Troppo grande e inamovibile, questa splendida pianta… ecco a voi la faccia conosciuta della “LUNA”,l’altra metà si potrà vedere salendo sull’astronave “LEGO” – regalo dei nonni – di mio nipote Leonardo, che sabato scorso ha compiuto 5 anni!
Una bellissima giornata con tutta la famiglia greco/italiana riunita a far festa in Germania con figli nipoti e nonni. Fuori nevicava e faceva freddino, mentre la gioia, scivolava dolce dentro di noi: grazie Leonardo, grazie Alessandro, grazie, Lydia, grazie Konstantina, grazie Daniel, grazie Rosetta, grazie Dimitra e grazie anche a chi ci guardava dal cielo, un giorno così vale una vita intera; alla prossima!
Il genere Nella foto si può ammirare uno stupendo esemplare di Dracula severa, presente da anni nella collezione “Rio Parnasso”.
L’angoscia che si prova guardando i fiori assomiglianti a pipistrelli notturni ci fa comprendere come mai Luer scelse questo nome. Il genere Dracula appartiene alla sottotribù delle Pleurothallidinae. E’ stato creato nel 1978 dal dottor Carlyl Luer con la separazione dal genere Masdevallia di alcune specie dai fiori pelosi. Le varie specie di Dracula sono simili alle Masdevallia, ma si differenziano per alcuni aspetti della struttura delle foglie, e nei fiori. Le prime piante di Dracula – allora classificate nel genere Masdevallia – sono state trovate nel 1870, soprattutto nelle foreste pluviali di Colombia, Ecuador e Perù. Ora ci sono oltre 100 specie riconosciute.
Il genere
Il genere è stato chiamato Dracula per l’aspetto di ‘piccolo drago’ dei fiori, e per i suoi luoghi di endemicità: boschi ombrosi e umidi.
Le parti più importanti del fiore sono i tre sepali. Questi possono essere fusi alla base e con lunghe code alle estremità. I sepali sono spesso coperti di peli densi, di protuberanze acuminate o verruche. A fianco della colonna ci sono due piccoli petali caratterizzati da noduli sulla parte superiore, spesso di colore scuro, tanto da dare l’impressione degli occhi del piccolo drago. Il labello ha due sezioni di varie dimensioni, l’ipochilo al centro del fiore, e l’epichilo nella parte esterna. Il labello è spesso profondamente solcato e l’epichilo può essere grande e arricciato, sia verso l’alto come una barca, oppure a semicerchio. In alcune specie, il labello è mobile, essendo dotato di una cerniera poco vicino alla colonna.
I colori vanno dal bianco con sfumature di gialle, rosa, rosso sangue, al marrone scuro – quasi nero. Di solito questi colori sono presenti in una combinazione di ombre, macchie, punti, verruche o striature.
La specie Dracula Severa (Rchb.f.) Luer
Dal latino Severus, “dura, tagliente”, riferendosi alla pubertà che nasce da punti invece di verruche.
Sottogenere: Dracula
Sezione: Dracula
Sottosezione: Dracula
Vive nella Cordigliera occidentale di Antioquia, Colombia, 1.600 m a 2.000 m
E’ un parente stretto di Dracula chimera, il fiore è bianco crema, fortemente macchiato marrone rossiccio. I sepali sono caratterizzati da lunghe code scure e da estesa peluria anche al loro interno formatasi su punti scuri e pungenti e non su verruche. Un’altra caratteristica condivisa unicamente con D. chimera è il suo labello fisso, immobile, piccolo, e a forma di barca. Dracula severa è endemica nella Cordigliera occidentale di Antioquia (Colombia) ad altezze di 1600 – 2000 metri.
Orchidea epifita di piccole dimensioni, desidera temperature fresche, buona umidità ambientale e luce soffusa. Si sviluppa in forma simpodiale producendo foglie conduplicate e petiolate che escono da foderi basali cresciuti lungo un rizoma orizzontale.
Gli steli fiorali si formano in progressione alla base delle nuove vegetazioni, escono attraverso il substrato e si allungano con struttura coriacea per circa 30-40 cm. All’apice degli steli fiorali si formano singoli fiori molto vistosi e di grande dimensione. Il colore dei fiori è ocra-carneo con numerose maculature scure dotate di punti coriacei (verruche) e pubescenti.
Il periodo di fioritura va dalla tarda primavera e, poiché gli steli fiorali si sviluppano in progressione temporale, essa si protrae per molti giorni. Ad onor del vero i fiori completamente aperti durano molto poco (da cui il sinonimo chimaera) ed inoltre sono molto sensibili alla luce ed al secco eccessivo, al punto che solamente portando fuori la pianta dalla serra, si assiste alla repentina chiusura dei fiori: vedi la prima foto in alto a sinistra.
Coltivazione:
Si consiglia di coltivare questa specie, in cestini retinati con substrato per la metà inferiore con bark e per la parte superiore che racchiude le radici, con sfagno o di miscela di torba e bark sminuzzato.
Sporadiche fertilizzazioni bilanciate, umidità elevata, temperature fresche, clima ventilato e luce ovattata da cercarsi nelle parti basse della serra.
E tu vallo a dire ai tuoi nipoti – quando ti chiedono, nonno raccontami una storia – che ai nostri tempi da bambini si andava a fare la “popò e la pipì” nel “cesso” vicino alla concimaia del letame, fuori al freddo, stando attenti a mirare il buco che dava nella vasca per la raccolta dei “liquidi reflui, e spesso senza porta, a proposito della privacy – si direbbe adesso. Sì perché, quando Leonardo, il più grande dei miei tre nipoti mi chiede: – “dai nonno raccontami una storia” – dopo aver catturato la sua attenzione, inizio sempre il racconto di fantasia con questa premessa: – “sai Leonardo, una volta eravamo molto poveri, non avevamo tutti quei giocattoli che avete voi adesso”.
Poi faccio una pausa strategica per verificare il gradimento e subito mio nipote interviene –“dai nonno, ancora” – ed allora capisco che l’atmosfera fantastica è stata creata. “Vedi Leonardo” – continuo – “ai nostri tempi non c’era la televisione” –“non c’era la televisionee!” interviene stupito Leonardo – “e non c’era nemmeno peppa – pig, ai miei tempi c’erano i maiali che abitavano nelle loro casetta in legno, vicino a quella delle galline e delle mucche” – preciso – “Davverooo” – ribatte Leonardo – “Ma cosa ci facevano tutti quegli animali nella tua casa!” – esclama!.
Rifletto un attimo e subito capisco di essermi ficcato in un vicolo cieco: e tu vallo a dire che i salami, le salsicce, il prosciutto ed anche un buon dolce (almeno per noi bimbi di 60-70 fa, si facevano e si fanno con il maiale, e che le galline servivano e servono per preparare i buoni brodini e gli arrosti per nutrirci.
Il “politically correct terms” mi impedisce di andare oltre, mi sento addosso le ire funeste dei vegetariani, dei vegani, e di tutti gli esperti in pedagogia contemporanea.
Devo virare nel discorso, sperando di riuscirci, ed allora mi rifugio nel mio pezzo forte: LA CASA DEL LAGO BLU, che poi, siccome una sola storia non basta, la rimodulo per tutti i colori: lago verde, lago rosso, lago marrone ecc, cercando sempre un filo conduttore.
Per portare la fantasia di Leonardo nel nuovo racconto, riparto dalla povertà dei nostri tempi, esclusa l’allora abbondanza dell’acqua pura dei nostri ruscelli. “Vedi Leonardo, quando ero bambino, i miei genitori e i miei nonni avevano due mucche”:“Due mucche!” – esclama divertito -“Sì,” – continuo io – “e ogni mattina e sera le accompagnavo a bere l’acqua del Rio Parnasso, là, vedi?” E con l’indice della mano indico il ” passo” ancora esistente. Lui guarda incuriosito ed io capisco di averlo in “pugno”; ora posso iniziare la favola del lago blu. “Leonardo, tu sai che l’acqua che scorre lungo il Rio, va a finire in un grande lago, dove c’è un bellissimo castello abitato dal conte Ulisse. Però in quel paese dal grande lago c’è un problema da risolvere: ogni mattina l’acqua del lago diventa sempre di colore blu”… il resto fatevelo racconare da mio nipote, questa storia l’ha ascoltata tantissime volte e sono convinto che ormai se la ricorda a memoria.
Novembre 2015, addì 18 per la precisione, una giornata umida e triste. – “Ma guarda un po’” – ecco che rivivo come nel film “Ritorno al futuro”, complice un vecchio bollettino della ATAO, vicende orchidofile dei primi anni 90. Le pagine ingiallite di quella pubblicazione portano la data – Gennaio-Aprile 1994 – mamma mia, siamo vecchi caro Gianmaria. Sì perché quel bollettino, uscito fuori dalle scartoffie riordinando la mia casetta in legno, facente funzioni di magazzino, era edito a cura di Gianmaria Conte, già allora attivo animatore della giovane ATAO.
Laelia lundii ‘ROSETTA’ SM/EOC Hannover 1994. – SM/EOC Padova 2006.
La foto è stata fatta nel 2014 e mostra una delle tante divisioni, ormai presenti in varie collezioni italiane e straniere. DIARIO DI UN TRIONFO
L’ho letto tutto d’un fiato quel resoconto. Mentre leggevo, nella mia mente rullava possente il tamburo della memoria, delle nostre aspirazioni, e del nostro impegno speso nel mondo associativo delle orchidee; purtroppo suonavano sinistri tanti comportamenti ingrati dei giorni nostri.
Come nel film, la scena scorreva veloce e il set cambiava i tempi e i personaggi. L’orgoglio di rappresentare quella giovane Associazione nel mondo dell’orchidofilia internazionale, che allora si mescolava alla nostra ingenuità e timidezza, trovò sicuramente linfa in quei successi insperati.
Ora noi due non siamo più iscritti a quell’Associazione e ci vien fin troppo facile osservare che l’ATAO vista allora era avanguardia, ora, purtroppo è retroguardia. Vedi Gianmaria, non mi va nemmeno poi tanto, di fare la parte del vecchio brontolone che ad ogni piè sospinto tuona -” Eee, quando c’eravamo noi le cose andavano meglio!” – , ma se per un attimo, sempre nel gioco del tempo, torniamo alla atmosfera dipinta nel tuo bollettino, vediamo che allora c’erano programmi, obiettivi e traguardi da raggiungere; non aleggiavano giochetti strani. Purtroppo a distanza di anni ci troviamo al punto di partenza; la riunione di Schio ne è la testimonianza, con i ragazzotti toscani, che scoprono l’acqua calda e se la tengono per loro soli, però. Mi riferisco ai “fatti (eufemismo)” di Lucca, di Schio e non da ultimo quello che si è visto a Firenze: atmosfera compassata in pubblico e fortemente avvelenata nei commenti verbali e sui social, del tipo: “poco educato” – “gli brucia” – “sua signoria”. Così si va a sbattere.
Aria pura
Caro Gianmaria, nel tuo articolo si respirava a pieni polmoni il desiderio di veder crescere una Associazione orchidofila che fosse di guida per tutti gli appassionati italiani e in quell’ottica, anche successivamente, ci spendemmo molto, noi di quell’ATAO.
Raccoglievamo iscrizioni all’AIO, non per toglierla a qualcuno o per controllarla, semplicemente per renderla forte a livello internazionale.
Quello che è ora l’AIO, non lo so nemmeno io, certamente non un’associazione rappresentativa, sia in termini numerici, sia per incisività ed autorità scientifica, e a distanza di anni non è un buon segnale.
Quando racconti della tua meraviglia per i “quasi 90 giudici che osservavano le piante in giudizio”, non posso non andare con la mente ai giudizi contemporanei in casa italiana e non vado oltre.
Allora non c’era ancora internet ed il bollettino ciclostilato era un valido strumento divulgativo e, grazie alla tua riconosciuta capacità didattica, quello che con puntigliosa caparbietà divulgavi era anche esaustivo.
Ora ci sono mille modi per condividere la nostra passione: siti internet, blog, forum, pagine e gruppi sui social: L’AIO che dovrebbe essere la punta di diamante, in termini divulgativi, scientifici, interattivi e didattici, arranca con fatica in maniera algida e disarmante.
Io le scrivo queste sensazioni, sapendo di attirarmi ire funeste, poco importa – nulla chiedevo allora e nulla cerco ora – ma il malessere aleggia ed è pensiero comune – qualora ci sia la voglia e la forza – di azzerare tutto e ripartire.
Il viaggio nel tempo è finito, sono già ritornato al 18 Novembre 2015 e sono davanti al computer a raccontare, come sempre, le mie emozioni. Possono piacere oppure no, ma queste sono; prendetele, buttatele, snobbatele, va sempre bene e se sono così odiose da urtare la vostra serenità, commentatelo qua pubblicamente : Paroe in recia no val ‘na tecia.
Foto in evidenza: Maxillaria sp. collezione rio Parnasso
Meliora sunt vulnera diligentis, quam fraudulenta oscula odientis. “Sono migliori le ferite da chi ama, che i falsi baci di chi odia”. (Antico Testam. Prov. 27,6).
Un vero rapporto di amicizia, fatto anche di discussioni animate, vale mille rapporti in cui l’amicizia è solo di facciata.
Ma guarda un po’ dove ti porta un’orchidea. Ho semplicemente cercato di approfondire la correttezza tassonomica di un nome di specie, e mi son trovato a incrociare personaggi e storie, senza per altro raggiungere la certezza di aver trovato il giusto nome alla mia profumatissima “Maxillaria bianca”.
Una storia che merita di essere raccontata. Non aspettatevi una recensione scientifica e lasciatemi ondivagare fra il sacro ed il profano, così come si usa fare quando ci si inoltra immeritatamente nei “campi” dei dotti e dei tassonomi.
La storia inizia nel mese di novembre del 2001.
Sono a passeggiare fra i sentieri della serra delle orchidee e ad un certo momento, un’aroma intenso, fresco come gli odori dei prati coperti di rugiada, quasi a far sentire il sapore delle mandorle, mi avvolge e attira la mia attenzione. Eccola, è questa, esclamo stupito per quei fiori bianchi, delicati e leggiadri, che all’improvviso si materializzano davanti ai miei occhi. Era la prima fioritura di una piccola orchidea, ma non riuscivo a ricordare la sua provenienza. Come si usa fare quando la memoria ti tradisce, guardo il cartellino, una piccola eticchetta con su scritto nome di genere Maxillaria, seguito da un altro epiteto leggibile a fatica, che allora interpretai come “tiaraensis”.
Cercai, ma trovai poco su internet, quasi nulla se non questi dati: Maxillaria tiaraensis Carnevali & G.A.Romero in G.A.Romero & G.Carnevali, Orchids Venezuela, ed. 2: 1140 (2001).
Nessuna fotografia, e nella bibliografia consultabile, niente descrizioni di riferimento. Tanto erano affascinanti quei delicati fiori bianchi, quanto misteriosi e nemmeno il quiz apparso su orchids.it riuscì a risolvere l’enigma.
Analizzando le foto disponibili su internet, le specie che potevano confondersi con l’orchidea misteriosa scovata in serra, erano: Maxillaria splendens, oppure Maxillaria ocroleuca, ed anche Maxillaria confusa.
Già il nome di quest’ultima specie è tutto un programma, ma in definitiva, mancando una foto di comparazione con la fantomatica “Maxillaria tiaraensis,”tutto rimase in sospeso… forse mi piaceva quel nome e quello che evocava: probabilmente il nome di specie “tiaraensis” fa riferimento al suo luogo di endemicità “TIARA Venezuela”.Ma la scienza tassonomica non va dove ti porta il cuore, esige dati certi e verificati.
Nel novembre del 2013, riproposi il quesito con questo post e in quell’occasione giunse un aiuto, che subito non presi in considerazione ed anche allora la “dama bianca” rimase nel limbo della tassonomia.
Mostra di Treviso
Ed è così che arriviamo ai giorni nostri e precisamente al 6 di novembre 2015 in occasione della preparazione della mostra orchidofila di Treviso. La fase di cernita delle piante da portare in esposizione è sempre caotica e faticosa. E’ mio costume tirar fuori dalla serra tutte le piante in fiore, ed eccola lei, bella fiorita, per la verità non del tutto, ma già carica di fiori aperti, tanto da guadagnarsi il suo bel posticino nel set espositivo.
I premi
Il programma della mostra prevedeva anche il giudizio AIO al tavolo. Nelle esposizioni orchidofile è a pagamento e su presentazione – al tavolo per l’appunto – delle piante da mettere a giudizio.
Senza avere in mente tutta la storia della bella Maxillaria bianca, la presentai per il giudizio: era così bella ai miei occhi che non pensai alle sue incertezze tassonomiche. Ricevette anche un premio, ma il dubbio sulla sua genealogia aleggiava nell’aria, e rimase anche a mostra terminata.
Povera lei, il premio se l’è meritato tutto, ma quel tarlo non risolto del nome, mi consigliò di riprendere le ricerche e di chiedere ai giudici di togliere la pianta dalla lista dei premi, in attesa di trovare la sua giusta sistemazione tassonomica.
Le nuove ricerche
Ripresi in esame la “pista” venezuelana di Tiara, che si dimostrò subito non foriera di risposte: non ci sono foto e quindi la abbandonai definitivamente.
Rifeci la comparazione con M. confusa, M. splendens, M. ocroleuca ed altre similari, ma il colore pallido del labello dei fiori della mia pianta, le mise subito fuori del gioco. Ed è a questo punto che presi in considerazione il link che Alberto Grossi mi indicò quella volta nel 2013.
Eric A. Christenson
Siamo nel mese di Maggio del 2010 quando Eric Christenson nella sua ultima visita alla serra di Patricia A. Harding, Michael McIllmurray, ebbe modo di osservare una Maxillaria fiorita, a suo avviso da considerarsi nuova specie.
Il personaggio
Alston Eric Christenson nasce nel 1956 a Westport (Connecticut) e muore nel mese di aprile del 2011. E’ stato un botanico specializzato nello studio e nella coltivazione delle orchidee. Nel 1986 ottiene il dottorato in Filosofia all’Università del Connecticut, discutendo la tesi dal titolo “Una revisione tassonomica del genere Aerides Lour.
E’ opinione diffusa che Eric Christenson avesse una super memoria, dote che gli consentiva di poter relazionare su fatti ed eventi, senza bisogno di consultazioni.
Questa sua capacità di classificare, e di ricordare ha aiutato Christenson a diventare un botanico di fama mondiale: a lui vanno ascritte le prime descrizioni di centinaia di nuove specie di fiori, in particolare orchidee.
Christenson è morto nella sua casa di Bradenton per cause sconosciute. Aveva 57 anni e soffriva di diabete.
Era già una delle autorità più importanti sulle orchidee, ma la sua notorietà è aumentata a dismisura dopo la famosa disputa con gli scienziati del Marie Selby Botanical Gardens nel 2002.
Christenson e Selby erano entrambi in corsa per diventare il primo a descrivere una nuova specie, considerata il “Santo Graal” del mondo delle orchidee: il famoso Phragmipedium peruviano dai fiori colore pesca e-viola. La storia è nota e a distanza di anni, i fatti di allora suonano come cose andate: entrambi i protagonisti sono morti.
“Egli era ben conosciuto prima di allora, ma l’incidente “kovachii” lo ha reso famoso in tutto il mondo”, ha detto Marni Turkel, un coltivatore di orchidee dalla California e suo amico di lunga data.
Christenson non ha mai perdonato i funzionari Selby, e denunciava pubblicamente il loro comportamento. A onor del vero va anche rilevato che la sua riluttanza a perdonare e dimenticare, faceva parte del suo carattere e della sua continua ansia a denominare nuovi fiori: “Il carattere dell’uomo è il suo demone”. (Eraclito)
Questo suo carattere lo ha reso abbastanza solo negli ultimi anni della sua vita.
“Come tassonomista, era favoloso, assolutamente brillante”, ha detto Turkel. .. “Ma lui non ammetteva mai di sbagliare… il suo demone, per l’appunto.
Ed è in questo quadro che prende sostanza l’ipotesi che la descrizione di Christenson, fatta prendendo in esame la Maxillaria dei signori Patricia A. Harding, Michael McIllmurray, per molti aspetti può risultare utile per confrontare le caratteristiche morfologiche della bella Maxillaria bianca, reduce dalla mostra di Treviso.
La descrizione appare su Orchideen Journal del 18 settembre 2012, a cura della “Vereinigung Deutscher Orchideenfreunde”.
Christenson descrive una nuova specie di Maxillaria – quella che ha avuto in esame nella serra di cui sopra – e la denomina: Maxillaria fraudulenta.
Anche in questo caso, il nome assegnato da Christenson alla nuova specie è tutto un programma: lui motiva l’epiteto latino “fraudulenta”, per evidenziare la propensione della stessa a mascherarsi rispetto alle altre sorelle similari.
Testo integrale “A new species of Maxillaria (Orchidaceae) from Ecuador and Peru
Eric A. Christenson †
Abstract: Maxillaria fraudulenta, a new species from Ecuador and Peru is described.
Key Words: Maxillaria fraudulenta, Orchidaceae, Ecuador, Peru.
Published: 18.09.2012; 22:00h (MEZ) OrchideenJournal ISSN Number 1864-9459
A beautiful white-flowered species of Maxillaria from Ecuador and northern Peru has been consistently misidentified as M. confusa Ames & C. Schweinf., M. grayi Dods., and M. jucunda Lehm. & Kraenzl. It is described here as a new species, M. fraudulenta Christenson. In addition to distinct floral features, M. fraudulenta is immediately sepaated from those species by its very different, short-petiolate leaves. Maxillaria fraudulenta Christenson, spec. nov.
TYPE: ECUADOR. Commercially exported without locality data, flowered in cultivation in England, M. McIllmurray E-29 (holotype: K).
Species haec Maxillaria grayi Dods. similis sed brevipetiolaris, sepalis lateralibus nondecurvatis in medio differt.
Caespitose epiphytes or terrestrials. Pseudobulbs ovoid-ellipsoid, compressed, 4.5 x 2.7 cm, with an additional neck 2.5 x 0.7 cm, subtended by 1-2 foliaceous bracts, the bracts subsimilar to but smaller than the leaves. Leaves one, elliptic, petiolate, acute, the petioles strongly bilaterally compressed, 5-6 cm long, the blades 29-30.5 x 5.7 cm. Inflorescences a flush of several erect scapes produced from mature pseudobulbs with the onset of new growth, the peduncles 5.8-9.5 cm long, the floral bracts elliptic, acute, subequal to slightly longer than the ovaries, to 2.2 cm long. Flowers fragrant (“strong grassy scent” according to McIllmurray), white, the junction of the column foot and lip pale orange, the lip pale lemon yellow. Dorsal sepal oblong-elliptic, obtuse, arching, with revolute lateral margins, keeled at the apex, 2.4-2.9 x 0.6-1 cm, the lateral sepals oblong-ovate, obtuse, strongly divergent, spreading, with revolute lateral margins, 2.5-2.9 x 1-1.1 cm. Petals obliquely lanceolate, acute, inflexed, 2-2.5 x 0.6 cm. Lip unlobed, ovate, obtuse, arching, 1.7 x 0.8 cm, the disk covered with pale lemon yellow farinaceous trichomes, the callus ligulate, obtuse-rounded, shallowly sulcate, from the base of the lip to slightly above the middle. Column arching, 1.1 cm long, the clinandrium minutely irregular, the column foot 0.8 cm long. Pedicel and ovary 6-sulcate, 1.7 cm long.
Etymology: From the Latin fraudulent, referring to its masquerading as different species in botany and horticulture.
Paratypes: ECUADOR: Napo, km 15, Cotundo to Hollin, 1100 m, 17 June 1983, C. H. Dodson et al. 14013, SEL; Pastaza, 2.5 km N of Mera on the Banos-Puya road, Hacienda San Antonío Baron von Humboldt, 1050-1300 m, 14 Mar 1985, C. H. Dodson & L. M. Bermeo 15680, MO! 1 Maxillaria fraudulenta was first illustrated by Dodson and Dodson (1989) as M. jucunda Lehm. & Kraenzl. It is clearly not M. jucunda (TYPE: ECUADOR. Near Cuchibamba, Andes east of Cuenca, 1000-1050 m, F. C. Lehmann 6554, holotype: B, destroyed; isotypes: K). The petioles of M. fraudulenta are 5-6 cm long in contrast to those of M. jucunda which are 11-12 cm long. In addition, the lip of M. jucunda was described as brown spotted (“fusco-maculatum”) and I have not seen any material of M. fraudulenta with any anthocyanin pigments on the lip. Maxillaria confusa is known from Belize to Colombia. It differs from M. fraudulenta by having cupped flowers with the sepals and petals subparallel, like your fingers when you hold a ball with your fingertips. The lateral sepals of M. confusa have flat margins unlike the characteristically revolute margins seen in M. fraudulenta. The lip of M. confusa is nearly straight and has just a few scattered trichomes unlike the conspicuously arching lip of M. fraudulenta covered with lemon yellow farinaceous trichomes. Finally, the undersurface of the lip of M. confusa is variously marked with reddish purple in contrast to the unmarked lip of M. fraudulenta.
Foto : Michael McIllmurray , holder of the British National Plant Collection of Maxillaria Species. I considered the first few plants of M. fraudulenta I examined to be a simple variant of M. grayi, differing mostly in the attitude of the lateral sepals. As more samples became available, however, it became clear that there were other consistent differences. The lateral sepals of M. grayi in addition to twisting above the middle, are held at a downward angle at the point of insertion. In contrast, the lateral sepals of M. fraudulenta are strongly divergent and held at to each other. But more significantly, the petiole3 length separates the species. Maxillaria fraudulenta has petioles 5-6 cm long in contrast to the elongate petioles of M. grayi which range 2
from 14-25 cm long. The type description of M. grayi cites shorter petioles as well but these are from the foliaceous bracts subtending the pseudobulbs and not the true leaves terminating the pseudobulbs.
Finally, M. fraudulenta is also similar to M. dalessandroi Dods. But that species has a very differently shaped flower, a 3-lobed lip, and an emarginated (notched) lip apex.”
Questa pubblicazione non validò subito la nuova specie, si dovrà aspettare il 2013 con la pubblicazione della momografia sulla revisione del Genere Maxillaria.
Osservazioni
Seppur dettagliata, la descrizione di Christenson risolve solo in parte i raffronti morfologici, ad esempio:
1) – nella relazione, quale elemento dirimente si evidenzia la presenza e/o la lunghezza dei piccioli (manici delle foglie) nelle varie specie in esame. In questo caso siamo vicini alla M. fraudolenta (unghezza del picciolo 5 cm.) 2) – Maxillaria confusa si differenzia da M. fraudulenta avendo fiori a coppa con sepali e petali subparalleli, come quando si tiene una palla con la punta delle dita. I sepali laterali di M. confusa hanno margini piatti a differenza dei margini tipicamente revoluti in M. fraudulenta. Il labello di M. confusa è quasi dritto e ha pochi peli sparsi a differenza del labello vistosamente inarcato di M. fraudulenta. Infine, la superficie inferiore del labello di M. confusa è variamente contrassegnato con rosso porpora in contrasto con il labello di M. fraudulenta.
3) – nel raffronto con M. splendens, seppur a prima vista la struttura del fiore sia abbastanza simile – non corrisponde la forma ed il colore del labello, inoltre le foglie non evidenziano la picciolatura.
Conclusione
Con qualche ragionevole dubbio, siamo molto vicini alla Maxillaria di Christenson, ma per il verdetto finale sarà bene attendere una foto della M. tiaraensis.
Nota a margine: consiglio chiunque intenda condividere e copiare il testo di questo post, di attendere alcuni giorni prima di scaricarlo, è mia prassi, rileggere ripetutamente ed eventualmente apportare eventuali correzioni. Normalmente il testo si “assesta” dopo qualche giorno. Grazie e buona lettura.