Lo gradiscono le nostre orchidee e noi coltivatori ci appassioniamo ancor di più.
Gran parte delle tantissime specie d’orchidee conosciute sono epifite e/o litofite e quindi il loro ambiente di vita in sito è caratterizzato da anfratti formatisi su alberi e pendii rocciosi.
E’ l’evoluzione della specie, che ha portato tante piante a cercare condizioni ideali di vita oltre la fascia fertile del suolo terrestre, a volte per cercare più luce ed in altri casi per esporsi meglio alle visite degli insetti impollinatori.
Giunte nelle nostre coltivazioni, le orchidee subiscono notevoli adattamenti ambientali, che cambiano, a volte anche radicalmente, le loro necessità biologiche.
Fortunatamente per loro e per noi, le orchidee sono piante molto duttili e resistenti…forse anche questo particolare va annoverato fra i tanti motivi della loro attrazione fatale.
Coltivare le orchidee epifite nei vasi è un compromesso di comodità
Capita pertanto, che per comodità di coltivazione, specie da sempre vissute sugli alberi delle foreste tropicali si trovino a dover vivere in piccoli vasetti, oppure in grandi contenitori. In ogni caso, il substrato nel quale dimorano le orchidee epifite, anche se collocate in vasi, deve essere molto drenante per consentire alle loro radici di potersi sviluppare comodamente senza essere soffocate da terreni di coltura troppo impregnanti.
Le soluzioni e le miscele dei composti sono tante quanti sono i coltivatori e soprattutto sono strettamente legate alle disponibilità locali. Può essere quindi, che in certe zone geografiche è più in uso la fibra di cocco sminuzzata piuttosto che lo xaxim ed invece in altre località sia più comodo usare corteccia d’abete, carbone, torba e sfagno: ad ogni buon conto tutte le soluzioni devono rispondere alle richieste vitali della pianta in questione ed è per questo, che ogni coltivatore s’inventa alchimista, non sempre con ottimi risultati.
Perchè non far tornare le orchidee sugli alberi, anche in serra?
Nella foto sotto: Cattleya eros ‘coerulea’ (C. mossiae x walkeriana), ibrido creato da Veitch e figli , premiato con AM/RHS nel 1895 – divisione regalo dell’amico Gianni Morello, sistemata su tronchetto di Robina nel 2003 e fiorita per la prima volta in questi giorni.
Questo è il sogno di moltissimi coltivatori d’orchidee ed i risultati sono per certi aspetti molto soddisfacenti:
– La pianta cresce in libertà e si organizza come nei suoi luoghi endemici.
– Non servono i rinvasi periodici.
– Si possono ottenere grandi esemplari.
– La pianta crescendo su se stessa si autocostruisce il substrato colturale, che la rende meno vulnerabile a situazioni critiche.
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