Archivi categoria: Coltivazione

Consigli e scambi di esperienze sulla coltivazione delle orchidee esotiche.

Phalaenopsis “Millefoglie”

Ecco un esempio di buona e semplice coltivazione sulla finestra

Elisa, un’amica delle orchidee friulana, che vive in Carinzia (A), forse anche per colpa mia è caduta pure lei nella rete delle maliarde, ma a quanto si vede, con risultati eccellenti.
Messa così la cosa può sembrare la solita sviolinata di incoraggiamento, invece voglio proprio presentare la Phalaenopsis di Elisa perchè è un classico da manuale.
E’ un’ibrido commerciale, ma quest’aspetto ha poca importanza: quel che conta è la sua ottima salute.

Con Elisa dialoghiamo via e-mail ed anche sul blog (forse per soggezione, quando ha bisogno di consigli inerenti alle sue piante mi contatta via e-mail quasi a voler separare le nozioni generali da quelle specifiche).
Anche in questa occasione ha scritto una e-mail per esternare i suoi incredibili risultati di neofita. La cosa mi ha sorpreso non poco, e sì perchè generalmente giungono SOS per catasrofi, ma mai per esternare la propria sorpresa. Le ho chiesto di inviarmi qualche foto.

Ecco, la sua risposta…con foto

Ciao Guido!
Sei stato molto gentile a rispondere subito, anche se magari le Phal non rientrano nei tuoi interessi principali (questo mi sembra valga un po’ per tutti i più assidui frequentatori del blog, che sono decisamente esperti e si dedicano a specie più “difficili”. Beh, come hai scritto tu una volta, le generose Phal possono essere coltivate anche dal neofita più inesperto…è questo il mio caso e io lo faccio con grande passione! In realtà le maliarde mi hanno fatto cadere nella loro rete perchè ora ho ben 18 piante che tu, ogni volta e molto gentilmente, mi aiuti a catalogare. Grazie davvero!).

Nelle foto vedi l’orchidea con tutte le sue belle foglie e radici: le foto non sono il massimo (boh, con la macchina digitale, da vicino, non mi riescono mai!) ma rendono l’idea! Ti ho anche inserito una foto che risale ad aprile, quando la pianta era in fiore. Carina, vero? Certo, le tue Phal. fasciata sono qualcosa di eccezionale…ma si parte dal piccolo, no???
Fra un po’ ti spedirò la foto di un mio dendrobium che (incrociamo le dita!) pare stia facendo spuntare “qualcosa” che fa pensare a un fiore, così magari mi aiuti a capire di che dendrobium si tratta.

Ti chiedo un’altra cosa: gli steli vecchi (2) non li ho tagliati perchè non sono secchi. Lo dovrei fare? E il trucco della settimana di fresco e niente acqua si può provare senza forzare troppo la pianta o è comunque uno stress per lei?

Grazie mille per tutto e…se ci sono problemi e incomprensioni (io sono così ingenua che non avevo mai percepito, piu di tanto, attacchi al blog) anche da parte mia ti arriva una grande solidarietà, perchè la disponibilità che trovo in te (e non mi conosci neppure!!!) non me l’ha mai data nessuno!
Grazie ancora!

Si dirà, cosa c’è di tanto eclatante da scomodare il manuale?

Intanto lo sviluppo è perfetto (ricordiamoci che la coltivazione è casalinga), si nota un leggero periodo di fermo all’altezza dei 2 steli, forse procurato da rinvaso e/o periodo di fioritura, ma poi la pianta è partita decisamente, ha allungato il podio vegetativo ed ha formato varie nuove foglie: ora ha quasi completato la sua fase stagionale di crescita.
Detto questo, desidero evidenziare due particolarità: è rinvasata in un vaso di cotto ed ha prodotto sane e turgide radici esterne.
Il vaso di cotto ha sicuramente preservato radici e pianta da marciumi e batteriosi, certo, con il vaso di cotto bisogna prestare più attenzione alle disidratazioni, ma è proprio questo, il primo merito da ascrivere ad Elisa.
Secondo particolare degno di analisi: la pianta ha prodotto radici esterne al substrato e come vedete nella foto, sono rivolte verso l’alto (vi lascio con la curiosità del perchè di questo fenomeno – lo trattermo nei commenti del post).
Lasciare o tagliare gli steli vecchi? E’ sempre un dilemma, in teoria, con una pianta così in salute è bene lasciarli, ma tagliandoli alla base le si consentirebbe di dedicare tutte le sue energie al completamento dello sviluppo stagionale. Nuovi steli rigogliosi si formeranno subito dopo.
Il trucco dello stress freddo? Nelle coltivazioni industriali lo applicano alle Phalaenopsis, non appena hanno terminato lo sviluppo (ultima foglia bella grande e nessun’altra in formazione nel colletto centrale) e consiste in alcune settimane di “fresco costante” 15 gradi con pochissime bagnature. Dalla buona riuscita di questo ciclo dipenderà l’abbondanza di steli fiorali…e per i produttori sono soldini perchè il prezzo varia a secondo del numero di steli per pianta.
Nelle coltivazioni casalinghe è possibile copiarlo, direi che è sufficente una settimana di carestia…magari più avanti.
Elisa, per il taglio degli steli, aspettiamo ancora , ma se più avanti non vedrai gemme che spingono e si ingrossano, direi di toglierli.

Substrato per Paphiopedilum

Nota: le notizie e le descrizioni di ogni post del blog sono supportate da ricerche sulla letteratura esistente e sul web, ma si riferiscono esclusivamente a esperienze di coltivazione su orchidee presenti nella mia collezione.
Eventuali errori o incompletezze possono essere rimediati dalla vostra collaborazione.

Regole generali per preparare i composti dei Paphiopedilum
La pianta esposta nella foto sotto è il frutto dei consigli che ci accigeremo a leggere: mostrare i risultati della coltivazione è buona regola per tutti.

Paphopedilum callosum – collezione Guido De Vidi-diritti riservati

Sollecitato da una domanda dell’amica Roberta mi accingo ad illustrare le caratteristiche dei composti per rinvasare Phapiopedilum.
Prima di iniziare il post, consulto l’archivio del blog e questa volta do anche una letta al capitolo V° del libro “Paphiopedilum Grower’s Manual” di Lance A. Birk, fresco di arrivo.
Con mia piacevole sorpresa, noto che le considerazioni generali dei miei post coincidono con quelle del libro, riprendiamole e confrontiamole insieme, con le raccomandazioni di Birk.

Lance A.Brik introduce il capitolo dei rinvasi con questo sotto titolo ” The potting medium in which you choose to grow your orchids must be compatible the conditions which they are grown” e poi sintetizza le caratteristiche generali delle azioni e dei composti per effettuare i rinvasi.
Requirements for a Potting Mix:
Support – Areation – Moisture retention – Slow decomposition – Low cost – Light weight.

Ora diamo una letta alle indicazioni di un vecchio post del blog leggi tutto il post.

Composti per il rinvaso dei Paphiopedilum.
Nel variopinto mondo delle orchidee, non c’è nulla di più intricato della giusta soluzione per il loro substrato di coltura.

I prodotti per realizzare i vari composti sono legati alle diverse zone di coltivazione e quindi alla facilità di reperimento di materiali esistenti in loco.
Sentiremo parlare di, sfagno (muschio acquatico), di bark (corteccia di abete), fibra d’osmunda (esteso groviglio radicale di una felce chiamata osmunda regalis), torba, corteccia di cocco sminuzzata, pietra vulcanica, carbone vegetale, roccia calcarea, terra cotta sminuzzata, ecc.
Sono tutti prodotti dai nomi affascinanti, messi al servizio della fantasia dei coltivatori e spesso sembrano più miracolosi quelli più difficili da reperire.
La nostra fantasia nella realizzazione dei composti per orchidee è messa a dura prova proprio con i Paphiopedilum che essendo orchidee semi terricole, sono relativamente più esigenti delle sorelle epifite (devono trovare essenzialmente nel substrato di coltura, i loro elementi nutritivi).
Senza elencare tutte le combinazioni possibili, mi limito ad illustrare la mia soluzione, raccomandando di interpretare i consigli ed adattarli alle vostre esperienze di coltivazione. Dopo anni di preparazione dei composti per i miei Phapiopedilum, ancor oggi, quando mi accingo ad iniziare la fatidica miscelazione, c’è sempre qualche dubbio che m’induce ad apportare qualche piccola modifica.
La scelta di base parte da questa considerazione: utilizzo di materiali facilmente reperibili, che consentano di realizzare composto soffice, drenante e che contenga i minerali necessari al nutrimento dei Paphiopedilum.

Prodotti e loro miscelazione
1) 35% corteccia d’abete di media e piccola pezzatura, messa preventivamente a bagno in acqua per almeno tre giorni.
2) 35% torba di sfagno molto filamentosa.
3) 20% agriperlite, eolite, pomice equamente miscelate (può anche essere usato solamente uno dei tre componenti, sempre 20% in percentuale totale).
4) 10% materiale calcareo grossolano, roccia o sassi preventivamente triturati ( sabbia o ghiaino).

Il tutto va depositato in un contenitore capiente per poterlo mescolare energicamente e ripetutamente: a questo punto il composto è pronto per l’uso.
Ultima annotazione: è possibile variare le percentuali secondo la dimensione dei vasi e delle piante (ad esempio per vasi grandi è consigliabile aumentare percentuale e dimensione del bark).

Lance A. Birk nel prosieguo del suo libro (se siete appassionati dei Paphiopedilum vi consiglio caldamente di cercarlo) fa una disamina dei vari prodotti (osmunda, bark, sfagno, torba di sfagno, cocco, roccia, perlite e, cosa molto interessante, sabbia silicea, così come uso io nei miei composti, ecc.), ma in ultima analisi pone l’accento su due aspetti: che la soluzione da adottare varia secondo le zone in cui si coltivano le piante e soprattutto che sia di basso costo e facilmente reperibile.
Niente prodotti miracolosi dell’ultima ora, ma solamente un giusto equilibrio della miscela scelta, in rapporto anche alla dimensione del vaso.
Quest’ultima osservazione, sembra ovvia, ma molto spesso si esagera nella loro dimensione, che non deve concedere più i 2-3 centimetri di spazio attorno alla pianta, la quale, appena rinvasata va tenuta ferma con appositi tutori affinché possa riprendere facilmente il suo sviluppo radicale.
Ricordiamoci infine, che il rinvaso ideale non esiste, mentre i buoni risultati dipendono al 90% dai nostri errori ed esperienze…ed il rimanente 10% dai consigli.

Coltivare le orchidee su zattere e tronchetti

Lo gradiscono le nostre orchidee e noi coltivatori ci appassioniamo ancor di più.

Gran parte delle tantissime specie d’orchidee conosciute sono epifite e/o litofite e quindi il loro ambiente di vita in sito è caratterizzato da anfratti formatisi su alberi e pendii rocciosi.
E’ l’evoluzione della specie, che ha portato tante piante a cercare condizioni ideali di vita oltre la fascia fertile del suolo terrestre, a volte per cercare più luce ed in altri casi per esporsi meglio alle visite degli insetti impollinatori.
Giunte nelle nostre coltivazioni, le orchidee subiscono notevoli adattamenti ambientali, che cambiano, a volte anche radicalmente, le loro necessità biologiche.
Fortunatamente per loro e per noi, le orchidee sono piante molto duttili e resistenti…forse anche questo particolare va annoverato fra i tanti motivi della loro attrazione fatale.

Coltivare le orchidee epifite nei vasi è un compromesso di comodità
Capita pertanto, che per comodità di coltivazione, specie da sempre vissute sugli alberi delle foreste tropicali si trovino a dover vivere in piccoli vasetti, oppure in grandi contenitori. In ogni caso, il substrato nel quale dimorano le orchidee epifite, anche se collocate in vasi, deve essere molto drenante per consentire alle loro radici di potersi sviluppare comodamente senza essere soffocate da terreni di coltura troppo impregnanti.
Le soluzioni e le miscele dei composti sono tante quanti sono i coltivatori e soprattutto sono strettamente legate alle disponibilità locali. Può essere quindi, che in certe zone geografiche è più in uso la fibra di cocco sminuzzata piuttosto che lo xaxim ed invece in altre località sia più comodo usare corteccia d’abete, carbone, torba e sfagno: ad ogni buon conto tutte le soluzioni devono rispondere alle richieste vitali della pianta in questione ed è per questo, che ogni coltivatore s’inventa alchimista, non sempre con ottimi risultati.

Perchè non far tornare le orchidee sugli alberi, anche in serra?

Nella foto sotto: Cattleya eros ‘coerulea’ (C. mossiae x walkeriana), ibrido creato da Veitch e figli , premiato con AM/RHS nel 1895 – divisione regalo dell’amico Gianni Morello, sistemata su tronchetto di Robina nel 2003 e fiorita per la prima volta in questi giorni.
Questo è il sogno di moltissimi coltivatori d’orchidee ed i risultati sono per certi aspetti molto soddisfacenti:
– La pianta cresce in libertà e si organizza come nei suoi luoghi endemici.
– Non servono i rinvasi periodici.
– Si possono ottenere grandi esemplari.
– La pianta crescendo su se stessa si autocostruisce il substrato colturale, che la rende meno vulnerabile a situazioni critiche.
Continua a leggere

SOS Terrario

Mario chiede collaborazione agli esperti in terrari, ecco la sua richiesta:

…”DOPO AVER RICEVUTO RISPOSTA DA GUIDO CHIARISCO CHE, AVENDO DISMESSO UN ACQUARIO 100x40x60 VORREI TRASFORMARLO IN TERRARIO PER ORCHIDEE DI PICCOLA TAGLIA (CHE NON SO QUALI SIANO) DATO LO SPAZIO LIMITATO.
PRECISO DI AVER GIA’ COSTRUITO E MESSO IN FUNZIONE CON SUCCESSO UNA SERRETTA CALDA PER ORCHIDEE DALLA QUALE STO’ OTTENENDO BUONI RISULTATI.
QUESTA L’HO COSTRUITA SEGUENDO I CONSIGLI DI PATRIZIO DE PRIORI RIPORTATI SUL WEB.
SICCOME HO BUONA MANUALITA’ ( MA HO ANCHE 66 ANNI!!!!) VORREI DEI CONSIGLI A PARTIRE DA ZERO QUINDI SE QUALCUNO MI PUO’ AIUTARE PUO’ MANDARMI UNA E-MAIL
CREDO CHE I CONTATTI SARANNO DIRETTI IN QUANTO CHISSA’ QUANTE VOLTE AVETE RICEVUTO TALI RICHIESTE E QUINDI PER NON TEDIARE CHI E’ GIA’ ESPERTO……
HO LANCIATO IL SASSO NELLO STAGNO, SPERO CHE QUALCUNO MI AIUTI.
GRAZIE INFINITE.
MARIO ROSSETTI”

…quindi riprendiamo con i terrari… chi desidera comunicare direttamente con Mario, questo è il suo indirizzo di posta elettronica: mariorosse chiocciola libero.it

Paphiopedilum rothschildianum

La fioritura del mio Paphiopedilum rothschildianum ‘Rex’ FCC RHS x ‘Flay Eagle’ AM AOS
(Rchb.f.) Stein, Orchideenbuch 482 (1892).

Paphipedilum rotschildianum

In questi gioni è fiorito il mio P. rotschildianum, non me l’aspettavo sinceramente, l’acquisto effetuato all’EOC (120 €) metteva in conto qualche anno di attesa, invece ne esce un’ottima fioritura, che ne dite? Domani sarà in esposizione alla mostra di Schio, saluti Alberto