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Categoria madre del blog: giorno per giorno con le orchidee, diario di un appassionato.

CHIEDO AIUTO AL WEB

VANDA

Chiedo qualche parere agli amici orchidofili che vedono questa foto.

La pianta proviene dalla Birmania, gli indizi lasciano credere che non sia un ibrido ed a prima vista sembra una V. coerulea.
I miei dubbi nascono dalle dimensioni del fiore ( 5-6 cm), decisamente ridotte rispetto alla coerulea canonica che arriva anche a 10 cm.
Inoltre le foglie sono più lunghe rispetto a quelle abbastanza corte (10 cm.) della coerulea.
Avete qualche idea? E’ in fiore in questi giorni. Grazie per la collaborazione. Guido

Orchidee… l’importanza dei nomi.

“Impariamo a scrivere e pronunciare correttamente i loro nomi
All’inizio del viaggio nel meraviglioso mondo delle orchidee, si rimane subito stupiti e frastornati dai loro nomi.
Si pronunciano con timidezza per paura di dire strafalcioni, e si rimane affascinati da tutti quei nomi strani che si sentono pronunciare dai vari collezionisti, con baldanzosa padronanza: Paphiopedilum, Epidendrum, Dendrobium…..
Passati i primi momenti di smarrimento, ci si pone la logica domanda: cosa significano e perché ogni pianta ha un suo nome e cognome?
La fatale attrazione delle orchidee coinvolge ampi strati sociali: il medico ed il contadino, l’avvocato e la casalinga, la giovane impiegata e lo studente, tutti alle prese con i problemi della tassonomia.
Con un buon bagaglio scolastico/culturale, umanistico e classico, ci si orienta con una certa facilità tra i nomi, in quanto, tutto l’impianto tassonomico attinge abbondantemente dal greco e dal latino. Le cose si complicano abbastanza, quando si è un pò meno acculturati. Ad ogni buon conto, le orchidee non rifiutano nessuno, e a volte può capitare, che gradiscano maggiormente la mano ruvida del contadino illeterato.
Nuove difficoltà sopraggiungono con i nomi degli ibridi che non seguono più la via maestra delle lingue classiche, ma altre strade, ad esempio la sommatoria dei nomi dei loro genitori oppure nomi di fantasia.
Con le osservazioni che seguiranno, faremo una panoramica sui nomi delle orchidee, sul loro significato e sull’importanza che assume la registrazione di tutte le informazioni utili alla loro identificazione.

I nomi per le specie
Nella definizione tassonomica delle orchidee si usa il sistema chiamato “binomio”. In altre parole ogni orchidea, seguendo le indicazioni utilizzate da “Linnaeus” è identificata con un cognome ed un nome, come per il genere umano.

Epidendrum cochleatum
Collezione Guido de Vidi

La sequenza del binomio evidenzia in primo luogo il genere nel quale è raggruppata la nostra orchidea, ad esempio (Epidendrum), che deve essere scritto in corsivo minuscolo con la prima lettera maiuscola, mentre il nome specifico a cui appartiene la pianta, va scritto in corsivo minuscolo, ad esempio (cochleatum), a seguire il nome di genere.

Il cognome ed il nome che i tassonomi attribuiscono ad ogni orchidea, servono a dare le indicazioni utili per capire le peculiarità della pianta in esame: Epidendrum ad esempio, deriva dalla composizione di due parole greche “Epi = sopra” e “ Dendro = albero” e va da se capire che gli Epidendrum vivono sugli alberi. Il nome specifico della specie tende a rappresentare le sue caratteristiche morfologiche, i profumi od il periodo della fioritura: cochleatum dalla forma del suo labello – dal greco “cochlear” = cucchiaio – oppure “cochlea” = chiocciola.
Usando questo sistema si può identificare con assoluta sicurezza sia il genere, che la specie dell’orchidea in esame.
Detto questo, sembra tutto risolto per le oltre 20000 specie e per gli altrettanti ibridi esistenti, ma purtroppo non è così. Per ogni specie esistono diverse varietà e/o forme; inoltre nei casi in cui la specie è riprodotta da seme oppure da meristema, anche se non indispensabile, è indicato il nome del cultivar e/o del clone.
Esempio: Cattleya intermedia var. cerulea.’RIO DO SOL’
Cattleya = genere
intermedia = specie
coerulea = varietà
‘RIO DO SOL’ = cultivar o clone, scritto in stampatello e virgolettato semplice.
Nella prassi si tende ad abbreviare i nomi ad esempio: C. (o Catt.) = Cattleya – B. = Brassavola – O. = Oncidium – D. = Dendrobium.

Assegnare un nome agli ibridi
Blc Toshie Aoki ‘PIZZAZ’ AM/AOS – HOS
Collezione Guido De Vidi
Per ibridi s’intendono tutte le orchidee nate da impollinazioni artificiali e naturali, ottenute da incroci fra specie diverse, sia dello stesso genere e sia fra generi diversi (nell’ultimo caso si ottengono incroci intergenerici).
Si può ben capire che con gli ibridi, il problema dei nomi, diventa un pochino più complesso. Per esempio, se si incrocia il genere Cattleya con il genere Laelia, si ottiene un ibrido infragenerico che chiameremo Laeliocattleya, incrociandolo ulteriormente con altro genere, ad esempio Brassavola, il nuovo ibrido sarà Brassolaeliocattleya.
Già con tre specie dello stesso genere si pone il problema di ridurre a dimensioni accettabili il nuovo nome ed ecco che si usano le abbreviazioni: Laeliocattleya = “Lc” e Brassolaeliocattleya “ Blc”.
Questo sistema funziona benissimo per ibridazioni semplici, quando più di tre generi appartengono alla genealogia della pianta e creano ibridazioni complesse, diventa difficile praticare l’abbreviazione e solitamente si usa il nome della persona che registra il nuovo ibrido con l’aggiunta del suffisso latino finale “ara”. Altro distinguo usato per differenziare il nome di un ibrido, da quello di una specie, è l’uso di una “X” disposta prima del nome per esempio: Beallara (o X Beallara ) ibrido di Brassia x Cochlioda x Miltonia x Odontoglossum generato da Beall – abbreviato Bllra.
Le recenti ibridazioni annoverano anche più di sei generi. Il coltivatore che desidera divulgare una nuova orchidea da lui ibridata, la registra presso la RHS (società orticola reale inglese).
L’ultimo importante elemento, che completa i dati di riconoscimento di un’orchidea è la stringa di lettere finali che rappresenta e certifica i premi ottenuti da quella pianta alle esposizioni cui ha partecipato.
Ad esempio: Blc. Toshie Aoki ‘ PIZZAZ’ AM/AOS – HOS
Naturalmente i premi sono simbolici e di solito di scarso valore economico, però assumono un significativo prestigio per la pianta che si può fregiare di tale riconoscimento.
Più importante è l’esposizione: (mondiale – continentale – nazionale ecc.), più ambito è il premio ricevuto.
A conclusione di questa carrellata sui nomi delle orchidee, desidero sottolineare l’importanza della presenza di un cartellino su ogni pianta , quale garanzia della sua identificazione storica ed anagrafica.
L’orchidea con l’etichetta completa di tutti i dati, esprime e garantisce tutto il suo valore, l’anonimato invece, la rende priva di identità e di personalità.

L’ANALISI

LE ORCHIDEE IN AUTUNNO

Le orchidee che noi coltiviamo in serra, sui davanzali, nelle e logge ed in mille altri modi, provengono da paesi dove le condizioni stagionali sono notevolmente diverse dalle nostre.
Molte specie vivono bene con temperature minime di 18 – 20 gradi centigradi, altre si accontentano di 14-15 ed altre ancora prediligono il freddo, 5 – 10 gradi.

Il dato della minima temperatura accettabile, è molto importante per la coltivazione in quanto raggruppa empiricamente, tutte le orchidee in tre grandi casistiche: da serra calda 18 – 20 gradi minimi, intermedia 14 – 15 e fredda 5-10.

La parola “SERRA” è da considerarsi un concetto esemplificativo per rappresentare spazi ambientali attrezzati e circoscritti, entro i quali si creano le diverse condizioni ambientali.

Possono quindi essere vere e proprie serre, oppure piccoli orchidari e non da ultime tutte quelle soluzioni ingegnose, attivate dall’inventiva dei piccoli collezionisti da davanzale, armadio o scantinato.

Naturalmente la temperatura minima nelle nostre coltivazioni è un problema che si presenta durante la stagione fredda (autunno inverno) e coinvolge tutti i sistemi di coltivazione: anche l’ormai mitica “signora Maria” deve risolverlo, tanto quanto il possessore delle più ricercate tecnologie.

Il secondo problema che affligge le orchidee in coltivazione nei siti con sensibili differenze delle ore di luce stagionali, è la repentina diminuzione della luminosità durante la stagione fredda.

All’inizio del mio articolo, evidenzio per l’appunto che le orchidee provengono da luoghi nei quali le stagioni sono diverse dalle nostre e si differenziano soprattutto per le ore di luce che sono abbastanza simili col cambiare delle stagioni.

La necessità di arricchire la fonte luminosa disponibile è determinata non necessariamente dalle poche ore ma soprattutto dalla scarsa luce sfruttabile all’inizio ed alla fine del ciclo giornaliero diurno ed è appunto in queste ore che è opportuno intervenire.

Questa peculiarità, determina la necessità di dover sopperire artificialmente con fonti luminose accessorie, durante la stagione buia.

Questo caso non è importante nelle serre, in quanto l’equilibrio complessivo “temperatura – umidità –luminosità” si regge sempre.

Nella coltivazione professionale, si gioca con il controllo delle ore di luce, nei casi in cui si coltivino orchidee fotosensibili e si voglia forzare il loro periodo di fioritura, mentre nelle coltivazioni amatoriali, durante la stagione fredda si prende atto che il ciclo biologico rallenta e si aspetta la nuova stagione.

L’effetto della carenza di luminosità si amplifica e crea veramente situazioni di disagio alle orchidee, nelle coltivazioni che io chiamo (non me ne vogliano gli amici) precarie.

Le coltivazioni sulle finestre nei soggiorni nelle logge ed in tutti quei posti che la nostra fantasia scova in casa, quando arriva l’autunno cominciano a dare segni di crisi e tutto quello che si è cercato di fare in estate, vanifica se non si aiutano le nostre orchidee.

Di primo acchito si pensa subito alla luce ed è per certi aspetti giusto, ma non basta.
Sulle soluzioni tecniche da adottare mi soffermo velocemente ed in termini generali in quanto le strategie particolari, sono legate alle specifiche varianti dei singoli casi.

Si è visto che anche le più piccole collezioni annoverano specie con esigenze diverse di luminosità, quindi la soluzione mediana che tenga conto di un supplemento di luce sufficiente a garantire complessivamente 10000 – 12000 lux (unità di misura della luminosità) può diventare un valido contributo.

Per individuare la potenza della fonte luminosa artificiale da attivare, si moltiplicano i lux per i metri quadri da illuminare e si trovano i lumen necessari, con questi dati si decide di installare fonti luminose tendenti a simulare la luce del sole: lampade ad incandescenza (consumano troppo e rendono poco), tubi al neon specifici (economici di buona resa ma antiestetici), faretti alogeni ( buoni ma costano).

Secondo la mia opinione, non è necessario che le ore di luce supplementare, eccedano di tanto, rispetto a quelle stagionali naturali. Ci sono altre opinioni rispettabili che invece sostengono la tesi della forzatura.

Alle nostre orchidee, oltre alla luminosità bisogna anche garantire la temperatura minima e lo sbalzo termico tra il giorno e la notte: minimo di 2 gradi centigradi.

Nelle serre, con una minima insolazione estemporanea, le temperature diurne aumentano da sole; negli altri casi è opportuno provvedere con sistemi di riscaldamento e/o di accumulo dell’eventuale insolazione proveniente dalla finestra ecc.

Terzo aspetto, sempre difficile da rispettare nelle coltivazioni casalinghe, è per l’appunto l’umidità.
Stabilita l’utilità dell’umidificatore ad ultrasuoni, abbastanza economico e di facile reperimento, bisogna anche dire che molti coltivatori hanno escogitato tanti altri sistemi artigianali, che pregherei di illustrare se credono, nei commenti.

AUTUNNO IN SERRA
Per i possessori di serra, l’autunno è fonte di molte preoccupazioni, visti anche i recenti andamenti delle fonti energetiche tradizionali, la più assillante è ovviamente il riscaldamento.

Riscaldare costa e quindi diventa importante trovare soluzioni che portano a risparmiare.
La prima e buona regola del risparmio sul riscaldamento è la più ovvia e la meno osservata, perlomeno nelle fasi progettuali della serra: una puntigliosa coibentazione, che si ottiene usando materiali quali vetro camera, policarbonato oppure doppio nylon con gonfiatura interna.

Molti coltivatori, durante l’inverno, usano proteggere internamente la serra, con nylon dotato di piccole camere d’aria a forma ovale.
Altro accorgimento che porta al risparmio, è quello di abbondare nella potenza dei vari sistemi di riscaldamento in uso, la scelta della fonte energetica è ovviamente legata a fattori contingenti: personalmente ritengo che riscaldare con stufe ad aria calda dotate di bruciatore a gasolio, sia la soluzione più economica in termini di costo x potenza termica resa.

Il riscaldamento ad aria calda, è una garanzia contro le possibili marcescenze invernali che con sistemi di riscaldamento per irradiazione sono sempre in agguato, però ha il difetto dell’eccessiva essiccazione dell’aria.

Spazio aperto

QUESITI DEI VISITATORI

gentile signor De Vidi
le scrivo per chiederle alcune informazioni culturali sulle seguenti piante:
Angraecum magdalenae
Renanthera coccinea
la prima mi sta dando alcuni problemi, perde delle foglie e decisamente nn sta benissimo… sto seriamente di trasferirla da vaso a zattera…la seconda cresce ma nn fiorisce….
attendo i vostri consigli…
cordiali saluti
Matteo

Caro Matteo, intanto complimenti per queste due specie che io considero interessanti.

Angraecum magdalenae:
Fra le varie specie d’Angraecum, il magdalenae è abbastanza esigente: gli errori si pagano cari perché è una pianta compatta e quindi riluttante alla stagnazione d’acqua tra le ascelle delle foglie e nel composto, inoltre è molto lenta nella sua crescita.
L’Angraecum magdalenae è una specie monopodiale (cresce in un unico podio) litofita e vive sugli altopiani del Madagascar, fra le rocce di quarzo a 700-2000 metri d’altitudine.
Nei luoghi d’origine l’Angraecum magdalenae vive in siti molto ventilati e luminosi, con periodi invernali freddi ed asciutti.
Queste caratteristiche vegetative sono molto importanti per capire l’ambientazione in coltivazione.
La mia esperienza di coltivazione mi porta a rilevare due aspetti importanti: il composto del vaso che deve mantenere sempre umide le radici ma non fradice ( bark di media pezzatura con un po’ di torba di sphagno e pezzetti di ghiaia macinata) ed un ambiente ventilato.
La pianta giovane può essere tenuta anche a media luminosità, quando è adulta e deve fiorire, trae giovamento da molta luce.
Altro accorgimento utile è quello di procurare un periodo invernale fresco ed asciutto: tenere il composto appena umido ed evitare bagnature e/o nebulizzazioni alle foglie fino a Gennaio.
L’Angraecum magdalenae su zattera mi lascia un po’ perplesso, avendone più di una pianta si potrebbe anche provare, in ogni caso ritengo che non sia un’operazione da fare alla vigilia della stagione fredda: verifica piuttosto come sono messe le radici.

Renanthera coccinea.
Questa orchidea della Papuasia è interessantissima, ma in via d’estinzione causa la raccolta smodata dei mercanti locali.
La Renanthera coccinea vive in pieno sole a basse quote fino ai 500 metri e fra le varie specie del suo genere, si distingue per sua grande crescita (anche 3 m).
Per vederla fiorire deve essere molto incespica, fertilizzata abbondantemente e posta in piena luce. Può essere coltivata in cestelli come le Vanda, oppure in vasi forati anche ai lati, in composto di bark grossolano.

X Matteo: Laelia lucasiana in crisi.

Ciao Matteo,
mi hai messo il dito sulla piaga!! Anch’io con le rupicole ho qualche conto in sospeso. La L. lucasiana che poi dicono sia la L. longipes, manca nella mia collezione, in compenso, coltivo da tempo e con alterna fortuna, la Laelia rupicola per antonomasia: L. rupestris.

La L. rupestris la coltivo attaccata ad un pezzo di roccia Carsica, posizionata in un suo anfratto naturale, apoggiata con poca osmunda e sfagno. Per qualche anno è cresciuta alla grande e poi come sempre accade, l’eccessiva sicurezza mi ha portato a trascurarla e lei piano piano se n’è andata in crisi: giù le foglie, radici secche e pseudobulbi in fase di ringrinzimento. Troppa acqua nei periodi di stasi!!! Per farla breve, mi son trovato nelle tue condizioni.
Nel tentativo di salvarla,qualche mese fa, ho ripulito la roccia ed ho riposizionato gli pseudobulbi senza radici, sempre con poca osmunda e sfagno. Dalla base di un pseudobulbo è già spuntato un nuovo germoglio da un mese e proprio oggi, stimolato dai tuoi problemi ho notato che stanno rispuntando le prime radici, speriamo bene. Comunque, le rupicole sono molto lente e quindi non demordere, certo le radici devono spuntare. Vista la stagione io proverei a tenerla qualche settimana in un sacchetto di nylon con dentro un pò di muschio vivo e la terrei abbastanza alla luce ed in una zona calda.

A proposito tu hai la serra? Senza radici non serve neanche alimentarla. Non saprei dirti altro, ciao e tienimi informato.

SPAZIO APERTO

I VISITATORI DEL SITO SCRIVONO:

Un visitatore di Trieste chiede di vedere scorci della mia serra, ecco qualche foto:

Effetto nebbia

Dalla Croazia:

Distinto signor De Vidi,
Mi Chiamo Gianfranco Labignan e Vi scrivo da Visignano d’Istria. Nella fiera di Pordenone di quest’anno un mio amico di Zagabria che è un appassionato di orchidee ha visitato il vostro stand e ha acquistato alcune piante. Igor come si chiama il signore in questione voleva porvi delle domande. Lui possiede diverse piante di Phalaenopsis che crescono e fioriscono normalmente.
Inoltre ha delle piante di Cattleya, Epicattleya, Ascocenda, Paphiopedilum e Vanda che vegetano bene ma non fioriscono. Potrebbe forse darci un aiuto e spiegarci perchè? Lo so che senza conoscere i dati specifici è difficile precisare la causa, però tenendo conto che le Phalaenopsis fioriscono bene e le altre vegetano bene, quale potrebbe essere la causa della mancata
fioritura delle ultime?

Caro Gianfranco, lei non può immaginare quanto mi si apra il cuore pensando alla sua Istria che amo moltissimo ed alla sua città, Visignano, ameno entroterra della costa Parentina.
Ricordo perfettamente il ragazzo Croato alla fiera di Pordenone, che su indicazione telefonica di un suo amico di Zagabria cercava specie particolari di orchidee.
Penso che lei abbia la funzione di interprete per i suoi amici Zagrabesi e quindi cercherò di rendere il più possibile semplici le mie indicazioni sulla corretta coltivazione.
Prima di tutto, sarebbe utile sapere dove vengono coltivate le orchidee, in serra, in abitazione ecc.
Allora, visto che le Phalaenopsis fioriscono regolarmente, posso pensare che l’ambiente sia buono, ma con poca luminosità per le Cattleya e le Vandacee che invece amano più luce, umidità e temperature più alte ( 30°).
Il Paphiopedilum, dovrebbe fiorire con facilità, probabilmente ci saranno problemi con le radici, forse il composto del vaso sarà deteriorato e quindi i germogli della pianta non riescono a maturare.
Soprattutto le Vanda e le Cattleya, vanno fertilizzate abbondantemente: concime N.P.K. 20-20-20, 0,5 grammi per litro d’acqua ogni 15 gg. primavera, estate, autunno ed un po’ meno nella stagione invernale.
Bisogna garantire buona umidità ambientale con un umidificatore, oppure spruzzando spesso le radici aeree e le foglie delle piante.
Conosco Zagabria e so che l’inverno è particolarmente freddo, quindi durante i prossimi mesi bisogna fare molta attenzione alle temperature ed alle bagnature.
Sempre a disposizione per ulteriori aiuti. Guido.