome barbata), con i lobi laterali color bianco esternamente e bruno chiaro all’interno. Gli pseudobulbi sono ovoidi e portano due foglie lanceolate, rigide e lunghe quanto le infiorescenze. Fiorisce in autunno inverno e va coltivata in vaso con substrato di bark e torba di sfagno a temperatura intermedia. Non ama molta luce, anche una breve esposizione eccessiva scotta irrimediabilmente le foglie che assumono un colore brunastro e diventano mollicce per poi seccarsi parzialmente (quest’esperienza l’ho fatta la scorsa estate con la sostituzione della copertura in nylon, molto più trasparente di quello vecchio opacizzato dallo smog. Il giusto rapporto ambiente di coltivazione – piante è molto importante. Sostengo sempre, che i risultati di una coltivazione dipendono per buona parte dalla bontà dell’insieme ambiente (temperatura – luce – umidità). Questo argomentare trova verifica ogni qualvolta uno di questi valori scende o supera la soglia di accettabilità complessiva delle piante in coltivazione ed ecco che la troppa luce è segnalata dalle piante più sensibili alla luce, mentre un inopportuno abbassamento della temperatura mette in crisi le piante da clima caldo. Questi sono segnali che il bravo coltivatore deve saper cogliere….le piante sapranno ringraziare.
Dove vivono e come si coltivano le Coelogyne, solamente qualche nota ed un piccolo aiuto.
Le quasi 200 specie del genere Coelogyne sono facili da coltivare e quindi appare veramente inspiegabile la sua scarsa popolarità fra i collezionisti. Alcuni scrittori lo definiscono il genere dimenticato ed altri sottolineano addirittura, che è un genere ignorato. Solitamente la popolarità di un genere di orchidee si misura anche dal numero di ibridi derivati da incroci con specie di appartenenza. Nel corso degli anni, l’intero genere è stato abbondantemente mortificato e fatto salvo l’inizio del secolo scorso (anni 20) quando sono stati registrati 7 ibridi, da quei tempi possiamo rilevare solamente altre 2 o 3 registrazioni. Nel 1950, è stato registrato un ibrido dal nome Coelogyne Mem. W. Micholitz, derivato dall’incrocio fra (Coelogyne mooreana x lawrenceana) pianta da serra intermedia con fiori grandi di colore bruno e bianco. Bisogna arrivare agli anni 70 per trovare la Coelogyne Linda Buckley (Coelogyne mooreana x cristata). È difficile da credere, ma questi sono gli unici ibridi di Coelogyne attualmente registrati. Per la verità, con l’aiuto di Elettra (vedi commento) abbiamo scoperto, che recentemente sono stati registrati anche altri ibridi: Coelogyne ‘Green Dragon Chelsea AM/RHS’ (lawrenceanna x ochracea) – Coelogyne ‘William Micholitz Burnham AM/RHS’ (mooreana x lawrenceana) – Coelogyne Mem. Louis Forget (mooreana x speciosa) – Coelogyne Hybrid 1035 (mooreana `Brockhurst’ X virescens). Ad ogni buon conto sempre pochi sono e tutti primari, nello stesso lasso di tempo il genere Cattleya ha già un albero genealogico di tutto rispetto. Questa strana situazione è ancor più incomprensibile se sì tien conto delle meravigliose opportunità possibili con questo genere ancora totalmente da sperimentare a livello di ibridazioni generiche e soprattutto intergeneriche con i vari alleati quali: Pleione, Pholidota e Dendrochilum.
Le Coelogyne sono presenti a partire dall’India, attraverso l’Asia sud orientale, il sud-ovest della Cina, le Filippine e le isole dell’Indonesia per arrivare in Estremo – Oriente, Nuova Guinea e le isole del Pacifico sud orientale. In questa vasta area vegetativa le specie del genere Coelogyne hanno colto due aspetti climatici fondamentali: situazione climatica mediamente calda senza grossi cambiamenti durante le stagioni e ambiente marcatamente monsonico caratterizzato da periodi secchi e freschi. In questo contesto va tenuta presente anche la variante “altitudine”.
Fatte queste osservazioni, si può ben capire l’importanza di informazioni dettagliate sull’habitat delle singole specie da coltivare. Ad esempio è molto utile conoscere l’altitudine dei siti dove vivono le varie specie, con questi dati possiamo agire per comparazione con altre già conosciute e coltivate. La catena dell’Himalaya (dall’India all’Asia sud orientale) comprende un gran numero di specie, che possiamo definire da climi freddi. Le specie da clima freddo si prestano molto alla coltivazione fuori serra (casalinga) in quanto non richiedono temperature calde e nella fase invernale possono essere tranquillamente trascurate e dimenticate per parecchie settimane….questa opportunità è una manna per quei coltivatori che desiderano assentarsi durante le vacanze invernali. Con riferimento a quanto detto sopra, le specie regine sono senza dubbio la Coelogyne cristata, la Coelogyne mooreana e la Coelogyne mossiae. I requisiti colturali comuni per queste specie possono essere riassunti così: umidità 80 – 85% in estate e primo autunno, leggermente ridotta a fine autunno inizio inverno e periodo freddo secco nella seconda parte dell’inverno e inizio primavera. Stesso discorso per le bagnature (simulare i monsoni), che devono essere veramente abbondanti nella fase estiva/ autunnale e quasi inesistenti nella parentesi fredda e secca. Fertilizzare sempre con valori equilibrati escluse una o due somministrazioni estive /autunnali più cariche di fosforo per favorire una copiosa fioritura.
Coelogyne flaccida Collezione Guido De Vidi Coelogyne flaccida Lindl. Le specie originarie dei climi caldi sono più indicate per le coltivazioni in serra dove è più facile tenere sotto controllo, temperatura – luce ed umidità, queste specie non richiedono freddo e secco, anche se va tenuto sempre in evidenza l’utilità del leggero relax durante la stagione fredda. Come sta capitando a tutti i generi della famiglia delle Orchidaceae, anche il genere Coelogyne è sottoposto a consistenti revisioni tassonomiche, chi desidera approfondire l’attuale situazione tassonomica del genere Coelogyne, può acquistare: Orchid Monographs – Volume 6 – Revisions in Coelogyninae (Orchidaceae) IV Coelogyne Section Tomentosae. II A Revision of the orchid genera Ania, Hancockia, Mischobulbum and Tainia by de VOGEL, E.F. (ed.) Questo libro contiene una revisione tassonomica delle Coelogyne – sezione Tomentosae ( 24 specie). Sono descritte cinque specie recenti ( C. acutilabium, C. bruneiensis, C. echinolabium, C. latiloba, C. velutina ); altre tre specie sono assegnate per la prima volta a questa sezione (C. buennemeyeri, C. distans, C. rupicola.). Sei specie sono ridotte a sinonimi. Inoltre il libro contiene buone descrizioni sui sinonimi, distribuzione delle specie, habitat ed illustrazioni dettagliate.
La giornata, fredda e malinconica se ne sta andando senza rimpianti. E’ mia intenzione scrivere qualche notizia sulle Coelogine ma con il cervello in stand-by non riesco a tirar fuori nulla…forse è meglio spegnere tutto e rimandare a domani.
Chiudo la giornata dedicando questo bouquet di orchidee a tutte le amiche ed amici del blog, siete veramente tantissimi…vi sento, grazie.
Un’ idea semplice e geniale
Una particolare applicazione del principio dei vasi comunicanti, aiuta a tenere umide le radici e il substrato delle orchidee in vaso.
Leggendo la mail inviatami da Chiara sono rimasto veramente sorpreso e desidero farla conoscere a tutti gli appassionati di orchidee.
Forse Chiara avrà attinto dal libro di Halina Heinz “Orchidee
(i consigli dell’esperta per le vostre piante preferite)” edito da
Crespi nel 2005…anche Rebecca Tyson Northen nella sua “bibbia”mi sembra che proponga soluzioni simili, ad ogni modo, onore alla genialità!! ecco il racconto in presa diretta:
Ciao guido.
Trovo che il sito del club sia strutturato molto bene senza inutili giri di parole “coreografiche” tipiche dei siti che mancano di persone competenti, e nonostante sia un club di amatori si trattano tutti gli argomenti in modo veramente professionale e approfondito. Tornando al dicorso della mia Vanda, l’apice vegetativo è perfetto, in questa stagione è riuscito a formare due nuove foglie.
Ho acquisato la pianta in fioritura e siccome non avevo pratica la tenevo continuamente spruzzata ma non essendo sufficiente l’acqua che le davo, la fioritura è durata abbastanza poco (la pianta è su vasetto in cotto).
Poi ho iniziato due volte la settimana a immergere tutto l’apparato radicale e il vasetto in acqua per alcune ore per reidratare la pianta ma purtroppo le radici, molto lunghe, subivano danni, così ho brevettato il mio sistema. Avrò scoperto l’acqua calda, ma funziona egregiamente.Come impianto di irrigazione, ho utilizzato una vaschetta con una striscia di tessuto che viente riempita quando il vasetto si asciuga o le radici risultano un po’disidratate, La striscia porta acqua molto lentamente verso le radici e la parete del vasetto che riesce ad assorberla senza perdere una goccia.
Nella stagione è marcita e si è staccata la foglia dove era inserito il fiore, probabilemnte perchè é stagnata una piccola quantità di acqua, ho provveduto a togliere la foglia marcia e ora la ferita si è completamente asciugata. Sono molto orgogliosa della mia pianta e spero con tutto il cuore
Grazie mille per i consigli tuoi e di tutti
quelli del club. Ciao
Chiara
Pteroceras Hasselt ex Hasskarl
Flora 25(2): 6 (1842)
Un genere di circa sessanta specie distribuite dalla Malesia alla Tailandia attraverso Java, Sumatra e Nuova Guinea, strettamente collegato al genere Sarcochilus Blume
Origine del nome assegnato al genere: Pteron greco (ali), keras (corno), descrive le due piccole ali o corna poste alla base, sopra la sacca del labello.
Specie tipo: Pteroceras radicans Hasskarl
Le orchidee del genere Pteroceras sono epifite e gran parte delle specie di appartenenza sono monopodiali tendenti ad assumere portamento pendulo, con foglie lanceolate, distiche e quando le piante sono in fioritura assomigliano alle Phalaenopsis miniatura.
Habitat: le orchidee appartenenti a questo genere vivono in zone boscose piovose e calde.
Collezione Guido De Vidi – diritti riservati Pteroceras appendiculatum(Blume) Rch.f.
Questa delicatissima specie si sviluppa con facilità, ma nella fase di formazione e apertura dei fiori è molto sensibile agli sbalzi di temperatura ed alla carenza di umidità.
Questa sua particolare esigenza climatica, mi ha fatto dannare per molti anni. Puntualmente, durante il periodo della formazione dei boccioli fiorali, questi si staccavano dal gambo ancora chiusi. Non trovando alcuna indicazione ho dovuto di volta in volta, sperimentare nuove soluzioni ambientali. Ora spero di aver risolto il mistero.
Dopo vari tentativi di coltivazione, con temperatura minima (18 gradi) e costante umidità in serra, penso di aver risolto il problema e svelato il mistero.
I fiori di questa specie misurano meno di 1 cm. di diametro, sepali e petali sono caratterizzati da macchie color terra di Siena, il labello ha l’attacco rossiccio, la sacca e le piccole ali color bianco.
Le piante di questo genere crescono bene se sono coltivate su tronchetti di legno poroso e duro con poco sfagno tra le radici, ambiente ombreggiato e costantemente umido, a temperature di 17 – 18 gradi minimi.