L’orchidea dedicata a Fulvio Tomizza

È la Capodistria dei Vergerio, del Santorio, del Carli, dell’infanzia del Carpaccio, soggiace alle sagome dei grattacieli, dei capannoni e delle altre attrezzature del maggior porto sloveno, quasi priva di italiani, i quali però hanno pressoché tutti un impiego o un posto di prestigio presso la stazione radio televisiva, i musei, la biblioteca civica, il ginnasio-liceo, e ripetutamente hanno rivestito la carica di sindaco o di parlamentare a Lubiana. Una città satellite si ammassa come una fungaia sul colle San Marco, oltre la strada litoranea, dove un tempo si notavano soltanto una chiesetta votiva contro la peste e il palazzetto di P.A. Quarantotti Gambini.
Come è accaduto per le successive Isola e Pirano, questi centri più vicini a Trieste si erano svuotati nel corso dell’esodo dalla Zona B e sono stati ripopolati sia da gente dell’entroterra sloveno che ha migliorato la propria posizione sociale, sia da funzionari e imprenditori lubianesi con casa al mare. Né gli uni né gli altri riescono tuttora a intonarsi con le piazze e le calli venete, a tutto vantaggio dei pochi rimasti, anche di estrazione popolare, che si danno ritrovo nelle sedi delle comunità italiane, a Pirano nella casa natale di Giuseppe Tartini. Ora che i confini sono diventati sicuri, il governo di Lubiana non trascura di tutelare e perfino accentuare quanto di notevole e di glorioso ha ricevuto in consegna dolorosa e perpetua. Restauri, concerti tartiniani a Pirano con Uto Ughi e i Solisti Veneti nella chiesa di San Giorgio, alla presenza del capo dello Stato Kucan, uomo mite e tempista a cui la Slovenia deve lo strappo quasi incruento da Belgrado, il quale all’ombra del grande musicista italiano riceve il nostro presidente Scalfaro. La minoranza italiana funge da mediatrice e ne va fiera perché in tal modo preme sul riconoscimento dei propri diritti e dimostra agli esuli istriani che l’italianità del territorio perduto sopravvive grazie a essa.
Vale la pena soffermarsi sull’ostile rapporto, da ultimo un po’ migliorato, tra istriani di lingua italiana rimasti e istriani in esilio. Questi ultimi accusano i primi di non aver preso parte alla muta dimostrazione dei due esodi perché schieratisi con l’occupatore. Il rinfaccio è in parte legittimo. Gli istriani saliti a incarichi rappresentativi nell’Istria spopolata e gradualmente ripopolata da genti di tutte le repubbliche federali erano di ideologia comunista, provenivano dagli ambienti operai di cittadine quali Isola, Rovigno, Pola, Albona e Fiume, dotate di piccole e medie industrie; avevano pagato sotto il fascismo la loro militanza politica e preso parte alla Resistenza jugoslava (nella zona non c’era altra che contasse); finita la guerra partigiana, al ritorno dell’Italia preferirono un avvenire socialista sotto altra bandiera.

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