Paphiopedilum haynaldianum ‘Toni e Francesca’
Il collezionista di orchidee, spesso riceve qualche pianta, magari da amici al ritorno da viaggi in paesi esotici, oppure da orchidofili stanchi e delusi.

E’ capitato anche a me e l’orchidea che da anni fiorisce a tarda primavera nella mia collezione (vedi foto) vi racconterà una bella storia di amicizia fraterna… ricordo benissimo il suo arrivo…eravamo nel 2002 quando Toni e Francesca, carissimi amici di famiglia…
… quella volta suonò il telefono di casa, dall’altra parte del “filo” (epiteto ormai desueto) c’era Antonio Dottori, amico di famiglia, oggi purtroppo non più tra noi, ma a distanza di annii ancora mi commuovo rinverdendo frammenti andati, della nostra amicizia fraterna.
” Ciao Guido – esordì Antonio, quella volta – io e Francesca siamo appena tornati dalla Birmania e abbiamo portato con noi un piccolo pensiero per te“.
Toni e Francesca all’inizio del 2000 programmarono di visitare la Birmania (ora Myanmar).
Durante quel viaggio, visitando un piccolo villaggio sulla strada per Rangon videro un improbabile mercatino di fiori e altre povere cose. Toni e Francesca, ricordandosi della mia passione per le orchidee, si avvicinarono ad una bancherella per chiedere se ci fossero delle piante di orchidea da acquistare.
Le loro conoscenze orchidofile erano nulle, pertanto si fidarono della Signora Aung (nome dell’esile donna che gestiva la bancherella) e ne acquistarono qualcuna.
La donna chiese 10 dollari USA e rimase molto sorpresa nel vedere i miei amici pagare senza mercanteggiare il prezzo chiesto per quelle poche orchidee acquistate sulla strada che porta a Rangon.
Si sentì tremendamente in colpa la Signora Aung – come mai questi signori non ribattono il prezzo – pensò la donna, vedendo i miei amici allontanarsi dopo aver ringraziato e pagato i 10 dollari richiesti senza discutere – lo fanno tutti i turisti europei – mormorò dentro di sé e per attirare la loro attenzione gridò in inglese – a moment please – e con un inequivocabile cenno del braccio richiamò indietro i miei amici per donargli altre orchidee di varia dimensione e specie, fra queste anche qualche pianta di Paphiopedilum senza nome, successivamente classificato come Paphiopedilum haynaldianum.

Eravamo nell’estate del 2002 e fu così che l’orchidea delle foto giunse nella mia serra dalla Birmania e a distanza di oltre venti anni ancora vive, forse a testimonianza di quei struggenti ricordi.

A ricordo ed in onore della loro fraterna amicizia, ho batezzato questa specie con il seguente nome di cultivar: Paphiopedilum haynaldianum ‘Toni e Francesca’
Dracula velutina
Dracula velutina, una specie delicata e abbastanza rara nelle collezioni.

Dracula velutina (Rchb. f.) Luer 1978
Dracula velutina, sinonimi: Dracula velutata, Dracula lactea, Dracula microglochin, Dracula trinema, Masdevallia lactea, Masdevallia microglochin, Masdevallia trinema, Masdevallia velutina, è una specie del genere Dracula. Questa specie è stata descritta da Carlyle A. Luer nel 1978.

Dracula velutina (Rchb. f.) Luer 1978
Dracula velutina è endemica della Colombia. Vive nel West Kordyler nel dipartimento di Amtioquia. Cresce vicino a Frontino a un’altitudine di 1220 m. Può essere trovata anche nelle vicinanze di Urrao, ma anche in molte altre località. Specie epifita di piccole o medie dimensioni, da clima freddo, che raggiunge i 12-30 cm di altezza, fiorisce in inverno, primavera e autunno su lunghe infiorescenze a fiore singolo. I fiori hanno un diametro di 3-6 cm e hanno petali bianchi. Sono densamente ricoperti di peli all’interno e hanno code viola lunghe e strette. Le spirali interne sono bianche con macchie viola o marroni. Il labello è bianco, sfumato di rosa.

Dracula velutina può essere sistemata in cestello di rete metallica e irrigata almeno una volta al giorno in estate. Durante il tempo caldo e secco, potrebbe essere necessario innaffiare più volte durante il giorno. I cestelli vanno appesi nella zona fersca ed umida della serra. Il substrato può essere di corteccia di piccole dimensioni o fibre di felce arborea tritate. Le piante devono essere rinvasate quando il substrato inizia a decomporsi o quando la pianta cresce fuori dal contenitore. Il rinvaso va fatto nel periodo in cui le nuove radici iniziano a crescere, così da garantire una pronta reazione.
Laelia lobata nel limbo della tassonomia
Tutto cominciò con… la perduta Cattleya labiata, ma non andò così.
Era una nuova specie:
Laelia lobata (Lindl.) H.J. Veitch 1887.
I gioielli di rio Parnasso… continua aleggere:
Prologo:
Originaria del Brasile. Le poche piante di Laelia lobata rimaste nei luoghi di endemicità, crescono sulla superficie di scogliere rocciose che si affacciano sull’oceano, vicino a Rio de Janeiro.
Dimensione pianta:
dimensione standard delle Cattleya. Laelia lobata ha pseudobulbi cilindrici che crescono da un rizoma strisciante. La pianta ha una foglia eretta, lunga e coriacea. Produce da 2 a 5 fiori fragranti. Fiori simili a quelli di Cattleya. La tipica forma di colore di Laelia lobata è viola-lavanda con un labello amitista scuro con una gola gialla. I petali sono ampi e ondulati. Stagione di fioritura: primavera o inizio estate.


Esiste una forma bianca (vedi foto) nota come Laelia lobata var. alba.
Storia e tassonomia:
Laelia lobata fu descritta per la prima volta come Cattleya lobata da John Lindley nel 1848 in The Gardener’s Chronicle (pag. 403). Per la verità, fiori e morfologia erano assai simili a Cattleya labiata, tanto da esserne considerata una varietà di C. labiata. Quando Lindley fondò il genere Cattleya (1821), descrisse le prime specie come C. labiata, ma successivamente, nel 1848, con la descrizione della L. lobata non si preoccupò della similitudine o forse non gli venne mai in mente di una possibile confusione fra i due nomi C. labiata e C. lobata. La confusione si era insinuata già in precedenza quando George Gardner nel 1836 scoprì L. lobata sulla catena montuosa Organ, nella provincia brasiliana di Rio de Janeiro. In quell’occasione Gardner annunciò di aver ritrovato la perduta C. labiata. Lindley cercò di mettere ordine fra i due generi, sistemando le specie in rapporto al numero di pollinia; otto per le Laelia e quattro per le Cattleya, ciò nonostante i coltivatori di orchidee di tutto il mondo continuarono a chiamare L. lobata (otto pollinia) C. lobata per il resto del 1800. Ed è così in The Orchid Grower’s Manual, settima edizione 1894, Williams cita solo Cattleya lobata. Per lui non esiste Laelia lobata. Si sa che nelle regole della nomenclatura botanica, la priorità dei nomi è determinata dalla data di pubblicazione. Sul finire del ventesimo secolo (1999), il nuovo approccio di analisi del DNA dimostra che le Laelie brasiliane come L. lobata sono botanicamente diverse dalle Laelie messicane. Inizia così la nuova disputa tassonomica con la benedizione della scienza moderna sulle Laelie brasiliane. Ed è così che Laelia lobata si trova nella più assoluta incertezza tassonomica e potrebbe finire per essere ribattezzata praticamente su qualsiasi cosa. Ci si chiede se vale la pena ad infierire sul “genere” ogni qualvolta ci si imbatte in ogni piccola deviazione nelle caratteristiche della pianta.

Come nasce l’ATAO
La storia vera.
Tutto comincia i primi giorni di dicembre del 1980, quando decisi di regalare una pianta di orchidea a mia moglie. Sapevo che un mio collega di lavoro coltivava quelle strane piante, sì perché allora conoscevo poche cose sulle orchidee.
Il collega coltivava Cymbidium in una serra autocostruita, lo andai a trovare e acquistai una pianta di Cymbidium con gli steli fiorali ancora in bocciolo. La pagai 50000 delle vecchie lire.
Dalle nostre parti (nord est Italia) non esisteva nessuna forma associata fra orchidofili, l’impotenza dell’isolamento fu la scintilla che mi fece capire l’importanza di condividere le passioni e le esperienze. Acquistai il famoso libro di Rebecca Tyson Northen “Le orchidee” e di fatto diventai amante di queste piante.
Non so per quale strana congiunzione astrale, ma presto si materializzarono i primi contatti con altri coltivatori amatoriali.
Penso che il primo incontro sia avvenuto con Tiziano Avesani di Verona, poi arrivò anche Antonio Camani da San Donà (VE); saltuariamente frequentava la mia serra anche Antonio Borsato ed eravamo già un embrione di quella che poi sarebbe stata l’associazione nel territorio. Riuscii a contattare varie persone fra le quali Enzo Cantagalli di Pieris (GO), Nevio Ogrizovich di Trieste e Sergio Buda di Udine, eravamo già un bel gruppetto per poter dar vita ad una associazione.
L’embrione.
Cominciai a pensare al logo identificativo dell’associazione e venne spontaneo pensare ad un legame territoriale: nella fattispecie TRIVENETO.

Coinvolsi l’amico Borsato, valido amanuense, a studiare e creare il logo.
Trovammo anche un Notaio amico (non potevamo spendere soldi per la parcella) e si organizzò l’incontro fondativo.
L’associazione fece capolino sulla scena dell’orchidofilia italiana sul finire degli anni 80, con la vocazione di rappresentare il territorio ora noto come “Nord-Est”, ma storicamente conosciuto come “Triveneto”, cioè rappresentativo delle tre Venezie – Euganea, Giulia e Tridentina”.
Di quei giorni conservo ancora tutto il materiale preparatorio, indirizzi di possibili collaboratori, numeri di telefono ed annotazioni operative, acronimi possibili da dare all’associazione, logo, bozza di statuto, studio notarile amico ed altri appunti, che a distanza di anni assumono un inequivocabile testimonianza.
E’ così che nacque l’Associazione Triveneta Amatori Orchidee.
Le prime mostre
Presto l’ATAO trovò anche la forza di allestire la prima esposizione pubblica nel chiostro ex limonaia di una villa di Treviso. Seppur molto spartana quella prima esposizione ebbe un successo insperato.
Ebbe successo nonostante non fosse prevista la vendita di orchidee.
In quel periodo l’ATAO raccolse adesioni da Verona a Trieste, ma ebbe difficoltà a trovare consensi nel Trentino.
Questo limite rimase per lungo tempo il mio sogno inespresso, ora c’è l’ATO (Associazione Trentino Orchidee).
Treviso fu sin da subito il baricentro geografico ed operativo. Si organizzarono le bellissime mostre, tra le quali ricordo quella a Villa Franchetti (dove il Foscolo trovò l’ispirazione per le sue famose poesie), quella alla Camera di Commercio di Treviso e tante altre. Tra gli amici di allora desidero ricordare i soci fondatori: Antonio Borsato, Antonio Camani, Tiziano Avesani, Renato Casagrande, Enzo Cantagalli, Sergio Buda e Nevio Ogrizovich.
Con alcune di queste persone si è consolidato nel tempo un sodalizio importantissimo che è andato e va oltre le estemporanee difficoltà tipiche in qualsiasi organizzazione della società umana. Primo Presidente dell’associazione è stato eletto all’unanimità il Dr.Enzo Cantagalli, di Pieris (GO).

Nella foto: Dr. Enzo Cantagalli (maglione blu) e Guido De Vidi.
Enzo Cantagalli, grande appassionato orchidofilo giuliano, quella volta – edizione 2007 – venne a farci visita in fiera… gli avevo messo da parte due sacchi di corteccia…forse fu la sua ultima passeggiata fra le orchidee, problemi di salute lo terranno lontano per sempre. Enzo quand’era Presidente dell’ATAO era solito passare da me prima delle riunioni e una Domenica mattina arrivò di buon’ora in compagnia di un giovane “neofita” che sin da subito si dimostrò spigliato e loquace, simpatico ed esuberante.
Girando per gli spazi esigui della mia serra si parlò di orchidee, di viaggi e di raccolte in sito. Fu così che conobbi Stefano Milillo, orchidofilo con una piccola serretta sul terrazzo. Milillo scalò velocemente le cariche importanti dell’associazionismo. Tutto quel che venne dopo ci porta ai giorni attuali con le alterne vicende più o meno note.

Da Hannover, alla vigilia di Ginevra.
L’organizzazione dell’E.O.C. del 1994 fu gestita dalla Deutesche Orchideen-Geslellschaft E.V., autorevolmente guidata dal suo Presidente Gerd Roellke ed ebbe quale scenario Bewertungs-Sitzung di Hannover.
L’AIO (Associazione Italiana di Orchidologia) partecipò per la prima volta all’evento allestendo il suo piccolo stand, finalmente una rappresentanza ufficiale del nostro Paese si cimentava con l’orchidologia europea e mondiale.

Era l’ora di pranzo quando suonò il mio telefono, dall’altra parte del filo sentii la voce di Gianmaria, che con una gioiosa esclamazione in dialetto trevigiano mi comunicò che l’Italia e le mie orchidee avevano avuto grande successo. Ricevettero sette medaglie ed altri riconoscimenti li ottenne anche lo stand A.I.O. per la coreografia dell’allestimento.
Tra le simboliche ritualità che questi eventi esprimono, anche in tale circostanza c’è stata la presentazione al tavolo delle piante meritorie. Il Presidente dell’EOC, richiamando l’attenzione della giuria internazionale, mostrò la mia Laelia lundii e la descrisse con questa frase “Ammirate bene questa pianta, penso che in Europa non ne esista una migliore, io ne ho vista solamente una in Nuova Zelanda con fiori più grandi”.
Ad evento concluso le piante tornarono in serra dopo qualche giorno abbastanza stressate. Per qualcuna fu l’ultima grande fioritura, la Laelia lundii rimase in crisi parecchi anni, e non fu l’unica pianta a pagare le conseguenze della trasferta.
Finiva così la prima avventura internazionale delle mie orchidee, un po’ di vana gloria, le piante in sofferenza e qualche attestato di merito.
Ad Hannover, lo staff europeo delle orchidee si diede appuntamento al 1997 in Svizzera e precisamente a Ginevra. Il 1997 arrivò presto, troppo presto perché in Italia nel frattempo non successe molto e ci si trovò alla vigilia dell’appuntamento di Ginevra con pochi segnali di crescita e di collaborazione.
Si seppe che i venditori Italiani sarebbero andati per conto loro, soprattutto per “vendere” e “l’Italietta amatoriale delle orchidee”, dovette partecipare anche questa volta con le piante di qualche collezionista volontario.
In quell’occasione, nello stand A.I.O. oltre alle orchidee della mia collezione, c’era qualche Phalaenopsis di Zelinda, collezionista romana, ma dei produttori e dei venditori italiani neanche l’ombra. Gli anni passarono veloci, molti fermenti modificarono gli equilibri, ma questa è un’altra storia, spero che questo articolo, per quel poco che può servire, dia a Cesare quel che è di Cesare, ma si sà : la gratitudine non alberga in tutte le menti umane. Tutti quelli che son arrivati dopo hanno il diritto di sapere e gli attuali dirigenti hanno il dovere di essere riconoscenti e onesti: la storia non si modula a proprio piacimento, prima o poi arriva per tutti qualche altro “dio” a dire “descansate niño, che continuo io”…