Pero, le radici

Prologo.

Il paese di Pero è, o meglio la sua storia è stata e forse lo è ancora legata a quel piccolo rio che lo attraversa da nord a sud, e che erroneamentte porta due nomi: Rio Parnasso e Rio Pero. Chissà se è il corso d’acqua aver dato il nome alla località dove nasce, oppure l’opposto, lo scopriremo insieme. La curiosità e il desiderio di conoscere le origini dei luoghi nei quali abito e vivo, mi ha condotto a cercare prove e documenti. La prima traccia del nome del corso d’acqua in questione si rileva studiando la mappa del catasto della Repubblica veneziana che evidenzia la parte nord dove nasce il corso d’acqua, mappa riconducibile ai primi anni del diciottesimo secolo, nella quale si può notare il percorso tortuoso (per altro ancora tale) del corso d’acqua in questione, con il nome “Per”. La parlata dialettale di Pero, ancor oggi, per indicare quel corso d’acqua fa uso dell’epiteto (el Per)

Mappa veneziana: si può scorgere il tracciato del corso d’acqua fino alle risogive denominato Per.
Le risorgive del Per: confronta con la mappa della foto sopra.
Mappa veneziana (1700) di Pero.
Mappa austriaca di Pero (secolo dicianovesimo).

Le origini: Le foto che seguiranno mostrano, purtroppo, l’ultimo pezzo di storia che ci porta alle origini dei primi insediamenti abitativi di Pero. Si tratta della Chiesetta di S. Giovanni situata lungo le sponde del fiume Musestre, in quella parte del territorio, allora noto come “Pero di sopra”. L’accesso alla millenaria chiesetta di San Giovanni è attualmente impedito da una miriade di ostacoli, nonostante l’esistenza di una servitù di passaggio che ha consentito, da sempre, alle popolazioni locali di potersi recare in visita a quello che non esito definire, il simbolo per antonomasia delle origini di Pero. Così si legge in una nota giornalistica del mese di luglio 2012:…”Per porre fine a tale disagio, a Pero si sta costituendo un Comitato che si propone di ripristinare la servitù di passaggio così come previsto in un accordo tra parrocchia e immobiliare proprietaria del sedime della fabbrica”… Dov’è questo comitato e soprattutto cosa ha prodotto?

Storia: un po’ osservando le mappe storiche del territorio, ma anche mettendo insieme la memoria dei racconti delle generazioni andate e non di meno osservando quel che rimane (poco, molto poco) dell’impianto edificato, si può sicuramente configurare quella che poteva essere la vita nel nostro territorio attorno al 1000. E’ sicuro che i primi insediamenti abitativi delle nostre zone, presero consistenza con l’arrivo di qualche avamposto dei monaci benedettini già presenti sin dalla metà del X secolo nell’Abazia di Monastier . “Ora et labora” era il loro motto e con questo spirito iniziarono a dissodare vaste zone boschive, lacustri ed insalubri, per poter trarne frutto. I monaci benedettini, sotto la direzione dell’abate (dal greco “abbas”=padre) oltre alle pratiche spirituali si dedicavano al lavoro dei campi per il proprio sostentamento. Si deve proprio alla secolare opera di bonifica dei monaci se le terre circostanti, prima incolte e insalubri, (il luogo era “lacustre e boscoso”) attirarono col tempo lo stanziamento dei villici…”Nel Veneto, già prima dell’anno Mille, erano sorti diversi monasteri benedettini. Fino al Mille una vasta parte del Basso Piave era palude e fitta boscaglia, e i monaci benedettini, oltre che alla preghiera (“Ora…”), si dedicavano al disboscamento dei terreni, alla coltivazione delle terre abbandonate, pulivano i fiumi e ne consolidavano gli argini, aprivano solchi d’acqua nelle zone paludose dove regnava la malaria, riassettavano le strade (“… et labora”); non ultimo, provvedevano a diffondere il cristianesimo contribuendo alla conversione dei barbari. Man mano che si disboscavano le terre e si tiravano a coltura, e le popolazioni, per lo più nomadi, diventavano residenti, venivano loro consegnati poderi da coltivare, con l’unico impegno di riconoscerne l’originaria proprietà portando la quarantesima parte dei raccolti al monastero.

Chiesetta di San Giovanni.

Per ogni gruppo di case i monaci provvedevano alla costruzione di una piccola chiesa o di un oratorio dove la gente poteva soddisfare al precetto festivo, con annesso anche un modesto beneficio, cioè una piccola rendita per il mantenimento del sacerdote e per le spese del culto; oppure giungevano i benedettini stessi a celebrare la messa e poi rientravano in comunità.”… Una di queste chiesette fu costruita in prossimità del fiume Musestre e dedicata a S. Giovanni Battista, dove sicuramente si battezzavano le genti dei luoghi. Siamo nel X o XI secolo. Da questi riferimenbti storici si evince chiaramente anche l’origine del nome del paese di Pero. Non dalla credenza popolana del grande albero di Pere attorno il quale si riunivano i “saggi del luogo”, non dal greco Piros = Fuoco derivante dai falò utili al disboscamento, ma più semplicemente Pyro, dal nome antico del Fiume Meolo. Ecco che tutto comincia a prendere forma: Abazia benedettina a Monastier, posta lungo il fiume (Pyro) ora Meolo, insediamento che funge da baricentro di nuovi insediamenti monacali con la formazione dei primi nuclei abitati dei terreni nei dintorni del monastero.Per ogni gruppo di case (agli inizi semplici tuguri con i tetti ricoperti con canne lacustri), i monaci provvedevano alla costruzione di una piccola chiesa o di un oratorio. La zona geografica di Pero, sia per la sua facilità ad essere raggiunta per via fluviale (attraverso il fiume Musestre, il fiume Meolo e per finire il fiume Vallio, è stata sicuramente la prima ad essere raggiunta dai monaci benedettini (le decanie) a ovvero a gruppi di dieci. Ancora oggi, seppur totalmente sconvolta da ristrutturazioni scellerate, è immaginabile la via che dal fiume Musestre, dove sorge la Chiesetta di S. Giovanni, conduce a tre insediamenti di allora (case ex Baccini, in Via Silvio Pellico, casa ex Scotta in via cal del Brolo e Case ex Della Libera, per portarci verso Monastier, dove, sempre via fluviale (Vallio) si può giungere all’Abbazia di Monastier. Le case di cui si parla sono state rifatte ex novo e della conformazione storica rimane ben poco, ma nella mente di qualche paesano e magari in qualche vecchia foto, rimane certamente qualche testimonianza. La chiesetta di S. Giovanni (come si potrà vedere nel sevizio fotografico che propongo) è edificata su di una altura, quasi a significare un acropoli dove gli abitanti si radunavano per le funzioni religiose (battesimi, messe ed altre) e per i commerci. Con tutta questa storia, dovremmo tenere in massima considerazione questi luoghi, a testimonianza delle nostre radici, per il piacere del sapere ed anche per il godimento di momenti di spiritualità religiosa o più semplicemente ameni, ed invece NO!

Ho provato a raggiungere la Chiesetta, ma per arrivarci ho dovuto attraversare (quasi abusivamente) capezzagne private, guadare corsi d’acqua, e impantanarmi su improbabili stradoni. All’arrivo mi son trovato circondato dal degrado di insediamenti industriali (eufemismo) edificati a pochi metri dalla Chiesetta; una totale sensazione di tristezza ha pervaso la mia coscienza.

Il degrado industriale e pochi metri dalla chiesetta

All’improvviso nella mia mente si è riavvolto il film dei tempi della mia gioventù, quando in occasione della festa di S. Giovanni Battista (24 Giugno), tutto il paese di Pero migrava in questi luoghi senza problemi. Per documentare quello che ho visto non servono altre parole, spero che il reportage fotografico che propongo, serva a trovare qualche soluzione, lo spero vivamente.

Il capitello di Pero.

Nel mese di luglio del 2015 scrivevo sul blog: “Quel vecchio capitello di Pero sta crollando. Le poche testimonianze storiche e culturali ancora presenti (seppur ingabbiate da ingiustificabili edifici privati) sta crollando sotto l’incuria ed il peso del tempo. Questo è il capitello (o quel che ne rimane), che un tempo segnava l’incrocio ora chiamato Piazza Cesare Battisti a Pero.

Il capitello in rovina

E’ una strana storia quella che vede questa edificazione votiva, probabilmente eretta dopo il mille dai frati benedettini, dimenticata da Dio e dalla gente di Pero. Non sta a me vedere il problema sotto l’aspetto fideistico, io sono laico, o meglio “credente agnostico”, quello che mi angoscia e mi rende triste è verificare come siamo cambiati in peggio. In quei luoghi, ora abbandonati e vuoti, non più di 60 anni fa, pulsava il paese vivo, fatto di momenti di vita semplice e condivisa. Il capitello era posto al limite della riva destra della strada che giungeva da Breda, il Rio Parnasso passava a sud lambendo il caseggiato che fungeva da osteria e drogheria. Il corso d’acqua, allora costeggiava la riva sinistra di un’nica via di comunicazione, che attraversava l’abitato composto da qualche casa con tetto di canne palustri e tre più strutturate, resiudi della presenza benedettina, più qualche casa padronale pur sempre di fattura minimale, e conduceva alla Chiesa di S. Giovanni, ubicata ad ovest del paese: Pero di sopra lo chiamavano allora, per distiguerlo da Pero di sotto, più basso e paludoso. Ed è proprio per bonificare la parte centrale del paese attraversata dal Rio Parnasso, carica di paludi e risogive, che sul finire del dicianovesimo secolo, il suo corso fu portato più a sud (più in alto) dando così forma all’attuale via Silvio Pellico, allora denominata Via levada (elevata, per l’appunto). Il mio ricordo più intenso va al 1950, quando in occasione dell’anno santo la Madonna Pellegrina, giunse nel suo pellegrinare anche a Pero, i giovani del paese, (ai miei occhi di bambino di 6 anni), forti e coraggiosi, salirono fino in cima a due platani secolari altissimi, posti ai lati del capitello, per collocare due stelle illuminate da lampadine elettriche, aventi lo scopo simbolico di indicare la via alla processione della Madonna. Poca cosa, si dirà, ma se lasciamo andare anche quel poco che rimane, si estingue tutto di noi. Spero che le istituzioni locali mi leggano, non fosse altro per evitare che questo mio grido di dolore venga spazzato via dal vento dell’oblio.

Il capitello ingabbiato

Il miracolo. Le istituzioni locali non diedero segni di vita e quel capitello sembrava destinato a sparire, ma avenne un miracolo. Nel 2019 la proprietà dell’intero immobile, già osteria, ristorante e ipermercato, cambiò di mano. Il nuovo propietario conosceva a fondo la storia di quei luoghi. La conoscva per essere nato a pochi metri e per aver vissuto la sua infanzia tra quelle mura e quelle strade. Si percepiva che quella testimonianza del nostro comune passato, non sarebbe andata distrutta e fu salvata. Il capitello violentato e nascosto per anni fra le macerie di magazzini vari, fu riportato all’antico splendore dei tempi andati.

Il capitello restaurato

Furono rimessi a dimora perfino i due platani che tanti ricordi facevano rimbalzare nelle nostre menti. Sì nelle nostre menti perchè ci sono storie di comune infanzia fra me e Baccini Gisulfo (Nino o Nineto per gli amici d’infanzia), il nuovo propietario che volle il restauro ed il recupero di questa significativa testimonianza del nostro passato. Ora Nineto non è più fra noi, il destino se l’è portato via sul finire del 2019. Ebbe appena il tempo di sedersi su una delle due panchine, per pensare, chissà, forse per godersi momenti di vita andata, o semplicemente per riposare. Grazie Nino.

il Genere Promenaea

Piccole orchidee grandi nomi : “Promeneia” – Sacerdotessa Greca.

Il genere:
Promenaea Lindl. 1843.
Sottofamiglia: Epidendroideae
Tribù: Maxillarieae.
Sottotribù: Zigopetalinae.

Il nome del genere deriva da “Promeneia”, sacerdotessa greca di Dodona, menzionata da Erodoto, ed è stato scelto dai botanici, quale omaggio alla bellezza ed alla vaga forma di colomba dei fiori di questo genere di orchidee.
Il genere Promenaea, è originario delle foreste umide del Brasile e comprende circa 15 specie epifite: la bellezza dei suoi fiori e la piccola dimensione delle piante le rende particolarmente consigliate nelle coltivazioni.

Collezione Guido De Vidi – foto del 27.06.04 – diritti riservati.
Promenaea stapelioides(Lindley) Lindl. 1843
Sinonimi:
Basionimo: Cymbidium stapelioides Link & Otto 1828; Maxillaria stapelioides Link & Otto Lindl. 1832; Peristeria stapelioides Lindl. 1832; Zygopetalum stapelioides Rchb. f. 1861- Klotzsch ex Rchb. f. 1863 – Nichols. 1901

Fra le oltre 15 specie del genere Promenaea, P. stapelioides, insieme alla P. xanthina sono le uniche ad essere facilmente presenti nelle collezioni.

Promenaea xanthina vive sulle montagne fredde della parte sud del Brasile, è un’orchidea epifita e/o litofita e prospera nelle foreste a 1700 metri di altitudine. E’ una specie di piccole dimensioni, produce fiori gialli luminosi, abbastanza grandi rispetto alle dimensioni della pianta. I fiori sono duraturi, compaiono all’inizio dell’estate e sono piacevolmente fragranti.

Meno nota della P.xanthina, ma assai attraente è la P. stapelioides. Il nome specifico si riferisce alla somiglianza dei suoi fiori a quelli della Stapelia, una pianta succulenta originaria del Sud Africa- il suffisso “oides” di matrice greca, significa “simile„
Questa specie è nativa delle zone montagnose più fredde nel Brasile: da Rio de Janeiro a Santa Catarina.
Si sviluppa sugli alberi o sulle roccie muscose umide, in zone semi ombreggiate.
Promenaea stapelioides fiorisce in giugno, i suoi fiori durano parecchie settimane, misurano 5 cm di diametro e sono molto compatti: il fondo giallo/verdastro di petali e sepali è notevolmente punteggiato e segnato da barre traversali color marrone/rosso prugna, mentre il labello marrone scuro, tendente al nero, ha i lobi laterali punteggiati.
I fiori spuntano all’apice di steli esili e per questo si posano lungo il bordo del vaso.

Coltura:
Le zone endemiche di queste specie sono documentate come “fredde„, ma in coltivazione possiamo tenerle entrambe in condizioni intermedie ed ombreggiate. Crescono bene se coltivate in vasi poco profondi con substrato di corteccia fine.
Queste specie non hanno periodo di riposo e quindi vanno tenute sempre con il composto umido.
Ad ogni buon conto, siccome entrambe le piante hanno foglie molto sottili e facilmente attaccabili da infezioni batteriche e fungine è utile mantenerle asciutte in ambiente ventilato.

I miei 80

Emozioni.

Evento Garda Orchids – https://www.facebook.com/photo?fbid=359310727137861&set=pcb.359312943804306

Ringrazio con struggente commozione il mondo orchidofilo, per il prezioso pensiero dedicatomi. Conserverò nel mio cuore le profonde emozioni che sto provando.

Prologo

Nei primi giorni di Maggio, a poca distanza dal mio ottantesimo compleanno (20 Aprile 2024), a Peschiera del Garda andava in “onda” la seconda edizione di un evento orchidofilo destinato a diventare tra i più importanti d’Italia. La mostra ha avuto un grande successo di pubblico e di qualità delle piante in esposizione. Il merito va ascritto a un gruppo locale di appassionati che ha saputo avvalersi della collaborazione del mondo orchidofilo italiano che sta crescendo.

Con la cortese disponibilità di Manuele Teano, titolare di Monsoonica, https://www.facebook.com/p/Monsoonica-100054389865850/?locale=it_IThttps://www.facebook.com/p/Monsoonica-100054389865850/?locale=it_IT

ho partecipato alla esposizionne con alcune piante della mia collezione, fra le quali la storica Jumellea sagittata, esemplare che vive con me da oltre 30 anni. L’esemplare è stato premiato dai Giudici AIO con l’oro, ma quello che più mi emoziona è stata la targa donatami dal mondo orchidoilo presente all’evento, quale riconoscimento del mo costante impegno a far crescere l’associazionismo degli amanti delle orchidee. Un caloroso grazie a tutte le amiche ed amici delle orchidee che condividono la comune passione.

Storia

Tillandsia albertiana

Prologo.

Grazie Roberto, il tuo nome sarà legato idissolubilmete a questa piccola divisione di Tillandsia, che tu regalasti a Rosetta qualche anno fa a Pordenoneorchidea. Ora tu non sei più tra noi, ci manca la tua ironia e quel sorriso un po’ sornione che distribuiva empatia. La sua prima fioritua ci ha permesso di identificarla: il suo nome scientifico è Tillandsia albertiana, quel pezzettino del cultivar che ci donasti lo battezziamo in tuo ricordo ” Tillandsia albertiana ‘Roberto Telli”

Descrizione: La Tillandsia albertiana è una delle pochissime specie che produce fiori rossi. Per questo motivo, i colibrì ne vanno matti nel suo habitat naturale: questi uccelli aiutano con l’impollinazione della pianta. Un’altra caratteristica unica del suo fiore è la grande dimensione (rispetto ad altre Tillandsia) e il fatto che il fiore può durare fino a una settimana, anziché solo un giorno come la maggior parte delle specie. La Tillandisa albertiana ha foglie spesse e distiche, che possono raggiungere una lunghezza di circa 8 cm. Dopo la fioritura mette fuori molti cuccioli che alla fine si formeranno in un grande ciuffo sferico. Questa pianta è originaria della provincia di Salta, che si estende dal nord dell’Argentina al Brasile.

Posizione:  questa varietà è sensibile all’irrigazione eccessiva e rischia di marcire se non si asciuga correttamente. È una crescita molto lenta. E’ consigliabile sistemare la pianta in modo da garantire un buon flusso d’aria. Dovrebbe ricevere luce solare intensa e indiretta. Va bene anche all’aperto in condizioni parzialmente ombreggiate, ma negli stati più freddi è necessaria la protezione dal gelo, quindi è più appropriata un’area coperta o interna.