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Categoria madre del blog: giorno per giorno con le orchidee, diario di un appassionato.

Conoscere e coltivare imPaphiopedilum 4

La grande avventura della coltivazione dei Paphiopedilum.

Collezione Guido De Vidi- Tutti i diritti sono riservati
Paphiopedilum rothschildianum Ex (Reichb.f.) Stein

Finalmente cominciamo a scendere sul concreto.
La traccia che seguirà, tiene conto delle esperienze di molti collezionisti e vi propone le linee guida essenziali, sia per le coltivazioni in serre sia per quelle“domestiche”.
Entrando nei vari aspetti della coltivazione dei Phapiopedilum, mi preme ricordare che nessun parametro può assumere valore se non collocato nell’insieme delle necessità.

Luce per i Paphiopedilum.
Può sembrare strano iniziare con la luce, ma per i Phapiopedilum è assai importante tenerla sotto controllo sin da subito.
Si è detto che i Paphiopedilum e per la precisione quelli appartenenti al primo gruppo, (foglie verdi di piccola dimensione) si prestano con facilità ad essere coltivati in casa o comunque in ambienti all’aperto, direttamente a contatto con la luce del sole: angolo del giardino, loggia aperta, veranda ecc.
Mentre le coltivazioni in serra sono facilmente gestibili in termini di luminosità, all’aperto la giusta luce da dare ai Paphiopedilum è strettamente legata al loro stato di salute.
In altre parole, se le piante hanno il composto in ottime condizioni e un fiorente apparato radicale, possono sopportare con profitto la luce solare leggermente filtrata 30%, se invece le radici sono malconce, sono più soggette ad avvizzimento precoce e quindi bisogna moderare ulteriormente l’esposizione alla luce.

Stesso discorso vale anche per le piante sui davanzali e sulle finestre.
In linea generale i Phapiopedilum vanno inclusi nella fascia delle orchidee amanti della luce debole e quindi anche in serra bisogna trovar loro, zone più ombreggiate. Volendo essere dei puristi, bisogna anche tener conto delle diverse esigenze fra specie e specie ed ibridi conseguenti.
Propongo qualche dato numerico che potrà servire come indicazione di massima.
Preciso subito che questi parametri sono validi per la mia zona (Italia settentrionale), penso che verso il sud, dove si dispone più luce, si debbano aumentare le percentuali d’ombreggiatura.

Da Aprile ad Ottobre: 50 – 70% d’ombreggiatura. Rimanenti mesi luce diretta, massimo 20 – 30% d’ombreggiatura.
Questi dati dovranno essere interpretati dal coltivatore, anche in rapporto alla temperatura ambientale, per individuare quale sarà il posto ideale di coltivazione fermi restando i parametri sopra riportati.

Temperatura e umidità, c’è una linea comune?
La temperatura ideale per i Paphiopedilum, come si è visto nella tabella, varia da specie a specie, ad esempio quelle provenienti dall’Indonesia gradiscono temperature più alte, mentre le Cinesi preferiscono più fresco.
Detto questo però, molti collezionisti coltivano le varie specie alle stesse condizioni di temperatura ed ottengono ugualmente ottimi successi.

Per quanto riguarda le giuste temperature, ci sono tre scuole di pensiero
1-Coltivazione suddivisa in due gruppi: a foglie chiazzate clima caldo e fresco a foglie verdi.
2-Suddivisione in tre gruppi: fresco per le piante di piccola dimensione a foglie verdi, intermedio per le foglie chiazzate e caldo per le piante di grande dimensione, a foglie verdi.
3-Unico spazio di coltivazione e tenuto conto della buona duttilità delle varie specie ed ibridi dei Paphiopedilum, studiare un giusto equilibrio dei tre parametri, “luce, temperatura, umidità”, fra le varie piante in collezione.

La mia esperienza di coltivazione dei Paphiopedilum mi consiglia il terzo punto. Ovviamente, la coltivazione che possiamo definire a temperatura relativa, sarà intrapresa solamente con un buon ambiente e soprattutto quando lo si conosce e si controlla molto bene.

In verità, con i Paphiopedilum, i problemi colturali legati alla temperatura si manifestano in maniera più pesante in estate piuttosto che in inverno. In estate le specie d’alta quota e gli ibridi derivati, si stressano perché nelle nostre zone non c’è un grande sbalzo termico fra notte e giorno e quindi si consiglia di attrezzare gli spazi dove alloggiano le nostre piante, con dei ventilatori.
Vedremo più avanti che i ventilatori saranno utili anche per prevenire malattie alle piante.
I luoghi d’origine dei Paphiopedilum, sono molto umidi e quindi il fattore umidità ambientale nelle coltivazioni è altrettanto importante degli altri due, analizzati poc’anzi.

Umidità ambientale
Nelle coltivazioni in serra, il “cooling” ed il “fog” ci vengono in aiuto per creare umidità controllata, a grandi linee possiamo stabilire un valore minimo invalicabile del 70% relativo. Nelle coltivazioni domestiche, per aiutare le nostre piante è molto utile usare umidificatori ad ultrasuoni che ora si possono trovare a costi abbordabili.
La movimentazione dell’aria circostante le piante è indispensabile per garantire salute alle piante, un ambiente di coltivazione non ventilato non potrà mai essere sano e le piante saranno in balia di aggressioni patogene di vario tipo.

Sintesi finale:
a)– Luce moderata, all’aperto con piante in salute si può anche eccedere dalla norma.
b)– Temperature, trovata la via mediana si possono coltivare specie che in natura richiedono esigenze diverse in un unico microclima: cautela nelle notti estive.
c)– Umidità, fattore importante che va in ogni modo di pari passo con una sana movimentazione dell’aria.

Conoscere e coltivare i Paphiopedilum 3

Viaggio sul pianeta dei Paphiopedilum Post n° 3

Miti storie e botanica.

Molti nomi d’orchidea si richiamano alla matrice culturale Latina, ma le fondamenta provengono dalla mitologia Greca.
Per dare una risposta a quest’enunciazione, prendiamo ad esempio: Cypripedium e Paphiopedilum.
Venere è la dea dell’Amore e della bellezza, leggeremo più avanti che la stessa divinità durante la civiltà greca si chiamava Aphrodyte
La prima leggenda è legata al nome Cypripedium calceolus, orchidea terricola Europea, da tutti conosciuta come “scarpetta di venere”.
Narra la leggenda che Venere, durante una passeggiata insieme con Adone, furono sorpresi da un violento temporale. I due cercarono riparo, ma lo spazio esiguo ed il desiderio di stare vicini fece perdere una scarpetta alla divinità.
Passata la tempesta cercarono la scarpetta, ma non la trovarono perchè fu macchiata da un “mortale” che nel frattempo era corso a raccoglierla.
Prima che fosse possibile raccogliere la scarpetta di Venere, questa si trasformò in un fiore di cui il petalo centrale o “labello” fu modellato a forma di scarpetta, mantenendo anche il colore dell’oro con cui era stata fatta.
Il botanico svedese Carl Linnaeus, studiando la pianta alla quale doveva assegnare un nome, si ricordò della leggenda di Venere e della sua scarpetta perduta. Decise di chiamarla Cyprid (isola di Cipro sacra a venere) e pedilom che in greco significa (scarpa, sandalo, pantofola)
L’epiteto calceolus è il diminutivo del latino calceous che significa (copripiede sottile) da cui anche “calza”

Echeggiando questa idea, Ernst Hugo Heinrich Pfitzer, più un secolo dopo dispose le orchidee asiatiche sudorientali con il fiore a forma di scarpa, in un nuovo genere chiamato Paphiopedilum, una combinazione fra le parole Paphos e pedilon.

Quando Pfitzer ha deciso di assegnare a questo genere di orchidee il nome di Paphiopedilum si è ispirato alla mitologia greca e precisamente ad alcune divinità mitologiche: Aphrodite, divinità greca dell’amore, che con la sovvrapposizione della civiltà romana a quella greca, assume poi il nome di Venere.

Varie leggende mitologiche convergono su un evento traumatizzante e nellostesso tempo carico di significati:
….”Fu proprio nella spuma del mare che ribolliva lì davanti, fra gli scogli intorno alla grande roccia di Petra Tou Romiou, che Aphrodyte prese forma la prima volta, apparendo subito di una tale bellezza da stupire persino gli Dei.
Quando il Caos e l’universo si unirono, narra una leggenda, nacque il tempo: Kronos
Questa immagine straordinaria già evoca il mistero della creazione con un significato ed una immagine filosofica inquietante.
Esiodo trasse da questo episodio il mito del tempo che si ribella al cielo e Kronos armato di una falce evira suo padre Urano (il cielo) e getta nelle onde le spoglie della sua virilità perché non procreasse ancora.
Abbandonate nel pelago, le spoglie fecondatrici del cielo, vagarono lungamente nei flutti sino a che non presero forma sulle rive di Cipro presso Paphos concretizzandosi nella più bella e più importante manifestazione,dell’universo:
La bellezza e l’amore uniti insieme”…
Altra leggenda mitologica racconta invece che…”Nella Città di Paphos, teneva la sua corte “Bacco” il dio del vino.
Bacco, divinità molto focosa, per impreziosire le cerimonie e le feste di corte esibisce spesso ai suoi ospiti molte giovani nubili e belle, rimanendo però sempre vigile sulle sue ancelle.
Sembra che in un’occasione Orchis divinità minore, ospite a corte del dio Bacco, abbia avuto l’impertinenza di prestare troppe attenzioni alle giovani presenti.
Chi conosceva “Bacco” sapeva che non era consigliabile comportarsi con spavalderia a corte ma Orchis, ignaro, continuò a manifestare il suo particolare interesse, finché “Bacco” in preda all’ira ordinò di evirare Orchis e di gettare le parti della sua virilità, lontano dove mai avessero da toccare terra.
Per questo furono gettate in mare, ma una parte toccò terra e lì nacque le prima orchidea, invecele spoglie mascoline finali del giovane Orchis vagarono nelle acque e dall’unione con le onde spumeggianti del mare ebbe origine Aphrodite. Il nome Paphos deriva da Paphinia che è giusto il secondo nome di Aphrodite”…
Aphrodite o Paphinia, è figlia di “Orchis”, padre di tutte le orchidee, ed i Paphiopedilum sono oggi, uno dei tanti generi di orchidee sparsi per il mondo.

Collezione Guido De Vidi. Foto 08.06.04-Tutti i diritti sono riservati.
Paphiopedilum callosum (Rchb. f.) Steinver.
Dopo aver individuato la classificazione scientifica del genere e sistemato per bene i nostri Paphiopedilum all’interno dei tre gruppi canonici di temperature e prima di addentrarci nelle varie strategie e tecniche di coltivazione, ci soffermiamo ancora un po’ sulla suddivisione interna alle specie, comprese le relative ed inevitabili disquisizioni di studiosi e botanici.

Opinioni a confronto
Negli anni 80, a riguardo della sistemazione tassonomica del genere Phapiopedilum, si sono scontrate due linee di pensiero.
Per semplicità nominiamo due nomi di spicco nel mondo della tassonomia: Braem e Cribb.
Braem ed altri, dando più peso alle caratteristiche morfologiche delle varie specie, raggruppano il genere Phapiopedilum in 5 sottogeneri (Brachipetalum- Polyantha- Parvisepalum – Paphiopedilum- Sigmatopetalum) e varie sezioni.

Cribb e compagnia, seguendo un loro filone sull’evoluzione delle varie specie di Phapiopedilum, ritengono di poterle rappresentare con un numero ridotto di sottogeneri e sezioni.

Penso che per noi sia sufficiente prendere atto di questo lavorio mentale dei professori; chi vuole documentarsi con più cognizione di causa nel merito, non ha che da cercare tra la bibliografia cartacea ed informatica.

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All’inizio di questo viaggio sul pianeta dei Paphiopedilum, ho chiesto le vostre osservazioni che sono giunte numerose e molto pertinenti. Nel prosieguo del mio racconto spero di poter trovare giusti consigli per tutti.

Primo gruppo di commenti:

Commento di Alberto.
Leggo che i paphiopedilum sono di facile coltura, pensavo sinceramente il contrario. Puoi indicarmi per cortesia le specie più “rustiche” che potrebbe coltivare un inesperto assoluto come il sottoscritto. ciao Alberto

Commento di Lisa.
Salve a tutti, io ho appena acquistato una paphiopedilum insigne var. sanderae…se la metto in terrazza-veranda chiusa, non riscaldata ma attaccata alla cucina x cui t° intorno ai 10-15°di inverno e luce ma non sole diretto può andare bene???non vorrei darle le cure sbagliate xchè e il mio primo paphiopedilum. Grazie a tutti bye bye

Commento di Cinxia.
Anche io oggi ho comprato il mio primo Paphiopedilum. Ho intenzione di tenerlo nell’ entrata di casa, chiusa ma non riscaldata e molto luminosa… è buono come posto? Qui tengo anche 2 cymbidium (da alcuni giorni ho notato i primi steli floreali) e 2 oncydium. In casa invece al calduccio tengo le Phalaenopsis. Il mio dubbio riguarda il Dendrobium (non ho idea a quale tipo appartenga)… meglio in casa al caldo o in entrata al fresco? Ringrazio e mi scuso se ho fatto mille osservazioni che non riguardano solo i Paphiopedilum

Commento di Stefano.
Il mio ibrido di pahio nonostante abbia due getti nuovi non cresce da 4-5 mesi… e le temperature a cui lo tengo si aggirano intorno ai 18-20 gradi.. secondo te puo’ essere questo il motivo? Ho notato che forse pero’ dopo tanto tempo sta facendo una fogliolina nuova dal centro… mi chiedo però se le temperature di casa vadano bene. mah????? grazie ciao ciao

Paphiopedilum gratrixianum (Mast.) Guillaumin 1924 Subgen Paphiopedilum Sec. Paphiopedilum Karasawa & Saito 1982.

Commento di Scatolina.
Ciao Guido, ti scrivo gli ultimi aggiornamenti per quanto concerne i miei due Paphio. Quello malconcio del quale mi hai dato il terriccio per il rinvaso, sta ingiallendo alcune foglie più vecchie, ma la cosa non mi preoccupa troppo perchè in linea generale la pianta non sembra patita, anzi ora con la sistemazione attuale sono sicura si riprenderà (si, lo so forse sono un pò troppo ottimista). In merito all’altra pianta, quella che mi ha regalato tu (approposito, com’è che si chiama? Ho perso la mail col nome)…. Eccolo in foto a sinistra… dopo lo stress del viaggio e la perdita di quel fiore in boccio che aveva, ora sta finalmente dando segni di ripresa sviluppando una foglia giovane. Per ora è tutto, ti terrò informato. Ciao e grazie ancora per il tuo aiuto! Chiara

I Paphiopedilum sono insieme alle phalaenopsis botaniche le specie di orchidee che più amo. Ne ho diverse da un paio di anni. Mi piacerebbe avere qualche consiglio per vederli fioriti un po’ più spesso. Ne esistono di profumati? La forma del labello ha una sua funzione specifica? Che differenza esiste in sostanza tra i paphiopedilum ed i phragmipedium visto che si somigliano così tanto? Che una è monopodiale e l’altra no? Ciao Fabio
E poi ancora: Qual’è la prima specie ad essere stata importata in Europa? Che dimensioni possono raggiungere? Da quale tipo di insetto vengono impollinate? Scusa sai Guido ma se chiedi domande con me sfondi una porta aperta ne ho talmente tante da farti…:) Ciao per ora

Commento di Eleonora.
Ciao Guido, ci risentiamo. A proposito dei Phapiopedilun vorrei sapere se dopo la fioritura, (l’ho preso a Passariano a settembre e penso che la sua fioritura mi delizierà ancora per un mesetto circa, straordinario! é un ibrido chamberlanianum) posso tenerlo in serra calda? Ti anticipo che ho iniziato la mia prima esperienza di serra in miniatura, o meglio sto cercando di simulare l’ambiente della serra calda in un acquario dismesso, con impiego di umidificatore(forse sovradimensionato) filo riscaldatore per terrario, lapillo e corteccia di fondo e ventolina da raffreddamento per computer per ventilare (pensi che sia necessaria anche una ventola aspirante?) Non ti scandalizzare per il mio esperimento, lo so che é difficile creare un ambiente stabile in piccoli spazi ma volevo partire per gradi prima di approdare a una serra di grosse dimensioni, che comportano impegno economico, molta dedizione e soprattutto molto tempo di cui attualmente non dispongo. Dimmi che cosa ne pensi. Ciao Guido e a risentirci a presto.

Commento di Sara
Ciao Guido, ma è vero che i Paphio amano l’acqua leggermente calcarea? devo averlo letto sul libro di Halina Heitz,e mi è sembrata una cosa quanto meno singolare dato che in genere le orchidee mal sopportano il calcare…Sara

Commento di Andrea
Ciao Guido, sono rimasto un po’ “sconvolto” quando ho letto che i paph rotschildianum richiedono temperature da phalaenopsis. ho sempre saputo il contrario. che devo fare? mi interessa perchè ho un rotschildianum hybrid.

Più avanti riprenderemo i discorsi specifici di coltivazione, però, siccome ho già notato del panico in giro per il web, cercherò di focalizzare sin da subito le problematiche sollevate.

Parto dall’obiezione di Andrea: anch’io ho sempre generalizzato sul colore delle foglie verdi, ma la differenziazione colturale in termini di temperatura fra le piante a foglie verdi di piccola e grande stazza, le argomentano i maggiori esperti dell’Associazione Giapponese dei Paphiopedilum e quindi in linea teorica io mi adeguo.
Quando ti parlerò delle mie condizioni di coltura, vedrai che non c’è di che allarmarsi: i Phapio si sanno adeguare.

Sara, l’acqua calcarea per i Phapio va bene (dirò più avanti che nel composto va messo del materiale calcareo) basta non bagnare le foglie perché si macchiano di bianco.

Eleonora, Perfetto! Non mi scandalizzo anzi invito tutti a copiare la tua ingegnosità, frutto ovviamente, anche delle lezioni del corso!!

Fabio, per rispondere alle tue domande bisognerebbe parlare della storia di tutta la sottofamiglia delle Cypripedioideae. Allora, sì ci sono dei Phapio leggermente profumati ma è la forma del labello molto particolare, l’arma di seduzione per gli insetti impollinatori che possono essere api ed
anche colibrì.
Sia i Paphiopedilum sia i Phragmipedium sono entrambi a struttura simpodiale, la differenza più evidente sta nella diversità dei labelli. Le prime piante di Paphio giunte in Europa, mi pare che siano il venustum e l’insigne. I Paphio possono raggiungere anche i settanta cm. D’altezza.

Alberto, Lisa, Cinxia, Scatolina e Stefano, spero che quanto già scritto e quel che seguirà, vi possa essere utile.

Con il prossimo post si parte con la coltivazione:
1- Luce per i Paphiopedilum.
2- Temperatura e umidità, c’è una linea comune?
3- Ventilazione quale garanzia di salute per le piante.

Tecniche pratiche per far crescere bene i Paphiopedilum.
1- Come e quando bagnare le piante.
2- Composti per il rinvaso dei Paphiopedilum.
3- Il giusto periodo del rinvaso.
4- Fertilizzare correttamente.
5- Controllo dei parassiti e delle malattie fungine.

Continua

Conoscere e coltivare i Paphiopedilum 2

Continua il viaggio sul pianeta dei Paphiopedilum

Sono molto felice per l’interesse che sta riscuotendo questo tema, i vostri quesiti serviranno da traccia, via via che cominceremo a trattare i temi specifici della coltivazione.

Collezione Guido De Vidi – foto del 15.11.04 – diritti riservati

Paphiopedilum wardii Summerhayes 1932
Primi passi

I maggiori timori dei neofiti che si accingono alla coltivazione dei Phapiopedilum, derivano soprattutto dalla lentezza con la quale si sviluppa questo genere di orchidee.
Effettivamente i Paphiopedilum si sviluppano lentamente, tuttavia, se possiamo fornirgli condizioni climatiche buone, riusciranno a svilupparsi, anche se non si notano radici nuove in formazione.

Fornire condizioni climatiche buone, significa dar loro, temperatura, umidità e luminosità ideali.
Normalmente, per percepire la regolarità dello sviluppo delle orchidee, basta verificare il buono stato vegetativo del loro apparato radicale, ma con i Phapiopedilum, l’equazione non è sempre funzionante perché appunto, nella loro crescita, s’inseriscono varianti dovute all’andamento stagionale, alla loro particolare caratterizzazione biologica ed al loro bagaglio genealogico.
In certi casi le radici dei Phapiopedilum smettono di crescere anche per un anno intero mentre il ceppo vegetativo prospera regolarmente e non sarà certamente possibile controllare continuamente il substrato per capire la salute delle piante.
Possiamo quindi sostenere, che coltivare Paphiopedilum non è un’impresa difficile basta tenere sempre presente che abbisognano di continue ed amorevoli cure.

Alcuni principianti desiderano avere subito specie rare. A mio avviso non è consigliabile partire con piante costose ed anche difficili da coltivare, per tanti motivi conviene dedicare le prime attenzioni e cure alle povere piante orfanelle, che rimangono invendute nei vari Garden ed in ogni caso, scegliere varietà poco esigenti.

Altro errore da non commettere quando si cominciano a frequentare coltivatori esperti è quello di copiare le loro soluzioni tecniche.
E’ pur vero che le condizioni ideali di coltura vanno percepite con l’occhio, ma nello stesso tempo non si può non tener conto delle inevitabili differenze dei vari ambienti e soprattutto dell’esperienza accumulata dal vostro occasionale maestro che gli consente di interpretare in maniera più spregiudicata l’esigenza colturale delle sue piante.
Detto questo, è fuori dubbio che nelle fasi iniziali del vostro approccio con i Paphiopedilum è assai utile la possibilità di attingere esperienze dal bagaglio dei coltivatori esperti.

Giova però ricordare che non sono né le tecniche né i prodotti chimici magici a risolvere i problemi della crescita delle vostre piante è altresì l’esperienza e la sensibilità accumulate nel tempo a portarvi al successo. Dovete credere nelle vostre possibilità e non farvi prendere dal panico con i primi errori. Gli errori aprono le porte ai successi.

Cominciamo a conoscerli da vicino.
La coltivazione dei Phapiopedilum è talmente popolare nel mondo, che in diversi Paesi – Giappone, Inghilterra, USA ecc – molti collezionisti d’orchidee fanno capo ad attivissime Associazioni monogeneriche esclusivamente dei Paphiopedilum.
Questo racconto non vuole essere un trattato scientifico e quindi nelle sue esposizioni seguirà la via della semplicità e dell’immediatezza. Ciò nonostante, per cogliere appieno l’importanza di questo genere d’orchidee è utile scomodare per qualche istante la sua classificazione tassonomica.

Provenienza: Sottofamiglia Cypripedioideae che include: Cypripedium, Paphiopedilum, Phragmipedium e Selenipedium.

Un breve cenno è d’obbligo alla nostra Cypripedium calceolus ( scarpetta di Venere) anch’essa collocata nella grande Sottofamiglia delle Cypripedoideae: simboleggia l’origine del nome composto Greco.

Nome scientifico: Paphiopedilum Pfitz. Sottofamiglia Cypripedoideae
E’ un’orchidea a sviluppo simpodiale, non possiede pseudobulbi, ma ceppi fogliari posti a ventaglio ed ancorati ad un rizoma basale molto compatto dal quale si snoda un esteso apparato radicale caratterizzato da peluria.
I Paphiopedilum producono un’infiorescenza rigida ed a volte pelosa che può avere uno o più fiori che si aprono nello stesso momento o in sequenza.
La maggior parte delle specie di Paphiopedilum conosciute, vivono nelle pianure asiatiche, alcune si sviluppano in zone elevate: Himalaya.

Le oltre 50 specie oggi conosciute e provenienti dall’India del sud, Nuova Guinea e le Filippine, sostanzialmente si collocano in un certo numero di gruppi basati sui loro requisiti colturali:

Gruppo 1
Vegetazione con foglie verdi a fiore singolo. Le specie e gli ibridi appartenenti a questo gruppo, ad esempio: Paphiopedilum insigne, Paphiopedilum spicerianum, Paphiopedilum leeanum possono essere coltivati con temperature relativamente fresche e quindi molto adatte per i nuovi coltivatori che hanno limitate disponibilità di mezzi e di spazi.

Gruppo 2
Vegetazione con foglie chiazzate e generalmente a fiore singolo. Le specie e gli ibridi che s’identificano in questo gruppo, ad esempio: Paphiopedilum concolor, Paphiopedilum bellatulum e Paphiopedilum Maudiae, necessitano di temperature più elevate (per avere un riferimento ormai in uso, vanno coltivate in ambiente da serra intermedia per le Cattleya).
Nel gruppo delle piante a foglie chiazzate, il Paphiopedilum venustum che in natura vive a quote elevate, richiede la sua brava eccezione e può essere incluso tranquillamente nelle esigenze colturali del primo gruppo.

Gruppo 3
Piante di grande dimensione con foglie verdi e fiori multipli a fioritura simultanea o in successione. Le specie e gli ibridi che rientrano in questo gruppo, ad esempio: Paphiopedilum stonei, Paphiopedilum rothschildianum, richiedono temperature ancora più elevate di quelle appartenti agli altri gruppi.

Paphiopedilum venustum [Wall. ex Sims] Pfitz.

Fortunatamente quindi, guardando le foglie della maggior parte delle piante, possiamo capire facilmente i loro requisiti di temperatura. Ovviamente ci sono sempre le eccezioni, ad esempio per gli ibridi intergenerici evoluti, le distinzioni non sono di coltivazione non sono chiare e nette.

Paphiopedilum rothschildianum (Rchb.f.) Stein, Orchideenbuch 482 (1892). Distribuzione: Borneo (Mt. Kinabalu).

Alcune specie di Paphiopedilum sono epifite, altre semiterricole, la maggior parte però sono terricole e vivono in spessi strati di sedimenti composti da humus, muschio e foglie.
Qualche altra specie di Paphiopedilum si sviluppa anche su sedimenti rocciosi, la maggior parte dei loro habitat è a livelli di umidità abbastanza elevata tutto l’anno.
Con la coltivazione dei Paphiopedilum, assume importanza rilevante l’ossigenazione delle loro radici, poiché, pur richiedendo abbondanza di umidità, il loro substrato non deve essere stagnante e soffocante. Per questo motivo la giusta composizione del substrato di coltura di queste orchidee è essenziale.
Inoltre la mancanza di pseudobulbi, naturali riserve d’acqua per le piante che li possiedono, obbliga al mantenimento di una costante umidità delle piante, durante tutto l’arco dell’anno.
Continua.

Conoscere e coltivare i Paphiopedilum 1

Viaggio a più mani sul pianeta dei Paphiopedilum. Post introduttivo.

Paphiopedilum… tanto amati ed altrettanto desiderati.

Collezione Guido De Vidi foto del 15.11.04-tutti i diritti sono riservati.
Paphiopedilum fairieanum (Lindl.) Stein
Al genere Paphiopedilum, forse appartengono le più affascinanti orchidee asiatiche. La bellezza dei suoi fiori, turgidi e consistenti è quasi sinistra.
Le straordinarie fioriture dei Paphiopedilum, che in alcune specie o ibridi, possono essere ammirate anche tre o quattro mesi, collocano queste piante ai vertici dei desideri degli orchidofili.

Le diverse specie di Paphiopedilum fioriscono in epoche differenti e si possono quindi ammirare i loro fiori tutto l’anno. Una delle qualità apprezzabili di queste piante (fatte salve poche eccezioni) è la loro facilità di coltura.
Gli appassionati d’orchidee che non possiedono una serra possono tranquillamente coltivarne un vaso o due su di un davanzale, o in deliziose oasi domestiche del verde.

Le specie, con qualche eccezione per quelle rare, non sono costose e con pochi Euro è possibile acquistare anni di gioia.
Le 50 o più specie oggi conosciute sono originarie dell’Asia tropicale, Malesia e delle isole vicine. Alcune crescono ad altitudini abbastanza elevate, sulle catene montuose dove cade pioggia abbondante e dove le temperature sono fresche; vivono su strati di vegetazione in decomposizione oppure su sporgenze o in crepacci di rocce calcaree, parzialmente coperte dall’ombra delle pareti sovrastanti o dagli alberi. Altre specie vivono in regioni meno elevate dove le temperature sono più alte.

Questo viaggio tra i segreti dei Phapiopedilum mi piace iniziarlo, a partire proprio dalle vostre domande e perché no anche dalle vostre esperienze.
Pertanto, prima di iniziare il mio racconto, aspetto i vostri quesiti… a presto Guido.

Orchidee in Italia: la storia siamo anche noi

Aspirazioni, idee e fatti che hanno portato l’EOC del 2006 in Italia.

Eravamo nel 94 quando il prof. Franco Bruno, allora segretario dell’AIO (alla presidenza c’era l’austera Sabine), approdò al mio telefono. In quella occasione chiese la disponibilità delle mie piante per allestire lo stand Italiano all’esposizione internazionale “EOC” di Hannover (D) – sai Guido, l’Italia deve cominciare a farsi vedere in Europa -. Devo dire la verità, accettai per spirito di servizio, ma appena deposta la cornetta del telefono fui preso dal panico, non potevo pensare che le mie orchidee fossero state all’altezza di un simile evento. Fu stabilito che il punto più vicino per consegnare le orchidee per l’esposizione fosse Verona (il segretario e la sua aiutante Henrike Berg Panà transitavano da Roma) e mi ricordo che per paura del freddo, era Febbraio, prenotarono anche una camera d’albergo anche per le orchidee.
Insieme alle mie orchidee, se non vado errato, c’erano anche quelle del prof. Alberto Fanfani, poche altre comunque, sicuramente mancavano quelle dei produttori Italiani e questa constatazione mi preoccupò ancor di più. Al mattino seguente la “spedizione” italiana partì alla volta di Hannover. Non accompagnai le mie orchidee in Germania, chissà, forse per timidezza, trovai una scusa per starmene a casa: per la prima volta il mio impegno nella coltivazione delle orchidee sarebbe stato giudicato da una giuria mondiale. All’evento parteciparono alcuni amici dell’ATAO. L’ATAO in quel periodo era una fiorente associazione orchidofila, foriera di iniziative e di esposizioni. Fu quello il tempo in cui nell’associazione si consolidò la scuola di pensiero dell’esposizione per vedere, poi vennero anche le esposizioni per vendere.

L’ATAO E LE SUE ANIME
Allora, segretario organizzativo dell’Associazione Triveneta Amatori Orchidee era Gianmaria, professore d’educazione fisica, uomo di sport ed allenatore di varie formazioni di basket giovanili.
La sua “folgorazione sulla via delle orchidee”, avvenne guardando un gruppetto di orchidee moribonde, consegnatagli in gestione da suo fratello. Era di pomeriggio quando per la prima volta Gianmaria si presentò da me in compagnia di Ivan, futuro collezionista con la “C” maiuscola. Ivan aveva già fatto qualche fugace incursione nella mia serra: ricordo che si presentarono mostrandomi un mucchietto di piantine d’orchidea moribonde. Iniziò così un’amicizia ed un felice periodo di esperienze e progetti. Gianmaria e Ivan iniziarono a costruire una piccola serra fai da te, prendendo come modello le mie soluzioni. I risultati come sempre capita la prima volta non furono esaltanti, più avanti decisero di costruirne una assieme. Riuscirono a mettere in piedi un’ottima collezione.

MOSTRE
L’associazione iniziò a fare proseliti e sul finire degli anni ottanta trovò anche la forza di allestire la prima esposizione pubblica nel chiostro ex limonaia di una villa di Treviso. Seppur molto spartana quella prima esposizione ebbe un successo insperato, sia di pubblico e soprattutto di adesioni all’associazione.
Ebbe successo nonostante non fosse prevista la vendita di orchidee.
L’ATAO era composta totalmente da amatori, peculiarità che la rese diversa ed unica sul panorama orchidofilo italiano, allora costituito da gruppi che per molti versi nascevano e/o gravitavano attorno a commercianti o venditori di orchidee: ad esempio Giorgi, Ravanello ed altri in Liguria, Natali, Corvi in Lombardia e così via.
L’ATAO nacque con la vocazione di rappresentare un territorio, ora conosciuto come nord-est, ma storicamente noto con il nome “tre Venezie – Euganea, Giulia e Tridentina”.
Sin dall’inizio si caratterizzò per un suo radicamento territoriale diffuso, ed anche in ciò segnò una svolta rispetto alle realtà esistenti: cito ad esempio l’ALAO degli anni ottanta, che contava parecchie centinaia di iscritti, ma quasi tutti dell’interland Milanese e Varesotto.
In quel periodo l’ATAO raccolse adesioni da Verona a Trieste: Tiziano di Verona in compagnia di Giorgio e della indimenticabile Emanuela, Padovani e Bellunesi non mancarono.
Treviso fu suo malgrado il centro geografico e non solo. Si organizzarono le bellissime mostre di Villa Franchetti (dove il Foscolo trovò l’ispirazione per le sue famose poesie), della Camera di Commercio e tante altre. Tra gli amici Trevigiani voglio ricordare Antonio Borsato, medico patologo di professione e Toni per gli amici, figura atipica di orchidofilo (non coltiva) che iniziò l’avventura orchidofila insieme a me sin dai primi passi. Un cammino comune che dura ancora con le sue visite in serra, che mi danno sempre l’opportunità di attingere alla sua impareggiabile cultura, una biblioteca vivente.
Dal Veneziano, per la precisione, dal Sandonatese approdarono all’ATAO Davide Rorato professore di Liceo, e l’amletico Antonio Camani -Costruire o non costruire la serra? – costruita finalmente dopo quindici anni. Il Friuli e la Venezia Giulia, già ben presenti con ottime collezioni diedero all’associazione figure importanti quali Enzo cantagalli di Gorizia, Sergio Buda di Udine e Nevio Ogrizovich di Trieste.
Con tutte queste persone si è consolidato nel tempo un sodalizio importantissimo che è andato e va oltre le estemporanee difficoltà di qualsiasi organizzazione della società umana.
Enzo, quand’era Presidente dell’ATAO era solito passare da me prima delle riunioni convocate dal buon Gianmaria ed una Domenica mattina arrivò da me di buon’ora in compagnia di un giovane “neofita” che sin da subito si dimostrò spigliato e loquace, simpatico ed esuberante.
Girando per gli spazi esigui della mia serra si parlò di orchidee, di viaggi e di raccolte ex sito. Fu così che conobbi Stefano Milillo, mini collezionista con una piccola serretta sul terrazzo. Milillo scalò velocemente le cariche importanti dell’associazionismo. Tutto quel che venne dopo ci portò ai giorni attuali con le alterne vicende più o meno note.

Da Hannover, alla vigilia di Ginevra
L’organizzazione dell’E.O.C. del 1994 fu gestita dalla Deutesche Orchideen-Geslellschaft E.V., autorevolmente guidata dal suo Presidente Gerd Rollke ed ebbe quale scenario Bewertungs-Sitzung di Hannover.
L’AIO allestì il suo piccolo stand Italiano e l’evento non fu di poco conto, finalmente una rappresentanza ufficiale del nostro Paese si cimentava con i mostri sacri Europei e Mondiali.
I nostri dirigenti di quel tempo seppero guardare avanti e con una buona dose di coraggio riuscirono anche a presentare qualche pianta ai giudizi internazionali di quella manifestazione orchidologica Europea.
Lo sparuto gruppetto dei nostri rappresentanti dopo aver deciso quali piante iscrivere, cominciò a prepararle e pulirle da eventuali imperfezioni, così come si fa per le grandi occasioni.
I concorsi nelle esposizioni di orchidee internazionali prevedono una valutazione al tavolo della giuria ed un’altra allo stand ed in entrambi i casi sono valutate le particolarità delle piante in concorso e le loro qualità di coltivazione.
Era l’ora di pranzo quando suonò il mio telefono, dall’altra parte del filo sentii la voce di Gianmaria che con un’esclamazione intraducibile e tutta Tevisana mi comunicò che l’Italia e le mie orchidee avevano conquistato un grosso successo. Ricevettero sette medaglie ed altri riconoscimenti li ottenne anche lo stand per la coreografia dell’allestimento, un successo generale.
Tra le simboliche ritualità che questi eventi esprimono, anche in tale circostanza c’è stata la presentazione delle piante meritorie. Il Presidente dell’EOC, richiamando l’attenzione della giuria internazionale, mostrò la mia Laelia lundii e la descrisse con questa frase -…Ammirate bene questa pianta, penso che in Europa non ne esista una migliore, io ne ho vista solamente una in Nuova Zelanda con fiori più grandi -.
Ad evento concluso le piante tornarono in serra dopo qualche giorno abbastanza stressate. Per qualcuna fu l’ultima grande fioritura, la Laelia lundii rimase in crisi parecchi anni, e non fu l’unica pianta a pagare le conseguenze della trasferta.
Finiva così la prima avventura internazionale delle mie orchidee, un po’ di vana gloria, le piante in sofferenza e qualche attestato di merito.
Ad Hannover, lo staff Europeo delle orchidee, si diede appuntamento, nel 1997 a Ginevra-Svizzera.

Il 1997 arrivò presto, troppo presto perché in Italia nel frattempo non successe molto e ci si trovò alla vigilia dell’appuntamento di Ginevra, nonostante l’impegno divulgativo dell’AIO, con pochi segnali di crescita e di collaborazione.
Si seppe che i venditori Italiani sarebbero andati per conto loro, soprattutto per “vendere” e “l’Italietta amatoriale delle orchidee”, dovette partire anche questa volta all’arrembaggio con le piante di qualche collezionista volontario.
In quell’occasione, l’incontro con i Dirigenti AIO per la consegna delle piante ebbe luogo all’uscita del casello autostradale di Modena nord nel mese di aprile del 1997. Oltre alle mie piante, c’era qualche Phalaenopsis di Zelinda, collezionista romana, ma dei produttori e dei venditori italiani anche questa volta neanche l’ombra.

EOC DI GINEVRA
Così, in quel caldo Aprile del 97, l’Italia delle orchidee, quella umile, quella pratica, quella disponibile, arrivò al Palexpo di Ginevra con il suo carico di speranze. Cominciò il lavoro di diplomazia e di allestimento attivati con passione dai nostri rappresentanti.
Quella volta, in compagnia di qualche amico dellìATAO, partecipai anche personalmente e fu molto utile perché potei rendermi conto del suo funzionamento. L’atmosfera di quei giorni fu raccontata con passione, da una cronista sul campo, chiaramente innamorata delle orchidee ed ora segretario dell’ATAO, ecco le sue impressioni:

“Emozioni di un viaggio entusiasmante”
Di Mara De Nardo

Era presto, ancora un po’ buio, quando siamo partiti ancora infreddoliti, ma con l’entusiasmo dei bambini, per raggiungere Ginevra e visitare il Congresso Europeo di orchidologia organizzato dall’European Orchid Congress.
Treviso – Ginevra, chilometri di autostrada abbastanza monotona e piena di traffico che abbiamo passato parlando chiaramente… di orchidee… ma non solo! Arrivati in Val d’Aosta e con il cambiamento del panorama, il nostro interesse è stato preso dal monte Bianco, dal Cervino e da una spruzzata di neve che ci ha accolto in prossimità del confine. Il viaggio è stato tranquillo, il tempo sembrava volare, ma alla frontiera svizzera il pagamento della tassa autostradale valida per un anno, anche per noi gitanti di due giorni, ha innervosito il gruppo, e riservato non pochi insulti al paese caro a Guglielmo Tell.
Finalmente arriviamo all’expo (palazzo delle esposizioni) di Ginevra ed alle agognate orchidee.
I miei occhi da quell’istante e per quasi quarantotto ore non videro che piante, fiori, colori, specie, ibridi, in un turbinio inimmaginabile e frenetico.
Dopo aver pagato dieci franchi svizzeri, sono salita, assieme a Guido, Ermanno e Gianmaria, sulla scala mobile che portava all’ingresso dell’esposizione, ci siamo divisi per cercare lo stand italiano, ma giungevano alla mia vista solo gli stand dell’Olanda, Germania, Danimarca, Nuova Zelanda.
Incrociamo Graziano Marongiu del clan Lecouffle di Parigi, grande è stata la mia sorpresa e credo anche dei miei compagni di viaggio, nell’apprendere che a Ginevra per le piante italiane, non c’era stata fortuna.
La trepidazione in tutti noi è cresciuta, specialmente credo in Guido De Vidi, che aveva mandato le piante in esposizione.
meravigliosa Vanda coerulescens di Guido in bella mostra,… ma ha già il cartellino della giuria per un premio! è stata la mia prima esclamazione!
Grande gioia nel nostro piccolo clan A.T.A.O., pacche sulle spalle di Guido, i complimenti,… poi finalmente ci siamo dedicati all’osservazione dello stand Italia.
In uno spazio angusto, meno di due metri per tre, c’erano quaranta piante italiane, troppo vicine per aver risalto; quello che si vedeva chiaramente erano i cartellini, appoggiati al bordo dello stand che preannunciavano un premio; erano ben otto! tutti sulle piante e del nostro vice Presidente.
Il salone della mostra era così suddiviso: Metà era occupato dagli stands di esposizione, l’altra metà dal mercatino delle piante.
Questa è stata almeno per me, un esperienza incredibile, avrei comperato di tutto, passavo e ripassavo per i bancali di vendita, leggevo e rileggevo i cartellini delle piante, perché essendo ancora una principiante non riuscivo a distinguere a prima vista tutte le piante in esposizione.
Per gli acquisti ho avuto bisogno anche dell’aiuto dei miei compagni di viaggio; ho così arricchito la mia collezione di orchidee ma ho alleggerito il mio portafoglio!
La via del ritorno è risultata brevissima, ma anche se abbiamo sbagliato strada, avevamo molto da raccontarci sulle persone incontrate, sulle piante, sulle medaglie; ritornavamo orgogliosi di essere iscritti all’A.T.A.O.”
Andò proprio così, il furbacchione di Graziano, vecchia conoscenza e grande amico, memore dei fasti Italiani di Hannover, ci accolse con questo simpatico scherzetto.
Il palazzo delle esposizioni di Ginevra era immenso, rumoroso, disorientante e poco consono ad un’esposizione di orchidee: l’aria era oltremodo secca e le piante boccheggiavano.
Ci piazzammo orgogliosi, nei pressi del nostro stand.
Fu in quell’occasione che feci la proposta al Presidente dell’AIO e membro del consiglio dell’ EOC, di perorare la candidatura Italiana per una futura esposizione Europea.
L’edizione del 2000 era già ad appannaggio di Copenaghen-Danimarca, magistralmente rappresentata a Ginevra da uno stand d’eccezione e dagli attivisti, intenti a distribuire materiale divulgativo.
Per il 2003, il congresso di Ginevra, avrebbe confermato la designazione dell’ Inghilterra con esposizione a Londra.
Con queste premesse, non fu facile per il prof. Franco Bruno avanzare richieste di candidatura per la nostra Italia, gli unici bagagli che poté esibire, oltre alla sua capacità diplomatica ed autorevolezza, furono quelle medagliette che intasavano il nostro spazio espositivo.
A riunione finita, il Presidente ci comunicò che il consiglio EOC aveva accettato in linea di massima, di candidare l’Italia. Fu una bella soddisfazione per tutti, e cominciò così la grande corsa al 2006.
Ci demmo appuntamento al 2000 a Copenaghen, e cominciammo a prepararci per conquistare la candidatura definitiva.

DA GINEVRA A COPENAGHEN, 3 ANNI DI SPERANZE.
I risultati di Ginevra, entusiasmarono, l’Italia delle orchidee.

La situazione in giro per l’Italia, dava segnali di perdurante ed inspiegabile distinguo, sia interno sia esterno alle Associazioni, vedi il Lazio e la Lombardia, ma nel frattempo prendeva corpo, la chiara volontà di far crescere la passione per le orchidee.
A quell’epoca, gli ibridi di Phalaenopsis ed altro, costavano una cifra ed i Garden non avevano ancora fiutato l’affare delle esposizioni autogestite, con vendita.
Fatte salve, le esposizioni mitiche di Bologna con L’AERADO, Genova 85, l’EOC Romana del 91 ed il periodo di Corvi e Natali a Varese dei primi anni 90, le orchidee da collezione, rimasero per parecchio tempo, confinate nelle serre dei collezionisti e dei produttori, oppure, nelle varie Fiere del verde, tipo Flormart e Miflor.
Più tardi prese corpo, un certo fermento in Italia centrale, con la mostra di Monteporzio Catone, con la bella e purtroppo unica esposizione all’Università La Tuscia di Viterbo, organizzata in quell’occasione dall’AMOR, in collaborazione con l’AIO, e con l’attività dell’AERADO.
Dopo il 97, il Triveneto, con l’ATAO, avviò una stagione d’iniziative, di contatti e d’esposizioni preparatorie, per unire tutte le forze disponibili a lavorare insieme.
Si espose a Villa Franchetti di Preganziol, alla Camera di Commercio di Treviso: questi sono stati, momenti di grandi progetti con i commercianti Tedeschi, Francesi, Italiani e con le associazioni.
L’AIO in quell’occasione, si riunì più volte per discutere le strategie organizzative future.
L’obbiettivo fondamentale fu l’affinamento dell’informazione, e la ricerca di nuove risorse economiche, attraverso la collaborazione dei commercianti. La prima “tegola” in testa arrivò proprio da loro: respinsero l’invito a sponsorizzare un futuro Bollettino AIO, contenente anche loro spazi pubblicitari, in quanto già in possesso di, specifici canali pubblicitari.
Altra delusione di quel periodo fu la mancanza di collaborazione con un gruppetto Trentino: il suo referente preferì distribuire la sapienza in altre sedi. Pur con questi imprevisti comportamenti, sostanzialmente negatori, l’attività proseguì, e con le forze che ci stettero, s’iniziò la costruzione della proposta organizzativa da presentare a Copenaghen nel 2000.
Ricordo che proposi di candidare Treviso o qualche città limitrofa, quali località ideali, vicine a Venezia, certamente fu una mia battuta, ma nel momento di valutare eventuali siti dove collocare la manifestazione, ci si accorse che per tutta una serie di valutazioni organizzative, le ricerche non potevano discostarsi più di tanto da quell’affermazione.
Si capì subito che nessun commerciante o venditore di orchidee italiano si sarebbe accollato l’onere organizzativo, si capì anche, che l’associazione di riferimento naturale sarebbe stata l’ATAO e che l’AIO avrebbe dovuto trovare i denari per l’evento.
Si costituì così, un comitato informale AIO-ATAO, per le ricerche logistico – organizzative.
Treviso fu subito esclusa per ovvie indisponibilità logistiche e si percorse perciò, la via delle sedi fieristiche locali di settore: Padova e Pordenone.
I contatti con la direzione Fieristica Padovana, furono subito costruttivi e fatti salvi alcuni problemi, purtroppo non ancora risolti, ci si orientò su Padova, e specificatamente in concomitanza del Flormart di primavera.
Il 2000 arrivò e nella riunione AIO di Bologna, si deliberò di presenziare all’EOC di Copenaghen, anche con l’esposizione di piante, e, cosa molto importante, l’AIO stessa assunse in proprio, le spese della loro trasferta.
Quella decisione fu presa per facilitare i collezionisti ed i commercianti anche in termini economici. Partì la campagna informativa presso i produttori ed i commercianti, che vista l’onerosità della trasferta non sarebbero andati comunque, con stand di vendita propri.
La loro adesione, avrebbe potuto ugualmente aiutare la rappresentanza Italiana in un momento importante, a costo zero.
Non andò così, o meglio, l’adesione si risolse con la presenza dei pochi e soliti noti collezionisti, più la dott.sa Franguelli di Padenghe, in rappresentanza dei commercianti.
In ogni modo, l’ATAO, cosciente dell’impegno assuntosi, in stretta collaborazione con l’AIO, si prodigò con tutte le sue forze, per preparare una brochure d’appoggio convincente, da presentare a Copenaghen.
In quell’occasione fu anche presentata un’ipotesi di logo per il 2006, consistente nella foto sopra a sinistra, raffigurante una pianta Equadoregna non ancora classificata, di Stelis sp. fiorita, presente in una collezione Italiana, proprio per dare il segno e magari un nome Italiano. Negli eventi successivi non se ne tenne minimamente conto, peccato.
A Copenaghen mandai diligentemente le mie piante e purtroppo, per gravi problemi famigliari non potei partecipare personalmente, ciò nonostante, allegai alla brochure di presentazione una mia lettera di supporto alla candidatura Italiana indirizzata al Presidente dell’EOC.

Le orchidee, partirono per Copenaghen, eravamo in Aprile del 2000.

COPENAGHEN, SUCCESSO ANNUNCIATO E PRIMI SEGNALI DI INTERFERENZA
In casa ATAO, il vento spira in poppa e si spera vivamente che all’esposizione di Copenaghen, ci sia un buon successo per le aspirazioni Italiane, soprattutto si auspica che la presentazione della nostra candidatura, dia buoni frutti.
Per quanto riguarda le piante, si racconta che il viaggio è stato difficile e che purtroppo qualcuna, sarebbe giunta già in condizioni impresentabili. Dal Triveneto, parte anche una rappresentanza di appassionati, in aereo. Le attese sono appagate ed anche in quest’occasione fioccano tanti premi per l’Italia e in pratica, l’affare è fatto, ormai non ci sono più dubbi, il 2006 è nostro.

Le piante tornano a casa, abbastanza mal conce e la “famosa” Cattleya schilleriana, oggetto di tanta ammirazione in mostra e d’altrettanta pubblicità postuma, insieme a qualche altra pianta, entra profondamente in crisi ed ora, non c’è più.
Rimane solo l’articolo apparso su “D di Repubblica” del 30 Maggio 2000:

“……….Orchidee da Oscar
Hanno vinto sette premi i fiori di un Collezionista di Treviso Non è ricco come William George Spencer Cavendish, duca del Devonshire, che nel secolo scorso aveva raccolto una quantità incredibile di orchidee nell’ardita conservatory in ferro e vetro ideata dal grande Joseph Paxton.
E non è eccentrico come Nero Wolfe, l’investigatore nato dalla fantasia di Rex Stout, che per niente al mondo avrebbe rinunciato alle sue quattro ore giornaliere in compagnia delle adoratissime piante.
Guido De Vidi, titolare della collezione di orchidee più importante d’Italia, è un signore come tanti che ha passato molti anni mettendo a punto impianti telefonici.
Poi ha voltato pagina, e ha deciso di dedicare tutto il suo tempo alla cura di Laelia e Miltonia, Vanda e Cymbidium: un impegno premiato nell’ultima esposizione internazionale di Copenaghen con sette medaglie, più una menzione speciale per il profumo della sua Cattleya schilleriana. Stipate nella piccola serra che si è costruito da solo alle porte di Treviso vivono 4000 qualità di orchidee arrivate da ogni parte del mondo: imponenti epifite con le radici sospese nel vuoto; rarissime Lepanthes, che per vivere si accontentano del sostegno di una pietra umida e coperta di muschio; oppure piante con foglie insolite e inaspettatamente decorative, o con minuscoli fiori di una tenerezza disarmante, diversissimi da quelli così vistosi delle specie più comuni.
E poi gli ibridi di Phalaenopsis, Paphiopedilum e Cymbidiumadatti ai principianti, perché si possono allevare anche sul davanzale della finestra di casa. Per imparare a coltivare queste piante straordinarie ci sono i consigli forniti dalle tante sezioni dell’Associazione Italiana di 0rchidologia. Come quella del Triveneto, che fa capo a De Vidi.
Maria Brambilla……”

E’ la prima volta che racconto questo particolare, a testimonianza dell’impegno e delle incognite che affronta un collezionista dilettante quando mette le sue piante a disposizione delle esposizioni.

Per la designazione ufficiale dell’Italia, bisogna comunque aspettare il 3 Luglio, al consiglio AIO di Londra.

Il consiglio EOC vota con scheda segreta (15 voti favorevoli e 8 contrari) a favore dell’Italia quale paese organizzatore dell’EOC 2006.”

In quel periodo, un notiziario ATAO, pubblica un corsivo del suo Presidente, dal titolo efficace: IL MALE OSCURO.
Sostanzialmente, il corsivo del Presidente, alla luce dei risultati, ottenuti senza collaborazione dei venditori, vuol sottolineare la necessità di un loro serio impegno, anche economico, in aiuto delle associazioni, pena il totale fallimento.
Riportiamo alcuni stralci:
“…..IL MALE OSCURO
L’EOC ha definitivamente designato l’Italia quale paese organizzatore dell’esposizione Europea del 2006.
Quest’importante traguardo lancia un raggio di luce sull’orchidologia Italiana, che d’altro canto mostra in maniera ancora molto evidente i limiti ed i suoi mali oscuri.
Il miglioramento va senza dubbio ascritto alla nascita dell’AIO ed all’impegno organizzativo di Franco Bruno che con caparbietà, passione e disponibilità – oltre a curare con puntigliosa professionalità, CAESIANA, – rappresenta l’orchidologia Italiana nelle sedi internazionali.

ZIBALDONE STORICO
Di là delle poche e note collezioni private Italiane che nella prima parte del ‘900 hanno sostanzialmente costituito una piccola e qualitativa rappresentanza nel mondo delle orchidee, l’associazionismo, a differenza di altri importanti paesi, in Italia non è mai decollato.
Durante gli anni ’60/’70 prendono corpo le prime esperienze organizzate a dimensione nazionale e le collezioni d’orchidee, intese come simbolo esclusivo ed aristocratico, diventano passione per molti, motivo di studio scientifico per altri, ma soprattutto occasione di conoscenza e di scambi culturali e d’esperienze.
E’ questo il periodo del comm. Dalla Rosa, del dott. Cantagalli, di Natali con la sua ALAO, della virtuosa stagione Ligure ed Emiliano Romagnola.
Con queste premesse, se i produttori ed i venditori d’orchidee in Italia, avessero incentivato la crescita del microcosmo amatoriale, oggi ci sarebbe una situazione più florida, se non altro in termini quantitativi. ….omissis…. L’AIO cura e coordina a livello Nazionale la vita delle varie associazioni locali, rappresenta l’Italia nelle assise internazionali e pubblica informazione scientifica e divulgativa per tutti.
purtroppo, anche in questo caso – a parole – plauso e condivisione, ma nei fatti, riserve, supponenze dei mercanti, anzi, ci si trova di fronte ad un’attività divulgativa parallela che ottiene disorientamento fra gli orchidofili Italiani e soprattutto, confusione tra chi si avvicina al mondo delle orchidee per la prima volta.
Alle esposizioni ufficiali di orchidologia internazionali, si nota sempre una colpevole latitanza di molte realtà produttive che in alti paesi fungono altresì da motore per i collezionisti: basta ricordare l’esposizione Europea di Copenaghen, dove l’EOC ha riconosciuto prestigio e dignità al nostro paese.
In quell’occasione, nonostante le spese fossero a carico dell’AIO, a rappresentare l’Italia con piante fiorite oltre a qualche amatore, ha risposto sì, soltanto un professionista.

Considerazioni
Ora il male oscuro che impedisce un deciso radicamento dell’amatorialità anche da noi è senza dubbio una somma di fattori, anche culturali, che trattengono linfa dalla miope politica di quanti a più riprese, perdono ogni occasione per aiutare con azioni concrete la nascita di un mercato che ancora non c’è.
Se non si capisce ciò, si andrà verso una sicura “entropizzazione”, perchè i “mercanti” di turno non troveranno più nessuno da “spremere” e torneranno a coltivare verdure di vario genere.
E’ mia intenzione, che quest’analisi critica, forse un po’ spietata, stimoli un “modus operandi” per far fronte agli impegni futuri ma che, soprattutto faccia rimediare gli errori di tutti e crei le premesse per una crescita generalizzata del nostro bellissimo hobby che in fondo è il motivo pregnante del nostro stare insieme……..”

Questo corsivo, certamente duro, ma un corsivo per sua natura deve essere duro, ottiene l’effetto di galvanizzare i venditori, al punto da convincerli ad assumere in proprio le spese per la “campagna elettorale” a mezzo posta, di una lista bloccata, per il rinnovo del consiglio AIO che sostanzialmente andrà a gestire l’EOC del 2006.
In quella lista, si taglia di brutto, l’impegno quasi esclusivo dell’associazione che dovrà gestire sul luogo, tutta la preparazione al 2006.

2001- 2002, UNA BRUTTA PAGINA PER L’ORCHIDOLOGIA ITALIANA

La tarda primavera del 2001, si caratterizza per la generale sollevazione dei commercianti Italiani di orchidee e di un dirigente locale, contro il corsivo dal titolo “IL MALE OSCURO, uscito sul notiziario ATAO.
Il notiziario incriminato, stampato in 5000 copie e distribuito capillarmente in occasione della seconda edizione di “Pordenone orchidea” (manifestazione che riscontra un grosso successo di pubblico e d’immagine), oltre a divulgare argomenti utili per gli appassionati, espone anche le sue perplessità sulla situazione generale.
E’ la prima grande divulgazione gratuita, di un opuscolo ben articolato, che parla di orchidee, opportunità scaturita dalla proficua collaborazione con un istituto di credito locale e non da sponsor dei commercianti di orchidee. Un notiziario apprezzato dal pubblico e criticato però, da una certa “corporazione” che già si fa notare, così come afferma l’allora segretario ATAO in una sua missiva al Presidente AIO…..omissis..“Ho lavorato con correttezza per l’AIO e sono stato messo alla berlina per aver contribuito a far uscire un notiziario “scandaloso” a detta dei puritani membri di Associazioni, mentre ho ricevuto complimenti per le notizie riguardanti le orchidee dai 4570 che lo hanno letto…”
Il 2001 è anche l’anno del rinnovo della struttura dirigente dell’AIO, che dovrà poi condurre l’Italia, nella gestione dell’esposizione Internazionale EOC del 2006.
Intanto, nel panorama del collezionismo Italiano, cominciano ad emergere giovani figure: un nome per tutti, Paolo Laghi, con le sue stupende miniature esposte alla mostra dell’AERADO di Bologna, che fanno ben sperare per il futuro. L’AIO, nel frattempo, cambia la sua vocazione di coordinamento delle realtà locali e diventa Associazione primaria, vale a dire con facoltà di raccogliere adesioni dirette e non più filtrate e reclutate dalle varie Associazioni locali.
Questo cambiamento, se da un lato democratizza l’AIO e la mette in linea con lo standard dell’associazionismo Italiano, d’altro canto, però, la configura come entità assestante e purtroppo sovrastante, qualsiasi organizzazione locale. Il nuovo assetto, come tutte le novità, presenta difetti e limiti e si presta purtroppo a facili ingerenze.
Nel nord ovest, tutto continua a tacere, almeno sembra: tutti i tentativi di risollevare l’ALAO, frantumatasi in vari spezzoni, risultano vani: sparita anche l’ultima presenza visiva dell’orchidario di Varese, la gloriosa stagione di Nando Natali, si eclissa del tutto. In questa fase di riassetto della dirigenza AIO, i produttori Lombardi, scoprono d’improvviso l’importanza dell’associazionismo, ma usano il loro strumento pubblicitario “Orchidee Made in Italy News” anche per nome e per conto dell’ALAO.
A settembre del 2001, nelle cassette delle lettere dei potenziali acquirenti Italiani d’orchidee, nonché iscritti alle varie associazioni di orchidologia Italiane, arrivano cataloghi, notizie varie ed esplicite sollecitazioni a votare in una certa maniera: mittenti, in forma associata, diversi produttori del nord.
Un mese dopo si eleggeranno i nuovi dirigenti AIO, e casualmente fra le pagine di questi cataloghi, viene inserito l’appello dell’ALAO a votare “bene”…e per bene significa lista bloccata.
Tutto questo può anche andare, peccato che l’appello consiste in una scheda elettorale con tutte sette le espressioni di voto possibili, già scritte. Come dire che il capo di un qualsiasi partito, ti spedisce a casa la scheda compilata, invitandoti a depositarla nell’urna.
I nomi non sono in discussione, potrebbe essere scritto, Mario Rossi su tutti sette gli spazi, è la gravità dell’azione che è sconcertante. Per quale motivo ed in virtù di quali accordi, dei commercianti assumono questa iniziativa, chi vogliono escludere e perché? Come mai questa improvvisa attività mai riscontrata prima?

Nella mia Qualità di Presidente dell’ATAO e quindi al di fuori della mischia in quanto membro di diritto in consiglio AIO, sconcertato da questa grave iniziativa , invio una lettera di protesta al Presidente AIO.
Il tenore della risposta del Presidente, congela i miei sentimenti di stima nei suoi confronti, ed inibisce qualsiasi mia replica, non quella del segretario ATAO che, qualche mese più tardi, in una sua missiva al Presidente AIO, fra l’altro afferma…..

“Mi sono chiesto, a che pro essere “lapidati” da chi rappresenta poche persone, oserei dire “quattro gatti” , quando anche tutto il movimento AIO è ancora nessuno, quando le associazioni spariscono invece che crescere, a che pro farci la guerra e offendere chi lavora ed esprime opinioni pur discutibili per il miglioramento dell’orchidologia italiana?…..omissis…
Ora voglio tornare a coltivare orchidee, non polemiche, anzi queste mi lasciano molto perplesso non ultima quella con il Presidente ATAO che secondo il mio personalissimo parere poteva avere, da una persona della Tua cultura, una risposta meno aggressiva alla sua voglia di “difendere” la sua Associazione. Purtroppo non è stato così, non hai usato la tua auspicata “visione politica e paziente del problema”, ma aggressività e ribalderia che non ti avevo letto nelle varie lettere di risposta a corrispondenza molto più pesante di quella ricevuta da De Vidi.”

In tutta questa amara sequenza di azioni, la nota molto dolente e decisiva per le mie future scelte associative, è la sostanziale “lavata di mani alla Ponzio Pilato”, del direttivo ATAO, non tanto con riferimento alla mia persona, ma alla figura rappresentativa del suo Presidente: ne prendo atto ed alla fine del mio mandato, manifesto con motivazione la personale indisponibilità a qualsiasi incarico elettivo futuro e poi anche all’adesione associativa.
Da quel momento il mio impegni divulgativi e di coltivazione proseguono con esposizioni, con informazione libera e contatti con tante persone, che, liberamente e senza vincoli d’iscrizione, partecipano con interesse a comuni esperienze.
Intanto, il tempo ed il reciproco rispetto, ristabiliscono la consolidata giovialità dei rapporti, con l’allora Presidente AIO.
L’ATAO, che nonostante tutto, continuo a rispettare, si muove senza la mia ingombrante presenza, e l’Italia della nuova AIO va all’esposizione del 2003 di Londra, senza orchidee e, tenuto soprattutto conto dei trascorsi e di tutte le esperienze positive pregresse, nella sua veste di prossimo Paese ospitante non fa certamente una gran bella figura: questa non è più storia, è quotidianità, con i suoi problemi aperti. Domani si vedrà.

Angraecum distichum Lindley

Collezione Guido De Vidi
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