Archivio mensile:Marzo 2020

Se il tempo fosse un gambero

La tradizione vuole che gli ultimi tre giorni di gennaio, 29-30-31, siano considerati i più freddi dell’inverno. Molte sono le leggende a ricordare questo periodo dell’anno. La più accreditata racconta che una merla (racconta che una volta i merli avevano le piume candide come la neve), per ripararsi dal gran freddo, si rifugiò dentro un camino con i suoi figli di prima covata e uscirono il primo febbraio tutti neri. E neri furono i merli da quel momento in avanti.
Ma perché sono i giorni più freddi dell’inverno? E’ sempre una leggenda a ricordarcelo: gennaio aveva ventotto giorni ed era il mese più freddo dell’anno. Giunto al ventottesimo giorno, un merlo, iniziò a cantare allegramente – “Più non ti curo Domine, che uscito son dal verno”. Gennaio si arrabbiò, e per punire quel merlo “blasfemo” si fece prestare altri tre giorni da febbraio e li rese ancor più freddi.


Eccoci qua a Febbraio del 2009, sono le ore 11 e fuori c’è un vento di bora che ti spacca le tempie. Brutta giornata, oggi. Chiuso in casa ad aspettare che quel maledetto virus se ne vada, cerco di andare a ritroso nei miei ricordi alla ricerca di un senso a quanto ci sta capitando attorno.
A dire il vero, oggi è la classica giornata nella quale ti viene facile fantasticare a ritroso nel tempo e nella storia. Possiamo provarci.
Parafrasando una metafora musicale, il “la” mi viene facile scorrendo vecchie foto del mio archivio… scattate qualche annetto fa (1970) in occasione di una mostra di pittura organizzata da quel mitico gruppo di artisti in erba, nato da una mia idea nel “68” e chiamato “GIOVANI 2001”
Eravamo sul finire degli anni 60 e per noi giovani, l’appellativo 2001 simboleggiava il nostro futuro, radioso e lontano nel tempo. Era il tempo dei Beatles e Rolling Stone, la generazione nata dopo la seconda guerra mondiale cercava di uscire dal torpore “clerical-conformista” della politica dominante, vitalità che si materializzava attraverso varie forme di partecipazione sociale e culturale. Era il periodo del fermento e della utopia, in Italia e nel mondo. Era il tempo delle guerre americane nel sud est asiatico: Corea, Vietnam, ed altri focolai minori. Il mondo era fatto a blocchi, quello americano dalla nostra parte e quello sovietico a ricordarci l’eredità della sconda guerra mondiale.

Blowin in the wind – Bob Dylan

…” quante strade deve percorrere un uomo
prima che si possa chiamare uomo?
e quante spiagge deve vedere una colomba bianca
prima di potersi riposare nella sabbia
e quante volte devono volare le palle di cannone
prima che vengano cancellate?
la risposta, amico mio, sta soffiando nel vento…
la risposta sta soffiando nel vento”…

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L’impegno sociale
Vietnam anno zero – Olio su tela 80×70 – Autore Guido De Vidi

Il circolo Giovani 2001 fu una fucina di idee, di cenacoli artistici, e di impegno sociale.

https://libreriamo.it/intrattenimento/blowin-in-the-wind-bob-dylan-poesia-contro-guerra/

I temi ed i problemi sociali di quel periodo storico, trovavano anche spazio nelle rappresntazioni dell’arte figurativa.
La foto sopra, ferma il dramma di quel periodo (la guerra in Vietnam), magistralmente impressionata in un quadro ad olio.
Il set della politica mondiale a quel tempo era catalizzato dalla disastrosa avventura della guerra americana in Vietnam e di lì a poco in Italia, si sarebbero materializzati anche gli anni del terrorismo nero e rosso.
Il mio piccolo paese, amministrato da sempre dalla DC, assisteva indenne al nostro “purtroppo” vano impegno giovanile per il cambiamento della politica. Trovammo comunque asilo nello spazio metafisico dell’arte e della cultura ed è così che iniziò quella virtuosa e prolifica pagina della nostra gioventù, che fra l’altro ci mise anche al riparo dalla ondata utopica che portò molte vite all’auto distruzione.

piave

La parentesi amena
Pomeriggio al Piave con amiche – Olio su tela 80×70 – Autore Guido De Vidi

Erano anche gli anni delle gite domenicali sulle rive dei fiumi. Luoghi romantici e pieni di intimità genuina. Per noi giovani abitatori della zona del Piave, le piccole gite estive della domenica a bordo della mitica Fiat 500, finivano quasi sempre sui prati e nei boschetti ombrosi della nostra bella Marca Trevigiana.
Gli argini del fiume Piave e le sue immense grave, caratterizzate da radure di arbusti e cumuli di sassi che di tanto in tanto lasciavano affiorare freschi torrenti, erano l’ispirazione per i miei dipinti ad olio, nei quali cercavo di cogliere l’armonioso equilibrio della natura.
Tanti anni sono passati e con loro anche molte certezze. Quello che allora era un futuro lontano, ora è quasi un passato remoto… peccato che le nostre aspirazioni di allora, abbiano camminato come un gambero.
Ora il dramma che colpisce l’intera umanità è rappresentato dalla pandemia causata dal coronavirus. Non ci rimane che attendere protetti nelle nostre case, e sperare che ritorni il bel tempo…la famosa leggenda della merla racconta che sarà una bella e calda primavera, se i giorni della merla sono stati molto freddi.

Sarcochilus fitzgeraldii 'Nuno'

Sarcochilus fitzgeraldii è originario dell’Australia. E’ endemico nell’area che va dal fiume Hastings nel nord-est del Nuovo Galles del Sud fino alla Conondale Range nel sud-est del Queensland.
Sarcochilus fitzgeraldii appartiene al genere Sarcochilus ed è una specie con molte varietà e forme: Sarcochilus Fitzgerald, The Ravine Orchid, Sarcochilus fitzgeraldii var. rubicentrum, Sarcochilus fitzgeraldii var. albus, Sarcochilus fitzgeraldii var. aemulus, Sarcochilus fitzgeraldii f. aemulus, Sarcochilus fitzgeraldii f. albus. Questa specie è stata descritta da Ferdinand von Mueller nel 1869.

Di solito vive su rocce o in crepe e fessure di rocce e scogliere. Cresce in luoghi umidi e fortemente ombreggiati della fitta foresta pluviale, nei burroni dei pendii orientali della Grande Catena Divisoria. Queste piante si trovano sempre in aree con forte movimento dell’aria, ad altezze moderate fino a 1000 m, ma raramente si trovano sopra i 5 – 600 m. È una specie litofita medio piccola da clima caldo temperato con steli lunghi e ramificati, sottesi da vecchie basi fogliari e portanti 4-8 fiori.
Sarcochilus fitzgeraldii fiorisce su un sottile stelo, arcuato a pendente, lungo da 10 a 20 cm, da 4 a 15 ifiori a fioritura primaverile e successiva. I fiori sono profumati, hanno un diametro di 2,5-3,5 cm. I fiori sono bianchi e un terzo di essi, sono punteggiati o presentano macchie di colore ciliegia o cremisi. A volte questi scolorimenti rossi si estendono ulteriormente ai petali e possono eccezionalmente coprire l’intera superficie interna. Raramente i petali sono di un pallido cremisi con molte macchie rosso scuro. Il labello è solitamente bianco con una certa quantità di macchie gialle.

CURA E CULTURA
Temperatura:
La temperatura media del giorno in estate è di 27 ° C, la notte media è di 17-18 ° C, che fornisce una variazione giornaliera di 9-10 ° C. In inverno la temperatura media del giorno è di 17-19 ° C, di notte 7-8 ° C, con un’escursione giornaliera di 10-12 ° C.
Umidità:  60-65% durante tutto l’anno.
Substrato:
Sarcochilus fitzgeraldii può essere coltivato in vasi poco profondi con un buon drenaggio, ottenuto da pezzi di materiale vario (bark, cocco ecc.), che consente un rapido drenaggio dell’acqua e una buona aerazione delle radici. Possono essere utilizzati anche altri materiali diversi, come ghiaia, pezzi di arenaria, carbone, muschio di sfagno e compost di foglie.
Il rinvaso o la divisione delle piante dovrebbe essere fatto quando inizia la crescita di nuove radici. Ciò consente alle piante di acclimatarsi in un tempo relativamente breve e fornisce loro il minimo stress.
Irrigazione:
Nei luoghi di endemicità le piogge sono moderate o pesanti dalla tarda primavera all’autunno. La loro quantità diminuisce, (monsone secco) che dura dall’inverno all’inizio della primavera. In coltivazione le piante dovrebbero essere frequentemente annaffiate durantelo sviluppo, facendo attenzion ed evitare i ristagni intorno alle radici.
Fertilizzante:
Durante la fase di crescita, le piante dovrebbero essere concimate ogni settimana usando metà della dose raccomandata di fertilizzante per orchidee. Dalla primavera a metà estate, è possibile utilizzare fertilizzanti arricchiti con azoto, quindi passare a fertilizzanti arricchiti con fosforo a fine estate e autunno.
Periodo di riposo:
In inverno, l’irrigazione del Sarcochilus fitzgeraldii dovrebbe essere limitata, ma non deve rimanere asciutta per molto tempo. La fertilizzazione dovrebbe essere ridotta o eliminata fino a quando compaiono le nuove vegetazioni.

Vaniglia: a metà fra storia e mistero

Vanilla: orchidea scomoda dai fiori insignificanti, difficile da coltivare con successo, ma tutti i collezionisti di orchidee esotiche, prima o poi se la comprano.
Qual’è il motivo di tanta attrazione per questa specie intrigante, da parte degli appassionati delle orchidee?

Guardando questa meravigliosa torta all’aroma di vaniglia creata dal maestro pasticciere Trevisan, rigorosamente con vaniglia naturale, si può intuire facilmente che il desiderio recondito di ogni appassionato di orchidee è quello di veder fiorita la sua pianta di vaniglia per avventurarsi poi, nella produzione di quell’aroma tanto particolare.
Io non ci sono ancora riuscito, ma non dispero, e insieme a voi ripasso la lezione rituffandomi nel mondo affascinante e misterioso dell’orchidea che si mangia e si beve: la Vanilla.

Le origini
Gli aztechi utilizzavano la vaniglia già da molto tempo ed era chiamata “Tlixochill”, cioè bacca nera.
Hernando Cortez, il conquistador del Messico fu il primo europeo ad assaggiare una bevanda al cioccolato dal sapore di vaniglia, servitali in tazze d’oro dall’imperatore Montezuma.
Gli Aztechi cercarono di tenere nascosto il segreto della provenienza di questa essenza ma i conquistadores europei riuscirono a scoprirlo ugualmente. La vaniglia fu importata in Spagna per la prima volta nel 1510 e poi successivamente (1604) anche in Francia dove fu utilizzata abitualmente nella preparazione del caffè e del cioccolato.
Le prime documentazioni scritte sulla vaniglia risalgono a Bernardino de Sahagun (missionario francescano che svolse la sua opera in Messico tra le popolazioni azteche Náhua tra il 1560 e il 1575).
I primi tentativi di coltivazione della preziosa vaniglia, al di fuori delle zone endemiche, risalgono all’inizio del XIX secolo: alcune piante furono spedite a Java, poi all’isola della Reunion e alle Mauritius, ma la mancanza dell’insetto pronubo impollinatore, rese l’impresa fallimentare.
Nel giardino botanico di Liegi (1836), il naturalista belga Charles Morren effettua con successo la prima impollinazione manuale delle piante e successivamente (1837), anche l’orticultore francese Joseph Henri François Neumann, ma è solo nel 1841 che un giovane schiavo addetto alle piantagioni, Edmond Albius (1829- 1880), trovò il metodo giusto, impiegato ancora ai giorni nostri.
Questa scoperta che ha arricchito molti coltivatori non ha portato fortuna al suo ideatore poiché è morto nella miseria più grande.

Metodo Albius o “matrimonio della vaniglia”
Come si può notare dai disegni, una membrana (rostello o rostro) separa l’antera (organo sessuale maschile) che contiene le masse polliniche, dallo stigma (organo sessuale femminile), il metodo Albius consiste nello spostare verso l’alto la membrana con uno stecchino, per poi poter schiacciare con una lieve pressione del dito le masse polliniche nello stigma ed effettuare in tal modo la fecondazione del fiore.
Tale metodo cominciò ad essere utilizzato all’isola della Reunion (più conosciuta come l’isola Bourbon) nel 1848, alle Seychelles nel 1866, in Madagascar nel 1871, alle isole Comore nel 1891, a Tahiti nel 1898, in Uganda e a Ceylon nel 1912. Edmond, che in seguito acquisì anche il nome “Albius” in onore al colore del fiore, scoprì come impollinare rapidamente l’orchidea della Vaniglia con un piccolo bastoncino appuntito ed un semplice gesto del pollice. Il procedimento, osservato al giorno d’oggi, può sembrare banalissimo (lo vedete nel link sottostante), il classico uovo di Colombo, ma sino alla scoperta di Albius nessuno lo aveva scoperto, un sistema tanto semplice quanto efficace.

https://www.chanel.com/it_IT/fragranze-cosmetici/skincare/c/beyond-the-jar-video/vanilla-planifolia.html

L’aroma
Il primo elemento sorprendente è che le orchidee dalle quali si ricava la vaniglia non hanno nessun odore, solo i fiori sono lievemente profumati, ma non quel classico aroma che noi tutti conosciamo.
Anche il frutto per molto tempo è inodore; nel normale ciclo di sviluppo comincia a rilasciare l’aroma solamente quando è giunto a maturazione ed inizia ad ingiallire.

La chimica
L’aroma della vaniglia è prodotto dalla vanillina.
Quello della vaniglia è uno degli aromi naturali più complessi: sono centinaia le sostanze chimiche che lo compongono.
La vanillina è solo uno componenti dell’aroma alla vaniglia, ma di gran lunga il più importante ed in definitiva quello che ne determina il valore commerciale.
I semi di Vanilla contengono una percentuale di vanillina compresa tra l’1,5% ed il 4%. Essa concorre, insieme ad altri duecento componenti, a definire le complesse note aromatiche della vaniglia naturale.
Questo aroma è il risultato di un processo chimico naturale, che ha luogo nel frutto (capsula impollinata) di alcune specie di Vanilla, ma la vanillina può essere ricavata anche per sintesi chimica.

L’aroma naturale di vaniglia
Finché la capsula impollinata (frutto) è ancora verde, non è presente la molecola vanillina ma, la glucovanillina (molecola di vanillina legata allo zucchero glucosio).
Anche la glucovanillina è inodore, ma dalla sua decomposizione per distacco dello zucchero (nella capsula esiste un enzima capace di decomporre la glucovanillina in vanillina e glucosio), si libera la vanillina e quindi l’aroma.
Il processo di formazione dell’aroma è legato quindi alla trasformazione della glucovanillina in vanillina.
Durante il periodo di maturazione della capsula, si ha un significativo accumulo di glucovanillina tra la quindicesima e la trentesima settimana dopo l’impollinazione: la completa maturazione del frutto è molto importante per un buon rendimento nella produzione di aroma.
Finché le cellule della capsula sono vive, l’enzima è separato dalla glucovanillina (diverse locazioni che impediscono il contatto), e quindi non può aver luogo il suo processo di decomposizione.
Con l’ingiallimento, la senescenza della capsula e la conseguente degenerazione cellulare, l’enzima separatore si trova a contatto con la glucovanillina ed inizia così il processo di formazione del caratteristico aroma della vaniglia.
Tale processo può essere attivato anche con speciali trattamenti di calore dopo la raccolta delle capsule verdi (si crea artificialmente il fenomeno degeneratore delle cellule che consente il contatto dell’enzima con la glucovanillina), fenomeno che può attivarsi anche con capsule ancora verdi sottoposte a surgelazione.

La scoperta del mistero
Le osservazioni appena esposte, sono state intuite e descritte da Giuseppe Clementi, farmacista, primo laureato in chimica all’Università di Padova ed assistente del Prefetto dell’Orto Botanico di Padova Prof. Roberto Visiani
Clementi ha stabilito che la sostanza odorosa era localizzata solo nella parte più interna del frutto e precisamente:
“entro due particolari tessuti; uno formato da cellule allungate claviformi… che tappezza la faccia interna e longitudinale delle tre strutture del bacello; l’altro costituito da cellule allungate poste in serie nei sei placentari“
Dopo oltre un secolo e mezzo i risultati di Clementi hanno trovato piena conferma negli studi effettuati con moderne tecnologie (Jsrael Journal of Plant Sciences Vol.51 2003 pp.157-159)

Sintesi chimica
La più grande concorrente della vaniglia naturale è la vanillina di sintesi. Grazie al suo basso costo di produzione, la vanillina di sintesi ha reso popolare l’aroma della vaniglia ed ha però nello stesso tempo reso quasi sconosciuto il sapore inimitabile della bacca di vaniglia. La prima sintesi artificiale è stata messa appunto nel 1874 a partire da una sostanza estratta dall’abete rosso.
Eugenolo
Successivamente (1891) un chimico francese l’ha ottenuta con l’eugenolo (estratto dai chiodi di garofano).
Vanillina
Chimicamente la vanillina è un’aldeide aromatica, precisamente è la idrossimetossibenzaldeide. Gran parte della vanillina in commercio è di origine sintetica. La si ottiene per ossidazione dell’eugenolo con permanganato di potassio o ozono oppure per reazione del guaiacolo con formaldeide che può durare alcuni giorni. La vanillina si estrae anche dagli scarti solforici delle cartiere. Questi contengono acido ligninsolfonico che, trattato ad alta temperatura e ad alta pressione con agenti ossidanti e alcalini, si decompone in svariati prodotti, tra cui la vanillina che viene successivamente estratta dalla miscela e purificata per distillazione e cristallizzazione. La vanillina è contenuta anche nella corteccia del benzoino.

Produzione di vanillina
Attualmente la produzione di vanillina sintetica è di circa 12.000 tonnellate l’anno; quella di origine naturale 40 tonnellate l’anno a fronte di una produzione di 2000 tonnellate di frutti di vaniglia. I prodotti ottenuti dalla sintesi chimica, sfiorano il 90% del mercato mondiale di vaniglia, ma in nessun caso è riprodotto fedelmente il raffinato e inconfondibile aroma di questo frutto davvero unico. La legislazione europea considera la vanillina sintetica alla stessa stregua di quella ottenuta naturalmente, ma nel suo utilizzo in prodotti alimentari dovrà esserne specificata la provenienza con apposita dicitura: “aroma di vaniglia” se si usa la vanillina sintetica e “estratto di vaniglia naturale” quando è usata la vera vaniglia. Va da se capire che la vanillina sintetica costa molto meno di quella naturale, pertanto quella di sintesi è la più utilizzata dalle industrie alimentari e dalla maggior parte delle pasticcerie. La vaniglia in baccelli (estratto o oleoresina ottenuto tramite la loro macerazione in alcool) è molto usata come aromatizzante industriale di bevande (Coca Cola ad esempio), di prodotti lattiero-caseari come yogurt e formaggi dolci, di gelati o di biscotti.

Vanilla
Vanilla è un genere appartenente alla famiglia delle orchidacee che comprende oltre 100 specie.
I frutti utilizzabili per aromatizzazioni (capsule impollinate) si possono ottenere soltanto da alcune:
Vanilla planifolia Anrews
Vanilla pompona Schiede
Vanilla Tahitensis Moore (ibrido artificiale fra Vanilla planifolia x Vanilla pompona , ottenuto in un laboratorio di Manila nel settecento). Tra queste, la Vanilla planifolia è senza dubbio la più popolare e la più importante. La Vanilla è endemica in un vasto areale, che va dallo stato messicano di Oxaca verso sud attraverso Guatemala, Belize e Honduras. Predilige ambienti caldo umidi, ombreggiati, suolo organico e ben drenato, temperature comprese tra 21 e 32 gradi.
Vanilla planifolia Anrews
La Vanilla è una pianta strutturata con lunghi fusti erbacei lianosi che devono sostenersi ad altre piante. Questa orchidea, che sostanzialmente vive da epifita, cerca la sua prima dimora radicale al suolo e pertanto può essere definita “epifita con radici al suolo”. Il fusto è cilindrico, verde liscio, può raggiungere i 20 -30 metri di lunghezza. L’apparato radicale è poco sviluppato, costituito da radici avventizie simili alle radici aeree. In corrispondenza di ogni nodo si sviluppano una foglia ed una o due radici avventizie. Le foglie sono alterne, coriacee e carnose, di forma ovato-elittica, acute all’apice, sessili o brevemente spicciolate. Il fusto e le foglie contengono un succo trasparente e irritante che provoca sulla pelle delle scottature e pruriti persistenti. Dall’ascella delle foglie superiori si sviluppano le infiorescenze con racemi di 10-12 fiori con lungo peduncolo, eretti durante la fioritura e penduli alla fruttificazione.

Il periodo di fioritura dura da 6 a 8 settimane. La fioritura della Vanilla è caratterizzata da una fase intensa (circa 20 giorni) durante la quale si apre un fiore al giorno per ciascuna infiorescenza.
Il fiore è costituito da un perianzio (verticilli fiorali più esterni) di colore verde giallognolo caratterizzato da 6 elementi:
3 sepali esterni oblunghi lanceolati e simili tra loro.
3 petali interni diversificati fra loro, i due laterali sono uguali e di forma lanceolata, mentre quello inferiore (chiamato labello), di colore verde pallido e più sviluppato è ripiegato in forma di trombetta e termina con un margine ondulato dentellato. Il colore dei fiori è giallo verdastro con il labello giallo-arancio.

Gli organi sessuali del fiore
Gli organi sessuali sono fusi un una singola struttura detta ginostemio.
All’apice della colonna, spesso nascosta dal labello, c’è l’antera, la parte del fiore che produce il polline. Essa è separata dallo stigma (parte terminale dell’organo femminile) da una appendice detta rostello.
La probabile funzione del rostello è quella di impedire l’autofecondazione. Il polline è riunito in due masse polliniche viscose a forma di palla (pollinidi) che facilmente aderiscono agli insetti pronubi. L’ovario è situato più basso delle altre parti del fiore è ricurvo e contiene parecchie migliaia di ovuli, che, una volta fecondato si ingrossa e si trasforma in capsula o frutto pendente lungo da 12 a 25 centimetri (la comune stecca di vaniglia). Il frutto contiene piccoli semi, di forma subsferica, con un rivestimento crostoso, duro, di colore nero lucido.
I frutti di Vanilla pompona sono ricurvi a forma di banana, più corti e più grossi quelli di Vanilla planifolia. La fecondazione è abbastanza delicata e necessita dell’intervento di insetti pronubi molto specializzati; in natura, nelle zone endemiche, l’impollinazione è effettuata grazie a insetti del genere Melipona, che appartengono alla famiglia delle Apidae, privi di pungiglione, che perforano gli organi del fiore esterni trascinando il polline sullo stigma.

Propagazione dei semi in natura
In natura la propagazione e la disseminazione avviene a mezzo di pipistrelli o altri uccelli che si nutrono del frutto.
Nell’intestino i frutti ingeriti liberano i semi che una volta espulsi vengono disseminati nella foresta. Per la germinazione dei semi è indispensabile la presenza di un fungo simbionte in quanto il seme di Vanilla e di tutte le orchidee è privo di endosperma e quindi di sostanze nutritive necessarie per il processo germinativo. Il primo nutrimento viene fornito dal fungo, che presto penetra nelle parti vitali della pianta, rimanendovi per tutta la vita. Si tratta di una simbiosi micorriza, vantaggiosa sia per la pianta che per il fungo.
I botanici ritengono che la ridotta presenza di Vanilla planifolia in natura sia dovuta la fatto che il fungo simbionte è altamente specializzato e ristretto nel suo stesso areale.

La coltivazione idustriale
Le piantagioni di Vanilla per uso commerciale sono ubicate tra il decimo e il ventesimo grado di latitudine Nord e Sud e ad un’altezza inferiore a 700 metri. La temperatura media deve oscillare tra i 21 e i 32°C. Il terreno dove si sviluppano le prime radici deve essere drenato e ricco in materia organica. Le piante di Vanilla a causa del loro lungo fusto lianoso necessitano di un supporto per poter crescere e trovare l’ombra; spesso tale sostegno è dato da alberi capaci di tollerare anche il loro peso, come il caffè, l’avocado, l’anacardo o il mango.
Le piante di Vanilla fioriscono dopo 3 o 4 anni dalla loro piantumazione e si mantengono in buona produzione per una decina di anni. La fioritura della Vanilla è annuale da settembre a gennaio: dato che la vita del fiore è di un solo giorno, per poter ottenere il massimo rendimento colturale, occorre impollinare manualmente i fiori giornalmente (generalmente nelle prime ore del mattino quando i fiori sono appena sbocciati) per tutto il periodo.
La capsula fecondata raggiunge la dimensione definitiva nell’arco di sei settimane, ma la maturazione dura sette o otto mesi. L’insetto pronubo della Vanilla è presente solamente nelle zone di endemicità e quindi nelle coltivazioni situate in altri paesi si effettua l’impollinazione artificiale (in verità, per ottenere il massimo risultato produttivo questa operazione è generalizzata), che è prevalentemente effettuata da donne o bambini (è necessario avere mani piccole), i quali operano per mezzo di un bastoncino di bambù. Un bravo praticante può effettuare tra le 1000 e le 1500 impollinazioni al giorno.
Una pianta produce da 4 a 10 grappoli cioè tra 40 e 120 baccelli per anno. Servono circa cinque chili di vaniglia verde per ogni chilo di vaniglia preparata. Una buona piantagione produce tra 500 e 800 kg di vaniglia preparata per ettaro e questo per una durata media di 8-9 anni.

La lavorazione dei frutti
I baccelli impollinati vanno raccolti al momento giusto e per determinarlo occorre controllarne la grandezza ed il colore (giallo), ma soprattutto devono essere compatti: i frutti infatti sono raccolti quando non hanno ancora raggiunto la maturazione perché altrimenti tenderebbero a spaccarsi.
In precedenza si è scritto della metamorfosi aromatica, ma la trasformazione di frutti inodori in una spezia vellutata e gradevolmente profumata, necessita una preparazione minuziosa e metodica i cui principi sono stati sviluppati in Messico da lungo tempo. Il metodo più semplice, detto preparazione diretta, consiste nel lasciar maturare il baccello alternandone l’esposizione all’ombra e al sole. Questo metodo non da ottimi risultati e quindi si preferisce la preparazione indiretta che consiste nel provocare uno choc che “uccide” le cellule del baccello, seguito da una serie di operazioni di trasformazione, di essiccazione e di smistamento che durano all’incirca dieci mesi prima di giungere alla realizzazione di un bastoncino di vaniglia commercializzabile.

Descrizione del metodo definito “metodo Bourbon”
Questo metodo di lavorazione è stato adottato dalla maggioranza dei paesi produttori. Dopo la raccolta dei baccelli si procede con le seguenti operazioni:
Arresto della vita vegetativa delle cellule dei baccelli.
Immersione delle ceste di vimini, contenenti i baccelli di vaniglia verde, in acqua a 65°C per circa 3 minuti, in questo modo si arresta nettamente la vita vegetale del baccello, per permettere lo svolgersi delle reazioni enzimatiche.
Elevazione della temperatura.
I baccelli, dopo la sgocciolatura, sono disposti in grandi casse di legno imbottite di coperte di lana, dove la temperatura raggiunge i 50°C, per 12 ore. E’ a questo punto che le stecche di Vanilla prendono il caratteristico color cioccolato e gli enzimi presenti naturalmente, liberano il componente aromatico principale, la vanillina, dal suo legame con il glucosio. Inoltre, con questa operazione di effettua una sommaria essiccazione, propedeutica all’inibizione di fermentazioni nocive.
L’essiccazione.
E’ effettuata con alternanza di esposizioni sole/ombra. I baccelli vengono distesi su dei graticci orizzontali, lasciando un passaggio per la circolazione dell’aria, ed essiccano naturalmente al sole. L’essiccazione al sole dura una o due settimane, mentre quella all’ombra dura più di un mese. Durante la notte i baccelli vengono portati al coperto, al riparo dall’umidità. Più seccano e più il loro colore diventa bruno coprendosi di una brina brillante. I baccelli sono riposti in casse di legno tappezzate di carta olforizzata per otto mesi.
Durante questa fase, i bauli continuano a perdere acqua e pertanto sono controllati tutte le settimane allo scopo di eliminare eventuali marcescenze o muffe di qualche baccello. Raggiunta l’essiccazione ottimale, l’aroma è perfettamente sviluppato e le stecche di vaniglia possono iniziare il loro lungo viaggio fino a giungere nelle nostre case per deliziarci del loro irresistibile profumo e sapore.

Spero che questa lunga passeggiata nel mondo misterioso della vaniglia e fra le piante di Vanilla ci abbia aiutato a conoscere quella “liana” che più o meno segretamente desideriamo tutti possedere. Nota: questo post trae spunto dalla relazione del Prof. A. Sensidoni “Corso di “Introduzione alle Tecnologie Alimentari” e dalle notizie raccolte nella mostra itinerante sulla Vaniglia, curata dall’Orto Botanico di Padova.

Storia: Reunion divenne la prima isola di coltivazione della vaniglia, e il vicino Madagascar il centro principale al mondo dove questa pianta viene ancor oggi coltivata. Nel 1848 la Francia abolì la schiavitù ed Edmond Albius divenne un uomo libero, trovando impiego come servo in una cucina. Fu in seguito condannato per aver rubato dei gioielli e costretto a 10 anni di prigione, che furono poi graziati dopo 5 anni di pena per il suo impagabile contributo alla produzione di Vaniglia a Réunion. Nonostante la sua incredibile scoperta, morì in povertà a San Suzanne, nel 1880.

Rhipsalis capillifera: sta bene con le orchidee e riduce lo stress

Cactus rilassante e antistress.

Si tratta del genere Rhipsalis e la sua vista produce un effetto calmante sulla nostra psiche. Almeno questo sostengono diversi autori che citando dei non meglio precisati studi, effettuati dall’Università del Surrey in Inghilterra, dichiarano che è ormai dimostrato che questa pianta, appartenente alla famiglia delle Cactacee, annovera notevoli proprietà antistress.

Questa bellissima pianta infatti, oltre al suo effetto decorativo, pare che possegga specifiche proprietà, già la sola sua presenza nella “green Nursery” aiuta ad abbassare notevolmente il livello di stress: Gli articoli usciti a riguardo (Università del Surrey) non spiegano quale è il suo reale effetto, facciamo un atto di fede e crediamoci a prescindere… conviene. E’ un cactus decorativo originario delle foreste dell’America centrale, dove vive epifita sui tronchi, nello stesso habitat di molte orchidee, è di facile coltivazione, non ha bisogno di molte cure e la sua crescita è abbastanza veloce.

Al genere Rhipsalis appartengono 41 diverse specie, strutturate morfologicamente con sottili steli di varie forme e di diverse tonalità di verde. Giova ricordare che si tratta di piante grasse (meglio succulente) e che svolgono le funzioni di fotosintesi clorofilliana sui piccoli steli, più o meno ricoperti da spine. Una curiosità botanica è che un sua specie: la Rhipsalis baccifera è l’unico cactus originario del Sud Africa e del Madagascar.

Le Rhipsalis sono affascinanti anche per gli amatori delle orchidee, di solito sono i primi cactus coltivati dagli orchideofili che completano con la loro presenza in serra gli habitat dove fioriscono le orchidee epifite.

Note di coltivazione: posizioni molto luminose, ma mai il sole diretto, soprattutto nella stagione calda, durante la quale è opportuno ombreggiare ulteriormente. Temperature mai inferiori ai 10 gradi centigradi. Bagnare sempre abbondantemente da aprile a settembre e diminuire drasticamente in autunno inverno. Fertilizzare con concime idoneo alle cactacee avendo cura di utilizzare dosi ridotte rispetto alle indicazioni dei produttori. Possono essere coltivate su tronchetti legnosi ma anche in piccoli vasi con substrato molto ben drenato, contenente materiale a grana grossa, non particolarmente ricco di sostanze azotate. Aggiungere ghiaia o pietra pomice sul fondo del vaso per evitare ristagni idrici.

Ansellia africana

Ansellia africana, affascinante, maestosa, nota anche con il nome di “Orchidea Leopardo”

anselliaafricana

Genere monotipo
AUTORE: Lindley
PUBBLICAZIONE: Edwards’s Bot.Reg.30:sub 12(1844)
SOTTOFAMIGLIA: Epidendroidae
TRIBU’: Cymbidieae
SOTTOTRIBU’: Eulophiinae
SPECIE: Ansellia africana

Ansellia africana è l’unica specie del suo genere, ma compensa il piacere della sua coltivazione con una grande variazione della pigmentazione dei fiori e con le dimensioni delle piante.


Ansellia africana Lindl. 1844
Sinonimi: Ansellia africana var. australis Summerh.-Ansellia africana var. nilotica Baker 1875 – Ansellia confusa N.E.Brown 1886 – Ansellia congoensis Rodigas 1886 – Ansellia gigantea Rchb.f 1847 – Ansellia gigantea sottosp. nilotica (Baker) Senghas 1990 – Ansellia gigantea var. nilotica (Baker) Summerh. 1937 – Ansellia humilis Bulliard 1891 – Ansellia nilotica [Baker]N.E.Brown 1886 – Cymbidium sandersoni Harv. 1868

Ansellia africana è stata scoperta nel 1841 da John Ansell (x-1847), botanico inglese al seguito di una spedizione sul fiume Niger nel Sud Africa ed in suo onore ne porta il nome.
I primi esemplari furono trovati sull’isola Bioko (durante il periodo coloniale nota anche con il nome di Fernando Po), situata lungo la costa africana del golfo di Guinea.
L’unica specie del genere, denominata Ansellia africana è conosciuta anche con il nome comune di Orchidea leopardo, (Luiperdorgidee) in lingua afrikaner, e (Imfeyenkawu) in idioma zulù.

Dove vive
Questa specie è endemica in una larga fascia dell’Africa tropicale: Namibia, N. Botswana, Swaziland ed in Sudafrica nelle provincie del nord, principalmente nelle valli calde e asciutte dei fiumi e delle zone costiere a 700 metri sul livello del mare; occasionalmente può essere trovata anche ad altezze maggiori, oltre 2000 metri.
E’una pianta epifita di grandi dimensioni a sviluppo simpodiale, raramente terricola, che si ambienta bene in piena luce sulle alte ramificazioni degli alberi ed in zone geografiche con lunghi periodi di siccità.

Caratteristiche morfologiche
Ceppo di Ansellia africana in natura – foto web
In natura l’Ansellia africana cresce e si sviluppa con facilità, formando grandi ceppi spettacolari aggrappati ai rami alti degli alberi.
La caratteristica particolare di questa pianta è la struttura del suo apparato radicale costituito da bianche radici aghiformi rivolte verso l’alto, come nei Grammatophyllum, che formano dei cestini attorno agli pseudobulbi, dove vanno a cadere e a decomporsi foglie e detriti vari, dei quali la pianta si alimenta.
Gli pseudobulbi dell’Ansellia africana possono svilupparsi fino a raggiungere anche 60 centimetri di lunghezza, e considerata la facilità del loro incespimento non è difficile incontrare in natura, gruppi di piante di oltre una tonnellata.

Le infiorescenze
Gli pseudobulbi producono 6–7 foglie laterali, strette, linguate, lanceolate, acute e plicate, all’apice delle quali in tarda primavera inizio estate spuntano infiorescenze panicolate, lunghe anche 80 centimetri, portanti più di 100 fiori di 6 cm delicatamente profumati. Il labello è trilobato e strutturato in tre sezioni gialle, sepali e petali sono gialli verdastri, maculati, con macchie marroni a volte appena visibili in altri casi marcatamente più scure.
In realtà, gli steli fiorali, seppur formatisi nella parte apicale degli pseudobulbi, escono dalle ascelle delle foglie.
I fiori sono impollinati dai lepidotteri di hawk, che li visitano durante la notte, quando emanano la loro dolcissima fragranza.

Coltivazione
In coltivazione è molto importante rispettare il periodo secco (alla stessa stregua dei Dendrobium a foglia caduca), mentre nella fase vegetativa l’Ansellia africana richiede umidità costante, molta luce (quasi diretta solare) e temperature da serra calda.
Durante la fase asciutta, questa orchidea sopporta bene temperature basse, che occasionalmente e per brevi periodi possono anche scendere sotto zero.
Questa specie si sviluppa molto bene in vasi con substrarto di corteccia grossa, sistemati nella parte più luminosa e calda della serra. Può essere coltivata anche fuori serra, ma come si è scritto sopra, richiede grandi spazi e molte attenzioni nel periodo secco.
Il rinvaso va fatto normalmente ogni due anni: le piante sono piuttosto affamate di sostanza organica, qualche coltivatore simula l’ambiente naturale, dove le foglie cadono sopra le radici, creando uno strato di “pacciamatura” con foglie di betulla o di carpine e detriti vari.
L’umidità deve essere superiore al 50%, ideale il 70% in estate e 60% in inverno. Queste piante richiedono una buona ventilazione, soprattutto quando l’umidità è alta. Il clima delle regioni dove crescono è molto caldo e secco con temporali estivi; gli inverni sono più freschi e asciutti con consistenti rugiade notturne.
Alla fine della fioritura (generalmente in primavera) ridurre irrigazione al minimo. Per evitare un eccessivo ringrinzimento degli pseudobulbi è utile nebulizzare di tanto in tanto. Aumentando i livelli di luce si induce la fioritura, intorno a settembre / ottobre si aumenta l’irrigazione, evitando di bagnare i germogli freschi (se bagnati marciscono) e si alimenta regolarmente fino alla completa maturazione dei nuovi pseudobulbi, a questo punto si riducono di nuovo le bagnature.

Curiosità, miti e leggende
Si racconta che sui ceppi di Ansellia africana siano stati visti fare i loro nidi anche rapaci notturni, fra cui l’enorme Gufo reale (Bubo bubo), paragonabile per dimensione e rapacità all’Aquila reale.
I guaritori delle tribù Zulù in Sud Africa, usano gli pseudobulbi di questa orchidea per fare un tè che è usato come emetico – dal greco “emesi” provocare vomito, mentre nello Zambia usano le foglie per fare un tè da usarsi come rimedio alla follia.
Nelle tradizioni popolari africane, questa orchidea è usata per creare fascino in amore, per allontanare i brutti sogni, per scacciare i fulmini dalle fattorie ed inoltre gli esemplari di questa orchidea sono molto ricercati per addobbare i giardini.