Archivi autore: Guido

2020 anno horribilis

L’anno vecchio sta finendo, qualche riflessione per quello che verrà.

Prologo. La storia, già la storia, è importante conoscerla per poter valutare con compiutezza il tempo attuale e gli eventi che viviamo oggi.

Il 2020 sarà ricordato dai posteri come l’anno “horribilis”, l’anno del virus che ha sconvolto e mutato la vita dell’intero pianeta. La cronaca è quella spietata ed inesorabile di ogni giorno, dettata da tragedie e morte che ci avvolgono tutti e solamente tutti insieme potremo uscirne. Oltre la cronaca c’è la storia, la storia che scolpirà su pietre miliari le angoscie le ingiustizie e le occasioni perdute di questi giorni maledetti. L’economia arranca, interi settori sono allo sbando, mondo delle orchidee compreso, sì anche quelle strane piante che hanno fatto e fanno ancora sognare intere generazioni risentono dela crisi che stiamo vivendo, sia sul versante amatoriale piuttosto che professionale. Nero Wolfe amava dire: “Nella vita tutto, tranne la coltura delle orchidee, deve avere uno scopo”. La realtà non è proprio così, ma fondamentalmente la metafora ha una sua validità e ci invita a ferquentare il mondo delle orchidee con relativa “nonchalance”. Tradotto, dovrebbero essere elevate a valore la condivisione, l’associazionismo, epiteti che non sempre si coniugano con quanto avviene in realtà, ed è così che spesso al posto di comportamenti spassionati trionfano le divisioni, le beghe da osteria, le gelosie spasmodiche di primi della classe.
Nascono gruppi, a volte semplicemente dei manipoli con la malsana ambizione di rappresentare il mondo, per altro senza corrispondenza con la realtà.
Non ci potrà essere futuro nell’orchidofilia italiana se non daremo il giusto valore agli insegnamenti della nostra storia trascorsa, fatta da associazioni locali federate per loro scelta in un unica rappresentanza nazionale; la qualità della rappresentanza dipende e dipenderà dallo spessore intelettuale, fatto anche di disponibilità al “turover”, dei suoi dirigenti a far corso dalla direzione o presidenza che dir si voglia. La storia saprà giudicare: come nei pesci l’odore di marcio parte sempre dalla testa.

European Orchid Council Conference and Exhibition (EOCCE)

11 Marzo 2016 a PordenoneOrchidea nasce la Federazione Italiana Orchidee, un evento carico di aspettative, in parte naufragate, ma lo spirito di quell’idea continua a vivere nel mondo dell’orchidofilia italiana. Da qualche mese la F.I.O. ha stabilito la sua nuova sede presso Pordenone Fiere Spa e sta lavorando con la Direzione della fiera alla preparazione di una candidatura italiana per un futuro European Orchid Council Conference and Exhibition (EOCCE)

Album fotografico su Fb. https://www.facebook.com/inforchidee

Serra per coltivare orchidee

“Lunga è la via dell’insegnare per mezzo della teoria, breve ed efficace per mezzo dell’esempio”. Seneca.

Prologo: un altro articolo esponeva soluzioni economiche per tenere sotto controllo temperatura ed umidità in serre medio piccole, quando piccole voleva dire circa 2 x 4 metri e medie 8 x 10 ( misure puramente esemplificative). In quell’articolo, l’argomento è rimasto sui generis. Ora lo riprendo, cercando di approfondirlo in tutti i suoi aspetti.
Tutti i ragionamenti che seguiranno, saranno riferiti a serre per la coltivazione amatoriale delle orchidee e riporteranno, soluzioni, esperienze e limiti vissuti durante l’auto costruzione della mia prima serra, ma anche del prototipo proposto dalla azienda SerreGiardini.

Riscaldamento invernale
Per il riscaldamento invernale della serra, si deve innanzittutto tener conto di eventuali tecnologie disponibili (vecchie stufe, impianti esistenti ed altro che consenta di contenere i costi.
Ad esempio l’individuazione della fonte energetica a cui attingere è un aspetto strettamente legato alle opportunità contingenti: gasolio, se si riesce ad usare quello detassato – gas metano se l’impianto della serra è una propaggine del riscaldamento di casa, energia elettrica se si dispone del fotovoltaico – oppure utilizzo di sorgenti termali, se disponibili.

Raffreddamento estivo ed umidificazione
Per raffreddare una serra in estate, ci sono due soluzioni: aperture di pareti  e/o tetti, oppure cambiamento forzato dell’aria interna con l’immissione di aria esterna più fresca. Per umidificare l’atmosfera all’interno di spazi chiusi, bisogna mescolarla con piccole particelle di acqua micronizzata.

Le opzioni sono di tre tipi:
1 – Generatore d’aria calda installato in serra.
2 – Radiatori o tubi alettati nel caso di dipendenza con il riscaldamento dell’abitazione.
3 – Tubazioni a pavimento nel caso della disponibilità di acque termali o di riscaldamento a bassa temperatura dell’acqua.
Il motivo più importante che condiziona la scelta della tecnologia di riscaldamento è legato alla tipologia della coltivazione: serra polivalente, che prevede temperature minime non inferiori a 18-20° centigradi oppure soltanto specie con esigenze di bassa temperatura.

Soluzioni professionali
Purtroppo, tutte le soluzioni professionali sono economicamente compatibili se implementate in grandi spazi, perché il costo fisso delle infrastrutture di base è molto elevato. Altro terreno minato è costituito dai calcoli e dalle formule astruse, che hanno buona valenza per tipologie di coltivazione standard, bancali integrati e spazi di utilizzo ricavati nelle forme canoniche,
ma le serre autocostruite per la coltivazione amatoriale delle orchidee sono l’esatto opposto: in certi casi sono delle vere e proprie foreste pluviali in miniatura.

Serre amatoriali Le serre autocostruite per la coltivazione amatoriale delle orchidee sono l’esatto opposto: in certi casi sono delle vere e proprie foreste pluviali in miniatura. Quindi, le soluzioni standard sono difficilmente applicabili nelle serre amatoriali: il governo di temperatura/umidità, nelle nostre serre per così dire (anomale) va messo a punto caso per caso, facendo tesoro di esempi già in esercizio,  adattandoli alle specifiche particolarità. Pertanto la prima cosa da fare, sempre molto utile, è quella di “scopiazzare” le intuizioni già collaudate nelle serre degli amici collezionisti, che quasi sempre sono disponibili a renderele di pubblico dominio.

Soluzioni empiriche nelle serre amatoriali
Nelle serre “fai da te” si possono scoprire varie soluzioni spartane.
Per quanto riguarda il raffreddamento, si va dalle “porte aperte”, alla ventilazione interna, con tutti i problemi che ne conseguono, a partire da tutti i tipi di insetti impollinatori all’eccessiva essiccazione dell’aria.
Per l’umidificazione, si escogitano soluzioni ingegnose, tipo allagamenti vari, oppure il classico vaporizzatore e, proposta assai interessante, la costruzione artigianale del sistema “VENTURI” ovvero la nebulizzazione dell’acqua, risucchiata per depressione, attraverso una rete di tubi dotati di appositi ugelli pilotati da un compressore: per capirci, il principio della vecchia pompetta del “flit. Ora la tecnologia mette a disposizione del collezionista di orchidee, che intende costruirsi la serra, buone opportunità a costi relativamente abbordabili. Da tempo sono disponibili vari kit per la nebulizzazione dell’acqua, ad esempio il sistema “fog”.

Cenno storici sulla mia prima serra
Gli spazi serra che ho costruito nel tempo sono un’ insieme di volumi realizzati a più riprese per soddisfare progressivamente le esigenze di coltivazione delle orchidee, che impietosamente continuavano a crescere di dimensione e di numero. Dai primi trenta-quaranta metri quadri, ora sono diventati circa duecentocinquanta, gran parte rigorosamente autocostruiti. E’ stato in pratica un fai da te obbligato dalla dimensione (molto piccola) del mio portafoglio e dalla grande passione per le orchidee. Fortunatamente in giro si trovava molto materiale di recupero, le discariche ed i rigattieri sono stati una miniera; si trovava di tutto ed a poco costo, bruciatori, ventilatori, stufe, tubi, materiale elettrico ecc.
Solamente rasentando l’accattonaggio tecnologico ho potuto dare alloggio dignitoso a qualche migliaio di orchidee esotiche.

Stufa con bruciatore a gasolio

Sin dall’inizio, nella prima serra ho addottato il sistema di riscaldamento ad aria, perché per l’appunto a quell’epoca recuperai un generatore a gasolio da 18 K calorie per la modica somma di 100.000 delle vecchie lire, (nuovo costa 1.500) euro, ora ce ne sono tre, disposti su tre lati della serra. Nei miei volumi riscaldati, la temperatura minima durante le notti invernali non supera i 14/15 gradi centigradi, tenuto conto che, oltre una certa soglia (13 – 15 gradi) i consumi di carburante crescono in forma esponenziale rispetto all’aumento di temperatura), questo è un limite autoimposto, che fra l’altro sconsiglia la coltivazione di piante da serra decisamente calda. Ciò nonostante qualche spazietto più caldo è stato trovato anche per le amatissime specie di Phalaenopsis e di qualche altra specie freddolosa.
Il riscaldamento ad aria ha il gran difetto di rendere l’ambiente interno più secco, ma questo limite, se ben governato, si trasforma in pregio: il flusso d’aria calda, tiene ventilata la serra ed il pericolo (soprattutto di notte) sempre in agguato delle marcescenze si riduce di molto rispetto a quanto può succedere con il sistema di riscaldamento per irradiazione. Inoltre con il sistema di riscaldamento ad aria è possibile anche effettuare bagnature invernali notturne, assai apprezzate dalle piante. Il livello di temperatura voluto è controllato e pilotato da un termostato (elettronico), più preciso per ridurre decisamente il ”delta” della scala , con programmazione giorno e notte (costo 120 euro).

Raffreddamento estivo dei volumi interni
Le mie serre non prevedono aperture di raffreddamento, (finestre laterali o sui tetti), ma soltanto le porte di accesso.
Il controllo della temperatura diurna in repentino aumento con l’insolazione (effetto serra) è garantito da un sistema integrato: estrazione dell’aria calda interna a mezzo aspiratore posto nella parte più alta della parete a sud della serra; per effetto della conseguente depressione interna può entrare aria esterna più fresca dalla parte opposta a nord, dove sono opportunamente predisposti dei pannelli alveolari.

Sistema cooling.
L’ingresso forzato di aria esterna già di per sé raffredda l’ambiente interno, ma il massimo rendimento in termini di umidificazione ed abbassamento della temperatura si ottiene con l’umidificazione dell’aria in ingresso, che si carica  di particelle d’acqua attraverso un percorso d’accesso, lungo, forzato e bagnato. Processo adiabatico.
Poco sopra  consigliavo di evitare rigidi calcoli perché ogni serra amatoriale è un caso a sé, però non si può neanche procedere a casaccio, bisogna aver chiari almeno gli obiettivi fondamentali e specifici.
– Il primo obiettivo è quello di ottenere il controllo del valore massimo accettabile di temperatura interna, che può essere 30/32 gradi centigradi, ottenibili con il minor dispendio di energia elettrica.
– Il secondo obiettivo è la giusta potenzialità dell’aspiratore, cioè quanti metri cubi d’aria riesce ad aspirare x unità di tempo: con questo dato noto, si può decidere in quanto tempo estrarre tutta l’aria interna, che può oscillare dai 40/60 secondi.

Vano aspiratore

Posizione dell’aspiratore
Se la serra prevede piante sistemate anche nella sua parte superiore, l’aspiratore va posto il più alto possibile. Con questa soluzione si estrae facilmente il cuscino d’aria che staziona sotto il tetto della serra: in questo caso si deve prevedere un aspiratore più potente. L’aspiratore può essere installato più basso, solamente in presenza di coltivazione su bancali mono livello. Una certa discrezionalità va concessa nella  collocazione nord/sud dell’aspiratore, la scelta dipende da quali e quanti microclimi si intendono ottenere nella serra: l’aspiratore posto al lato nord crea un’omogeneità di temperature ed invece, installandolo al lato sud, prefigura due settori climatici interni abbastanza diversi.
La decisione finale sarà sempre abbastanza empirica, ad ogni buon conto, meglio abbondare nella potenza estrattiva, sarà sempre possibile regolare la velocità dell’aspiratore.

Pannelli di raffreddamento
Sostanzialmente sono dei grandi filtri continuamente bagnati dal gocciolio d’acqua immessa sulla parte alta, raccolta nella parte inferiore e messa in ricircolo.
Questi filtri o pannelli che dir si voglia si trovano in commercio ma possono essere anche autocostruiti.
Qualunque soluzione si applichi, i pannelli di raffreddamento devono rispondere nel migliore dei modi alla loro funzione che è quella di far percorrere più strada possibile all’aria di ingresso con il minor atrito all’aria che li attraversa, per consentirgli di captare quanta più acqua possibile.
Nel mercato si possono reperire pannelli delle dimensioni, 10 X 50 x 100 dal costo di 50/60 euro l‘uno. Per ottenere un buon raffreddamento bisogna attrezzare quasi tutta la parete opposta all’aspiratore. Questi pannelli costano abbastanza e purtroppo, una volta installati, sono di difficile recupero, si intasano facilmente di muschio ed alghe, e vanno sostituiti dopo qualche anno dalla loro installazione.

Pannelli autocostruiti
In alternativa ai pannelli industriali c’è la possibilità di costruirli artigianalmente con truccioli di legno. Nella mia serra sono installate su tutta la parete a nord, delle gabbiette di rete di ferro zincato, 10 x 100 x 120, riempite con paglia di trucciolare.
Risultati: costi decisamente inferiori, rendimento pari e superiore ai pannelli e soprattutto, possibilità di sostituzione annuale, veloce ed economica.

Naturalmente la soluzione per così dire “industriale” da meno grattacapi, ad ogni buon conto, soprattutto per serre piccole con un pò di manualità, si può anche optare per le gabbie di trucciolare. Altro particolare non trascurabile, ottenibile con i pannelli in trucciolare di legno, è la possibilità di appendere sulla parte interna della rete dei pannelli stessi, molte orchidee che amano costante umidità. L’alimentazione di acqua per umidificare i pannelli può essere attuata con varie modalità, sia a circuito chiuso con circolo continuo, oppure con alimentazione a mezzo elettrovalvola in sincrono con l’aspiratore e recupero dell’acqua nella vasca dell’acqua di bagnatura.

Umidificazione
Qualsiasi sistema di raffreddamento “cooling” deve essere integrato con un impianto di nebulizzazione interna.
Anche in questo caso l’industria mette a disposizione vari sistemi . La tecnologia nel settore ha fatto passi da gigante, sia in termini di costi che di affidabilità: ora la nebbia in serra si ottiene veramente a buon prezzo, ma questo settore ( impianti integrati fog), sarà prossimamente trattato in un articolo specifico.

Curiosità: il mio vecchio impianto fog autocostruito, ora in disuso.
Ora può sembrare archeologia industriale, ma prima delle attuali soluzioni professionali, bisognava arrangiarsi con quello che si trovava e dar sfogo alle idee. Molti anni fa realizzai questo archetipo di nebulizzazione, ora non più in funzione: ecco cosa scrivevo nel 2004:… “Buoni risultati sono stati ottenuti usando la pompa a pressione (20 atmosfere), in uso per le bagnature: con una semplice implementazione impiantistica, è stato realizzato un’insieme di punti nebbia con ugelli dei bruciatori in disuso. Per quanto riguarda gli ugelli da usare, se si installano quelli recuperati dai bruciatori a gasolio, bisogna scegliere le misure, da 1 a 2 micron.

Pompa a 20bar di pressione

Riepilogo
Tutta l’impiantistica sin qui illustrata, richiede opportuni supporti di comando:
1- Per comandare l’aspiratore, un termostato tarato per chiamare freddo.
2- Per comandare le stufe, un termostato giorno/notte, tarato per chiamare caldo.
3- Per comandare il flusso d’acqua sui pannelli, serve un’elettrovalvola comandata dallo stesso termostato dell’aspiratore.
4- Per comandare l’impianto di nebulizzazione, un umidostato.
Ultima annotazione, poiché si vanno a comandare dei carichi di potenza, bisogna prevedere dei teleruttori di interfaccia con le apparecchiature sopra esposte

Paphiopedilum fairrieanum

Paphiopedilum, che passioni, e che follie!!
Ancor oggi il fascino delle tante specie del genere Paphiopedilum e dei suoi cugini Phragmipedium (saga del Phrag. kovachii), procura attenzioni ed ammirazioni particolari. Vari collezionisti dedicano le loro attenzioni quasi esclusivamente ai Paphiopedilum. Storie contemporanee senza mistero, si dirà, ma nei tempi d’oro delle scoperte di nuove specie di orchidee, le “battaglie” si combattevano a suon di bugie, sotterfugi ed altre mille diavolerie .
Ad esempio, chi scoprì P. rothschildianum raccontò di averlo trovato in Nuova Guinea, mentre il suo habitat era il Borneo. In altri casi, oltre alle false piste, ci si metteva anche la sfortuna delle spedizioni o la cattiva gestione delle stesse ed è così che molte specie di Paphiopedilum rimasero per anni orchidee fantasma.

A proposito di orchidee che hanno segnato capitoli di bramosia del possesso, interessante è la storia del Paphiopedilum fairrieanum, giunto quasi incognitamente nell’Inghilterra Vittoriana insieme ad altre orchidee e fiorito nelle serre del Signor Fairrie, di Liverpool nel 1857.

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Paphiopedilum fairrieanum

Paphiopedilum fairrieanum [Lindley] Stein 1892. Fra le tante del suo genere, è una delle specie più facilmente riconoscibili. Il sepalo dorsale bianco ha margini laterali ondulati ed è contrassegnato con venature viola e verdi, mentre i suoi petali puntano decisamente verso il basso per poi incurvarsi all’insù, tanto da ricordare le corna di bufalo. John Lindley nominò la specie in onore di Mr. Fairrie, collezionista orchidofilo di Liverpool che la fece fiorire per la prima volta nel 1857. Come fosse giunta in Europa la prima pianta di questa nuova specie, rimase, forse volutamente, incognita per vari anni: circolavano fonti probabili di provenienza, Bhutan e Assam.

Nel 1880 Frederick Sander, noto vivaista inglese, fiutando l’affare inviò Forsterman, uno dei suoi raccoglitori, nel nord dell’India con le istruzioni per raccogliere quante più piante possibili di quell’orchidea fantasma, ma in quei luoghi non si trovò traccia di P. fairrieanum. Nel 1905 in tutta Europa risultavano in vita nelle collezioni, solo cinque piccole piante di P. fairrieanum.Tale situazione procurava fermento nel mondo delle orchidee e negli ambienti del collezionismo aleggiava la frenesia per il possesso di quel Paphiopedilum fantasma.

Ed è così che Sander, nel 1904, mise in palio una ricompensa di 1000 sterline al primo raccoglitore di orchidee che gli avesse recapitato, non solo una buona quantità di quel Paphiopedilum, ma anche informazioni esclusive del suo habitat. Ovviamente Sander sperava di vedersi recapitare molte piante in modo da realizzare abbastanza soldi dalla loro vendita, che gli consentisse di pagare il grosso premio e di guadagnare pure. Non trascorse nemmeno un anno, quando l’ingegnere inglese, G.C. Searight, in collaborazione con un vivaista indiano (tale SP Chatterji), inviò a Frederick Sander diverse grandi piante di P. fairrieanum da Assam. Tuttavia, non fu un’esclusiva per il buon Sander, altre piante quasi contemporaneamente arrivarono, sia al Kew Gardens che a singoli coltivatori: il luogo ‘segreto’ del Paphiopedilum fantasma si rivelò non essere poi tanto sconosciuto.
Ad ogni buon conto nei mesi successivi, Sander riuscì a piazzare 179 piante di P. fairrieanum all’asta, ma il prezzo più alto pagato non superò 21 ghinee a pianta e la spedizione totale produsse un incasso di sole 550 sterline.
Ma il ‘volpone’ Sander’, prima dell’asta vendette le migliori piante piante a suoi clienti privati, pare per un introito di 5000 sterline che consentirono la salvezza della sua azienda.

Di quelle famose mille sterline del premio, Searight, avendo trasgredito gli accordi con Sander (spedì piante di quella orchidea anche ad altri acquirenti), incassò solo la metà del premio originariamente offerto. Nei mesi successivi furono molte le piante di P. fairrieanum a giungere in Europa, offerte in vendita a Darjeeling (Bengala Occidentale – India), al prezzo di pochi scellini a pianta.