Archivio mensile:Gennaio 2015

Dendrobium grimesii, specie o ibrido naturale?

Dendrobium australiani: ancora tassonomicamente incerti

Dendrobium grimesii. Collezione Guido De Vidi.

014 Dendrobium grimesii C.T.White & Summerh.
White, C.T. & Summerhayes, V.S. (1934) Decades Kewenses: Plantarum Novarum in Herbario Horti Regii Conservatorum. Decas CXXX. Bollettino di informazioni varie 1934 (3): 106
E’ stato scoperto nel Queensland (lago Barrine), vicino ad Atherton, nel mese di Agosto 1932 da B.d. Grimes, da cui il nome specifico.
Il botanico australiano A.W.Dockrill ed altri studiosi del continente Australe, lo considerano quasi sicuramente un ibrido naturale: D. calamiforme x D. nuegentii.
Dockrill, A.W. (1969) Australian Indigenous Orchids 1: 1-826 (366-367)
Rauschert, S. (1983) Feddes Repertorium 94 (7-8): 446.
Successivamente, la “scuola tassonomica” australiana lo rinomina: Dockrillia x grimesii (C.T.White & Summerh.) Rauschert
Clements, M.A. (1989) Catalogue of Australian Orchidaceae. Australian Orchid Research 1: 1-160 (54)

Dendrobium grimesii: particolare del fiore.
Collezione Guido De Vidi

017 Orchidea epifita a sviluppo simpodiale; Dendrobium grimesii forma dei corti pseudobulbi all’apice dei quali crescono singole foglie carnose, teretiformi, lunghe 10-12 centimetri. Lo stelo fiorale eretto, misura 12-15 centimetri, esce dall’ascella inguainata della nuova foglia e produce 10-15 fiori bianchi con petali e sepali appuntiti. I fiori sono capovolti, con il labello leggermente punteggiato di rosso, rivolto verso l’alto ed arricciato all’indietro per favorire l’ingresso dell’insetto impollinatore.

Dendrobium o Dockrillia?
La sequenza descrittiva di questa originale orchidea australiana ci fa capire quanto sia problematica la classificazione tassonomica delle orchidee, soprattutto con generi composti di moltissime specie, tipo Dendrobium che ne annovera circa 1180.
Recentemente sono stati presentati diversi lavori di riordino del genere Dendrobium, alcuni dei quali non ancora accettati dalla comunità scientifica.
A tal riguardo è nota la disputa di A. Clements e David L. Jones sulla correttezza del nome (Dockrillia) assegnato ai Dendrobium teretiformi da Brieger nel 1981.
Il dissenso con Brieger è tutto sul nome del nuovo genere scorporato dai Dendrobium e dato in onore di “Dockrill, Alick William” di sesso maschile e declinato invece al femminile: Dockrillia.

Note di coltivazione
Questo Dendrobium richiede sicuramente un periodo di riposo secco: la struttura teretiforme delle sue foglie è un segnale inequivocabile.
Non avendo alcuna indicazione in merito ai suoi regimi di coltivazione in endemicità, ho sperimentato varie sistemazioni logistiche in serra e diverse modalità di alimentazione.
Il risultato ottenuto è soddisfacente e fatta salva la dovuta attenzione con le bagnature (quasi eliminate nella fase di riposo, che interviene a sviluppo annuale ultimato) Dendrobium grimesii non richiede marcati sbalzi termici. La pianta rimane tutto l’anno in buona posizione luminosa, a temperature di serra intermedia, tenuto comunque presente il naturale abbassamento delle temperature autunnali, per altro, propedeutiche per ottenere abbondanti fioriture.
E’ consigliabile la coltivazione su zattera: facilita l’asciugatura delle radici fra le bagnature.

Epidendrum porpax

… E se fosse lei a raccontare la sua vita?

Potrebbe essere un racconto visionario frutto del grande freddo, ma così è capitato ieri notte, mentre visitavo le orchidee della mia collezione nella serra piccola.
Si dirà: “ma cosa ci fai di notte in serra”. Ero li a far compagnia a Lillo e Billo, i miei due bastardini bianchi, terrorizzati dai “bombardamenti” di fine anno, era da poco trascorsa la mezzanotte, fuori il termometro segnava -5 e le mie imprecazioni, seppur violente, si perdevano nel fragore dei botti.

Finalmente dopo mezz’ora un attimo di tregua; colgo l’occasione per buttare l’occhio sulle numerose miniature poste in basso, ai lati della corsia centrale, una nuvola di piccoli fiori traslucidi di color ruggine verdastro mi chiama, ed ecco che inizia il racconto.

011009“Ciao Guido, tanti auguri per il nuovo anno” – sussurra la piccola pianta – “Domenica scorsa, i tuoi amici in visita alla nostra casa hanno fatto tante foto, ma nessuno parla di me su Fb. e nemmeno tu, nel blog, scrivi di me” – “Allora ti prego, ascoltami, ho una storia da racconatri” ….. “Mi chiamo… e già, come mi chiamo? – “Io me ne stavo tranquilla in America tropicale dal Messico fino al Venezuela e al Perù, nel 1854 mi scoprirono e un certo Reichenbach mi sistemò fra gli Epidendrum e mi battezzò con il nome di una libellula (Porpax), ed anche del dio fluviale, figlio di Oceano e Teti, nella mitologia greca.

Però mi son trovata subito in una gran confusione, dovevo vivere insieme ad un migliaio di altri Epidendrum, alcuni grandi, lunghi e tanto diversi da me, a dire il vero non mi trovavo bene fra loro. A causa delle grandi differenze tra la vegetazione, le dimensioni del fiore e l’aspetto, molte specie del mio gruppo sono state separate per formare il proprio genere come Barkeria , Dimerandra , Encyclia , e Oerstedella . Nel tentativo di organizzare e classificare le rimanenti specie del gruppo, sono state suddivise in 50 sottogruppi naturali. Così, per un certo periodo sono andata a finire in uno dei tanti sottogeneri come Diothonea, Epidanthus, Epidendropsis, Neolehmannia, Neowilliamsia e altri; per qualche periodo il mio nome completo è stato Neolehmannia porpax.

Nemmeno così le cose funzionavano, qualcuno ha pensato bene di sistemarmi nel gruppo Nanodes, ma poi i tassonomi mi hanno rimesso nel mega gruppo originario Epidendrum.

epidendrum_peperonia_foto_da_internetCaro Guido, so che tu continui a chiamarmi porpax, però una decina di anni fa, il botanico messicano, Eric Hagsater, decise che ho un cugino che mi assomiglia molto (foto a sinistra – per la verità è del tutto uguale a me, ha solo il labello un po’ più rotondo del mio), e quindi lo ha battezzato con un nuovo nome: Peperomia, proprio per la somiglianza del suo labello con le foglie delle piante di Peperomia.

Una bella confusione, vero? Certo che i botanici non ci lasciano mai in pace, ma lasciamoli fare, caro Guido noi ci conosciamo da una vita e continueremo a chiamarci con i nostri nomi di sempre!…. Mi raccomando, metti qualche foto, le mie ed anche del mio cugino Peperomia. 😉

Nota: la foto di Ep. peperomia è tratta dal web.

Dryadella simula

Le orchidee si raccontano:

039Dryadella simula (Rchb.f.) Luer, Selbyana 2: 209.1978.
Me ne stavo nascosta in serra, mimetizzata fra altre Pleurothallidinae, i miei piccoli fiori si confondevano abilmente fra le floride colonie di muschio verde, ma ecco che sono stata scoperta e fotografata… a dire il vero non sono venuta neanche tanto bene: colpa del fotografo!
Il mio genere è composto da più di 40 specie epifite, distribuite dal Guatemala al Brasile del sud.
Non ho capito bene perché Luer, descrivendomi, ha scelto il nome di specie ‘simula’, forse per l’aspetto dei miei fiori.

037Il mio nome generico evoca le Driadi, ninfe degli alberi nella mitologia classica. La mitologia greca annovera molte ninfe (dal greco antico, “giovane fanciulla”), semi divinità della natura. Vi sono molti miti su di esse, questi le associano spesso ai satiri, da cui la tendenza sessuale della ninfomania.

Nella mitologia greca le ninfe erano di diversi tipi: Alseidi, ninfe dei boschi e delle foreste. Cure, nutrici di neonati. Driadi, (o Amadriadi) che vivevano ciascuna in una quercia o comunque in una pianta. A differenza di altre ninfe tipo le Oreadi (chiamate anche Orestiadi), le Driadi non potevano mai abbandonare l’albero da loro protetto.

Ecco, care amiche ed amici orchidofili, noi piccole Driadi possiamo diventare le vostre “protettrici”, ma come avrete capito, ognuna di noi si lega per sempre a colui che ci sceglie; è vostro compito non deluderci!

Cattleya nobilor ‘coerulea’

Siamo famose!!
011Buongiorno amiche ed amici del blog, eccomi a voi, sono Cattleya nobilor ‘coerulea’; sono bella vero? Bella, rara ed anche famosa, e sì cari miei, il gruppo della Cattleya walkeriana al quale appartengo, è l’unico a potersi fregiare di un’Associazione nata esclusivamente in suo onore.

Per la verità, i botanici hanno avuto un bel po’ di problemi per descrivere le tante forme e specie del gruppo C. walkeriana; le motivazioni sono molteplici, una per tutte è la gran varietà di forme e colori, che non trovano riscontro nelle altre specie di Cattleya.

Eravamo a cavallo fra il 1839 ed il 1840 quando George Gardner (botanico inglese), visitando la zona diamantifera brasiliana Minas de Gerais, scoprì una piccola Cattleya sugli alberi, ai margini di piccoli affluenti del Rio das Velhas e Sao Francisco; Gardner la descrisse dettagliatamente e la chiamò Cattleya walkeriana in omaggio al suo assistente e compagno di viaggi, Edward Walker, è stata la prima.

Successivamente, nel 1847, Lindley inviò al registro botanico, una nuova descrizione di una specie botanica similare, chiamandola però, Cattleya bulbosa. La sua nuova descrizione non ottenne molti consensi ed ora è ampiamente accettata come sinonimo della Cattleya walkeriana. Oggi l’epiteto bulbosa è usato per identificare una sottospecie con pseudobulbi più piccoli e più rotondi della specie tipo.
Ancora più tardi, nel 1877, Rodriguez Barbosa in “generi et specie Orchidearum Novarum” descrive come nuova specie, un’orchidea molto simile alla C. walkeriana, chiamandola Cattleya princeps.

Io sono stata scoperta più tardi, sempre in Brasile e introdotta in Europa dalla “Compagnie Continental d’Horticulture” nel 1882 e descritta da Reichenbach in ILLUSTRATION HORTICOLE nel 1883. Qualcuno mi considera varietà, altri, specie assestante, ma sempre legata al gruppo “walkeriana”, in buona sostanza mi distinguo da altre varietà o specie del gruppo, soprattutto perché produco due foglie per ogni pseudobulbo (non sempre, quando non sono in forza mi limito ad una), inoltre formo gli steli fiorali su piccole vegetazioni che spuntano alla base dei nuovi pseudobulbi, per ultimo perché fiorisco nella stagione invernale europea.

Da parecchi anni vivo nella collezione di Guido, ogni tanto mi fa arrabbiare perchè mi fa patire il freddo, ma complessivamente andiamo abbastanza d’accordo.

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Orchidee, regole e importanza dei nomi.

Quando capita sotto gli occhi un cartellino scritto in questa maniera sorgono spontanee alcune domande: chi è l’autore? Saranno giusti i nomi?
La tassonomia e la nomenclatura delle forme viventi richiedono regole condivise che devono essere rispettate, pena la totale anarchia.
Il cartellino in questione è un’ottima occasione per stigmatizzare gli errori madornali che spesso leggiamo sui dati identificativi delle orchidee che acquistiamo.
Primo errore: la scrittura in caratteri a stampatello.
Secondo errore: il nome di specie.
Sarà un banale errore di scrittura manuale e nulla di più, ho pensato, ma digitando su Google i due epiteti scritti sul cartellino è uscita una sfilza di link con il nome di specie inesatto “cremulata”, ragion per cui l’errore gira già su internet e non può essere imputabile solamente alla imperizia dell’autore del cartellino.
Aggravante: l’errore parte dal catalogo di vendita di un’azienda ligure di orchidee, errore riportato sucessivamente dagli acquirenti su vari forum italiani, esportando ed espandendo in tal modo la storpiatura di cui sopra.
Vedete come è facile propagare errori sui nomi delle orchidee.
Siamo tutti indotti a diffondere errori, vuoi per ingnoranza, oppure per meri errori di trascrizione, e magari anche per le diverse regole della grammatica di varie culture. Fatto sta che con i nomi hanno contribuito anche vari botanici a creare confusione. Emblematico è l’esempio di Cattleya aclandiae. In questo caso il nome di specie è stato dato a ricordo di Lady Lydia Elizabeth Acland, ma la pronuncia “anglofona” porta a scrivere Ackland, tanto da indurre ad errore anche un insigne botanico quale Jules Émile Planchon al punto da “istituzionalizzare” un sinonimo eterotipico Cattleya acklandiae.

Forse giova a tutti un piccolo ripasso sulle regole della nomenclatura delle forme viventi.
015Quando leggiamo il nome di un’orchidea, il primo aiuto logico ci viene dal significato del nome stesso, nel caso in esame, Liparis, deriva dalla parola greca “unto” o “grasso”, in riferimento alle superfici lucide quasi unte delle foglie di molte specie appartenenti a questo genere. Il nome di specie “cremulata” non significa nulla, mentre “crenulata” deriva dal termine latino crenulatus, crena = denti a punta acuminata, con chiaro riferimento all sua struttura morfologica.

Le regole della tassonomia
A tutte le forme viventi è dato un nome scientifico costituito da due parole (sistema binomiale). Gli epiteti universalmente usati sono di origine latina o greca.
La prima parola individua il genere, sostantivo scritto in corsivo con la lettera iniziale maiuscola e le rimanenti minuscole, es: Liparis.
La seconda parola è l’epiteto che individua la specie. Si tratta di un aggettivo scritto in corsivo e con tutte le lettere minuscole es: crenulata

Sottospecie e varietà.
A volte il binomio di base può essere integrato con altre parole in rigoroso ordine gerarchico di rango: epiteto sottospecifico (sottosp.) epiteto varietale (var.) e epiteto di forma (f.).
Ad esempio, Trichoglottis philippinensis var. brachiata è un nome varietale costituito dal nome generico (Trichoglottis), l’epiteto specifico (philippinensis) e l’epiteto varietale (brachiata).
Questi epiteti sono scritti con lettere minuscole in corsivo, mentre il rimanente (sottosp., var. e f.) in caratteri minuscoli non in corsivo.

Sinonimi
Un sinonimo è un nome di specie invalido poiché successivo ad uno già esistente, oppure a segiuto di una riclassificazione della pianta, ad esempio, Dendrobium jonesii (Sin. Dendrobium ruppianum)

Ibridi
E’ definito ibrido il frutto di una fecondazione, generalmente artificiale, cioè ad opera dell’uomo, ma anche naturale tra piante con diversi sistemi genetici.

Ibridi naturali
Sono definiti ibridi naturali, quelli esistenti in natura senza l’intervento degli esseri umani.

Quando sono fecondate due diverse specie dello stesso genere, trattasi di ibridi interspecifici.
Scrittura: nomi di entrambi i genitori con una croce in mezzo, esempio, Cattleya bowringiana x Cattleya aurantiaca oppure viene assegnato un nome collettivo preceduto da “x”, ad esempio Cattleya x guatemalensis.

Nel caso di ibridi intergenerici, la progenie di un increocio tra due piante di generi diversi assume un nuovo nome, esempio Aerides x Vanda = Aeridovanda

Ibridi artificiali
Gli ibridi artificiali sono incroci frutto dell’impollinazione fatta da esseri umani. In coltivazione, la progenie delle ibridazioni porta il nome di entrambi i genitori legati da “x” tra il genitore capsula (femmina), che viene scritto prima, seguito dal nome del genitore (maschio) che ha dato le masse polliniche.
In caso di registrazione di una pianta discendente da una ibridazione artificiale, viene dato ad essa un nome di “grex” (grex significa branco o gregge), costituito dal nome generico (anche semplificato) e l’epiteto di grex. Tutte le progenie di accoppiamenti futuri fra i genitori che hanno dato vita al Grex saranno conosciuti con questo nome, indipendentemente dalla scelta del genitore padre.
Gli epiteti che identificano il Grex non vanno scritti in corsivo, possono raggruppare più di una parola (massimo di tre) sono scritti in lettere minuscole con l’iniziale maiuscola: il nome del Grex deve essere registrato presso la “Intrnational Registration Authority” per gli ibridi di Orchidea.
Nel caso di ibridi intergenerici il nuovo nome identificativo è la sommatoria dei nomi generici dei genitori: ad esempio Sophronitis x Laelia o Laelia x Sophronitis diventa Sophrolaelia.

Nel 1950 è stato deciso a livello internazionale che gli ibridi fra tre o più generi prendono denominazioni generiche che finiscono in-ara, ad esempio Potinara = Brassavola x Cattleya x Laelia x Sophronitis

Cultivar
Cultivar è l’abbreviazione di una varietà in coltivazione. Se un coltivatore di orchidee produce da semina, una specie, un ibrido naturale o artificiale e lo ritiene degno di superiorità può dare alla pianta un epiteto “cultivar”. Un epiteto di Cultivar può essere dato anche ad una pianta che riceve un premio
L’epiteto Cultivar non identifica una varietà (un nome di varietà può essere assegnato solamente ad una specie) e nemmeno un “clone”). Il nome di Cultivar non va scritto in corsivo, può comprendere più di una parola e va scritto in lettere minuscole con la lettera maiuscola iniziale. L’epiteto di Cultivar è racchiuso tra virgolette singole, esempio: ‘Guido’.

Tutte le propagazioni vegetative (cloni) di questa pianta hanno diritto a fregiarsi del nome di Cultivar assegnato, escluse eventuali propagazioni da semina con gli stessi genitori.

I cloni o cultivar?
Quando un orchidea è propagata per via meristematica, i propaguli (pezzi) ottenuti sono (teoricamente) geneticamente identici, tutti questi propaguli, compresa la pianta originale, sono definiti cloni.

In appendice a questa lunga disanima sulla nomenclatura, auspico che tutti gli orchidofili ne diano giusta importanza, soprattutto chi le produce e le vende, oltre che essere un obbligo dettato dalla scienza tassonomica… è questione anche di immagine.

Nota:

Spunti tratti da
Journal Number 89
December 2003 AUSTRALIAN NOTES

Understanding Orchid Names
By Brian Richards
From Kalhari, “The Message Stick” of A.N.O.S. (Qld) Kabi Group Inc.

Referenze:
Debenham C., The language of botany, S.G.A.P.
Jacobs H (1993) A name can mean so much, Orchids Australia, December, 1993 A.O.C.
Morrison G. C. (1988) The orchid growers manual, Kangaroo Press, Kenthurst NSW
Morrison G. C. (1988) Growing orchids in Australia and New Zealand, Kangaroo Press, Kenthurst NSW
Pantzopoulos K. (1995) How to write plant names, Plant form and identification handout, Advanced certificate of horticulture Gordon Technical College, Geelong.