Archivio mensile:Giugno 2015

Masdevallia, rinvaso ed altro: teoria e pratica

Nella grande sottotribù delle Pleurothallidinae il genere Masdevallia è forse il più sensibile alle buone condizioni del substrato di coltura.

Queste orchidee, praticamente senza pseudobulbi (regrediti quasi totalmente per esigenze evolutive), richiedono substrato di coltivazione sempre in ottime condizioni.


Masdevallia herradurae F. Lehm. & Kraenzl. 1898

L’archivio di Orchids.it è ben fornito di notizie riguardanti le Masdevallia, con questo post desidero analizzare sequenzialmente insieme a voi, tutte le fasi del loro rinvaso.

Link
Vuoi provare a coltivarle?
Masdevallia angulata
Misteriose ed affascinanti
Orchidea di Natale
Leggete questi link, poi inizieremo a rinvasare 2 piante con composto deteriorato dall’invasione di chioccioline e dall’eccessiva colonizzazione delle felci.

Premessa
Gran parte delle specie di Masdevallia prosperano con temperature fredde e/o intermedie ad umidità relativa sempre superiore 50-60%.
Analizzando bene le origini endemiche di ogni specie si può rilevare per ognuna la gamma di temperatura ideale.
Alcune sopportano, anzi, richiedono temperature di 8-20 gradi centigradi, altre resistono con meno problemi anche a 20-25 gradi centigradi, ma quando la collezione di Masdevallia raggiunge cifre a 2 zeri diventa assai difficile creare microclimi specifici per singola pianta e quindi si deve pensare alla realizzazione di uno spazio accettabile sia per le piante da freddo che per quelle da clima temperato.
Qualsiasi serra offre angoli freschi e ombreggiati (le parti basse) e con l’ausilio di ventilatori si possono ottenere due buoni risultati:
1 – Raffreddamento per evaporazione.
2 – Movimento dell’aria per ridurre infezioni batteriche e putrefazioni delle foglie da attacchi fungini.
Nel caso in cui si coltivino le Masdevallia fuori serra, valgono le stesse raccomandazioni; ad esempio le temperature fresche possono essere trovate sistemando le piantine sul prato del giardino in zona ombreggiata.

Iniziamo le analisi dei substrati
Stante la struttura morfologica delle Masdevallia (senza organi di riserva) è indispensabile mantenere sempre umido il substrato, incipienti, seppur brevi periodi di secco, oltre a far abortire i germogli dei fiori, stressano la pianta e la rendono successivamente più vulnerabile a qualsiasi agente patogeno.
La costante umidità del substrato, e la ridotta pezzatura dello stesso, accelerano la sua decomposizione e favoriscono la ploriferazione di felci (vedi foto sopra) e chioccioline (vedi perticolare nella foto a sinistra); le prime soffocano le radici e le seconde invece se le mangiano (vedi foto a sinistra).

Il periodo ideale per effettuare i rinvasi delle Masdevallia e più in generale di tutte le Pleurothallidinae è l’autunno o la primavera e, quando possibile, andrebbe effettuato ogni anno.
Nel caso in esame siamo in presenza di due aggravanti:
1 – Ispezione dopo 2 anni dall’ultimo rinvaso.
2 – Periodo di rinvaso al limite della tolleranza.
Purtroppo non è stato possibile intervenire prima (impegni personali e mostre associative), e quindi siamo in emergenza assoluta: bisogna comunque intervenire.

Come per tutte le operazioni di rinvaso, prima di procedere è utile sterilizzare tutti gli attrezzi, forbici, pinze e bisturi.
Altrettanto importante è l’organizzazione del luogo di lavoro: contenitori per il recupero del vecchio composto, del polistirolo non riciclabile e delle parti di piante da eliminare.
La pila di vasi lavati e sterilizzati è pronta, ganci in ferro e sostegni vari sono a portata di mano…possiamo cominciare.

Iniziamo le operazioni

L’ultimo rinvaso di entrambe le piante in esame risale aqualche anno addietro.
Una volta estratte le piantine dai vasi si procede ad una accurata pulizia delle radici, togliendo quanto possibile: felci, composto vecchio, oltre a tutte le parti di radici molli e decomposte.
Questa operazione è resa più facile agendo con uno stecchino fra le radici e percuotendo poi il ceppo con leggeri colpettini delle dita, rilasciare il dito medio precedentemente appoggiato a far molla sul pollice.

Durante le operazioni di pulizia può capitare che l’unico ceppo originario si divida in due o più parti. In tal caso conviene mantenere divise le nuove piantine, così si potranno moltiplicare le piante della propria collezione, o scambiare la pianta in eccesso con qualche amico.

Come sistemare le piante
Alcune specie di Masdevallia vivono bene anche su zattere, sostanzialmente quasi tutte, basta avere l’accortezza di fissarle ai supporti di legno con un pò di sfagno attorno alle radici.
L’aspetto difficile della coltivazione delle Masdevallia su zattere è mantenerle sempre umide e quindi si preferisce la coltivazione in vaso.

Che tipo di substrato usare
Per quanto riguarda il composto del substrato dei vasi, ogni coltivatore ha le sue opinioni, ma gran parte converge su due tipi:
1 – Miscela di corteccia finemente sminuzzata, torba di sfagno, magari anche sfagno vivo o liofilizzato, perlite e/o seramis.
Stabilire il dosaggio delle varie componenti è assai difficile, ad ogni modo il composto deve essere suficentemente vaporoso, e nello stesso tempo deve rimanere prolungatamente umido, quindi possiamo stabilire: 50% corteccia di pino, 30 torba di sfagno, 20% agriperlite e seramis.

2 – Sfagno puro, possibilmente vivo.
Questa soluzione va scelta nel caso di specie a difficile radicamento ed in stato di evidente stress.

Dimensione dei vasi
Le piante di Masdevallia sono di piccole dimensioni e seppur molto facili ad incespire, richiedono vasi di piccola dimensione, raramente si usano vasi che vanno oltre i 10 – 12 cm.di diametro.
Individuare la giusta dimensione è molto importante per far vivere bene la pianta appena rinvasata: il vaso troppo piccolo favorisce le asciugature repentine e altresì, troppo grande, trattiene molta acqua e facilita indesiderate marcesecnze di radici e foglie.
Il vasetto che si vede nella foto a sinistra misura 6 cm. di diametro.

Sistemazione della pianta
Dalla fase di pulitura delle radici al momento del rinvaso è bene aspettare almeno 2 ore con le piante a radice nuda per consentire una veloce asciugatura e cicatrizzazione delle eventuali ferite.
Il composto non va pressato troppo, però deve entrare in tutti i meandri del ceppo radicale senza lasciare vuoti e senza coprire oltre il livello dei rizomi orizzontali.
Si procede con una prima sistemazione, si controlla la giusta postazione della pianta e poi si ultima il rimpinguamento, così come si vede nella foto a sinistra.

Operazioni di finitura
Le 2 piante iniziali sono state opportunamente rinvasate, ma come si può notare sono diventate 4…questo è il problema dei rinvasi, alla fine ti trovi con il doppio delle piante iniziali, ma ce sempre qualche buon’anima interessata ad aumentare la sua collezione.

Ultima operazione da fare prima di riportare le Masdevallia nella loro postazione è la indispensabile scrivere tutti dati tassonomici relativi alla pianta rinvasata.
Non fidatevi mai della vostra memoria, scrivete sempre il nome e cognome di ogni pianta, molte delle mie orchidee, ora sono senza nome proprio perché al momento del rinvaso non l’ho scritto subito sul nuovo cartellino perché mi sentivo sicuro di ricordarlo.

21 Giugno, il giorno più lungo: Festa del sole e della Stanhopea in vicolo Parnasso n°1

Care amiche e cari amici appassionati delle orchidee, ovunque voi siate “accasati”, mia moglie Rosetta e io saremmo felici di avervi ospiti in vicolo Parnasso per vivere insieme la giornata più lunga dell’anno, il 21 Giugno.

022Il pretesto è quello di festeggiare una bella orchidea, la famosa Stanhopea nigroviolacea di villa Albrizzi Franchetti, ma è solo un pretesto per l’appunto (fra l’altro sarà quasi sfiorita), il vero motivo è quello di stare insieme fra amici, a bere un bicchiere di vino, o di buona acqua delle risorgive (per gli astemi) e passeggiare nel mondo fatato di quella vecchia serra di Rio Parnasso, compagna delle mie disavventure e delle mie passioni.
Poi c’è anche la serra piccolina, perfetta e desiderosa di mostrarsi a voi.
Non aspettatevi grandi cose, mi piacerebbe potervi solamente dire: gradirei vivere con voi una giornata orchidofila oltre gli schemi, con tutti, nessuno escluso.

PROGRAMMA
Domenica 21 Giugno, appuntamento da Guido alle ore 10
Quattro ciacole e un buon caffè fra vecchi e nuovi appassionati, tema: Associazioni, recinti o agorà.

* Ore 11 orchidee in estate, dentro o fuori?

* Verso l’ora di pranzo, ristoro e aperitivo del dopo “tuffo nelle serre”.

* Peccati di gola: le leccornie di Rosetta.

* Pomeriggio ad oltranza… la giornata è lunga, la più lunga dell’anno, e per chi non ce la fa c’è anche qualche sofà.

Rosetta e Guido vi aspettano, non ci saranno inviti ad personam o ufficiali: se ci onorerete della vostra visita confermatelo con una mail a info@orchids.it

Festa della Stanhopea, in Vicolo Parnasso n°1

Sì, Stanhopea al singolare perché l’idea era e rimane quella di ritrovarci tutti in “Rio Parnasso” per festeggiare la fioritura della pianta madre della Stanhopea nigroviolacea ‘Isabella’.

018015022016 L’orchidea giunse nella mia collezione una ventina di anni or sono. Fu il giardiniere della Villa Albrizzi-Franchetti, quasi a voler mantenere in vita le esclusività botaniche della Villa, a consegnarmi l’ultimo piccolo ceppo ancora in vita di questa orchidea misteriosa, che curai subito con molta passione: eccola ancora in fiore, l’ultima testimone di forti passioni e di amori andati.
Quest’anno ha avuto troppa fretta, speravo iniziasse a mostrare i suoi fiori verso la fine del mese, ed invece, forse complice l’anticipata calura estiva è già in fiore.

Poco importa, teniamo vivo il pretesto e la FESTA DELLA STANHOPEA si farà ugualmente, tenetevi pronti, l’ultima o forse la penultima domenica di Giugno, a breve pubblicherò, programma e data definitivi.

Coltivata con passione, si è scritto, sì certo con passione amatoriale, quel sottile spartiacque che segna il confine impalpabile dentro il quale vive il dilettante. La mia passione ha contribuito a far vivere e crescere fino a diventare un enorme esemplare quel piccolo “grumo” di pseudobulbi ormai spogli.

Ed è così che l’ultima orchidea di Villa Albrizzi-Franchetti, iniziò a scrivere la sua nuova storia, fatta di piacevoli eventi, di emozioni, di amicizie e di soddisfazioni.
Ci vollero un po’ di anni per vederla in forma, poi, un’estate ricevette la visita di una coppia di capinere e nacque una bella avventura fra loro, una metafora della vita, se vogliamo: i figli nascono, crescono e non appena il loro nido diventa stretto se ne vanno, buona fortuna piccola capinera!

pordenoneorchidea_stanhopea_silvana_1Eravamo già sul finire del mese di maggio del 2009, quando in occasione della mostra di orchidee a Vigonza (PD), nacque l’dea di far dipingere alla pittrice botanica, Silvana Rava (vedi foto a sinistra), quella che sarebbe dovuta diventare la copertina della nuova monografia sulle Stanhopeinae curata da Rudolf Jenny
Presto detto e presto fatto, ma serviva la modella. Chi poteva essere la modella predestinata se non la Stanhopea che stava fiorendo nella mia collezione? Così nacque la “famosa” copertina del libro sulle Stanhopeinae; Famosa fra virgolette perché in quel libro non sono stati citati ne l’autrice del disegno ne la provenienza della pianta dipinta, cest la vie.

Nota: Il cultivar esemplare e le sue divisioni in mio possesso, sono riconoscibili con il nome clonale: Stanhopea nigroviolacea ‘Isabella’ che potrà essere riportato su mia concessione.

Eulophia streptopetala

Da un po’di tempo sono entrate nelle collezioni varie specie di Cypripedium. Fra i collezionisti di orchidee è diventata quasi una mania, o meglio, uno status symbol. Ora la tecnologia della semina asimbiotica si è affinata e qualche produttore propone nei mercati queste orchidee con buon successo. I collezionisti, soprattutto quelli senza serra o, paradossalmente alle prime armi, sono attratti perché questo tipo di coltivazione da loro l’impressione di una certa facilità. Con quali risultati non si sa, non ci sono statistiche.
Comunque, il mondo delle orchidee terricole è affascinante e molto è vasto.
Con questo post conosceremo una specie africana, poco presente nelle collezioni, ma e con fiori molto attraenti: Eulophia streptopetala.

Eulophia streptopetala Lindley 1828
Sinonimi: Lissochilus krebsii Rchb. f. 1847. Eulophia paivaeana, Summerhayes 1953. Lissochilus krebsii Rchb.f 1847. Lissochilus paivaeanus Rchb. f. 1865. Lissochilus streptopetalus, Lindley 1833.

La specie
Specie terricola a sviluppo simpodiale endemica in Africa tropicale, da sud-est a ovest ad altitudini che vanno da 100 a 2500 metri sul livello el mare. Cresce nei boschi e nei prati, in terreni ben drenati, umidi ed esposti ad un po’ di sole filtrato.
Il ceppo vegetativo è strutturato da pseudobulbi a foglia caduca, alti anche più di 7 cm., da foglie che possono arrivare ai 30 cm.di altezza, e da fiori di un colore giallo pallido su steli alti fino a 90 cm.

Gli pseudobulbi sono ben sviluppati e quasi del tutto fuori terra. Le grandi foglie lanceolate sono dotate di nervature e durante la fase della fioritura non sono ancora completamente sviluppate. Le infiorescenze portano molti fiori rivolti verso il basso; sepali giallo-verde con macchie viola sulla parte esterna, più marcate all’interno; petali giallo brillante esternamente e giallo crema internamente. Il labello è giallo con i lobi laterali viola e lo sperone rosso porpora.
In coltivazione la fioritura inizia a tarda primavera e continua per diversi mesi. I fiori sono di circa 2 cm.di diametro.

Pare che nello Swaziland (Sudafrica) questa orchidea sia utilizzata come medicina per non meglio precisate cure delle malattie infantili.

Qualche nota sul genere Eulophia
E’ un genere terrestre, occasionalmente epifita e/o litofita. Una piccola minoranza (ad esempio Eulophia petersii) si è evoluta per sopravvivere in climi desertici.
Lo stelo fiorale si forma lateralmente su un pseudobulbo o dalla base di una protuberanza basale (a volte solo un nodo del rizoma). Foglie e steli fioriti sono su germogli separati; nel genere Eulophia gli pseudobulbi sono una rarità. Le foglie sono quasi sempre plicate e latifoglie. Le infiorescenze nascono dalla base del rizoma o pseudobulbo, a volte a breve distanza dalla nuova vegetazione. Fiori si aprono in successione o sequenzialmente.
I petali quasi uguali ai sepali, nella migliore delle ipotesi un po’ più ampi.

Note storiche
La prima descrizione è stata fatta su una pianta coltivata in South Lambeth, nei pressi di Londra, dove era giunta a William Griffin (appassionato collezionista di piante bulbose) dal dal Capo di Buona Speranza e dalle Indie orientali, insieme ad altri bulbi. A quella pianta è stato assegnato il nome di Griffinia. I riferimenti della vita di William Griffin sono scarsi, nella sua collezione di bulbose, i tuberi di orchidee arrivano quasi per caso, gli interessi vegetali di Griffin erano più a senso lato e spaziavano in tutto il panorama delle bulbose, ma quella pianta fiorita nel 1821 colpì enormemente Robert Brown , un botanico che si recava spesso da Griffin.
Brown non aveva dimesichezza con la tassonomia, gli studi tassonomici erano un ricordo dell’età giovanile e rimase molto perplesso nel descrivere quella bella orchidea fiorita. Egli ravvisò una stretta somiglianza con altre specie del Sud Africa e le indiane (Limodorum e Cymbidium ) e pensò di poter collocare questa specie nel genere Lissochilus , ma osservando nel contempo che sia Cymbidium giganteum SW. 1799 (ora Eulophia speciosa ) e Limodorum virens (ora Eulophia epidendraea)possono essere candidati a far parte di quel genere e suggerendo altresì di costituire ex novo un genere per raccogliere queste specie.

Queste osservazioni furono perfezionate l’anno dopo da Lindley, che costituì il genere Eulophia, nome suggerito dallo stesso Brown, introducendo anche una seconda specie (Eulophia guineensis) come tipo di genere.
Eulophia guineensis proveniente dalla Sierra Leone, fu introdotta nella collezione di George Don.
Lindley, pur notando che il labello non presentava cresta molto prominente, decise comunque di collocarla nel nuovo genere evocato da Brown. Giova ricordare che Eulophia deriva dal greco eu, che significa “bene”, e lephos, che significa “pennacchio” o “cresta “. In tale fase Lindley incluse nel nuovo genere anche Lissochilus speciosum , come Eulophia speciosa. Il vecchio genere Lissochilusfu poi completamente abbandonato.

Coltivazione
Come evidenziato nella presentazione iniziale, il genere Eulophia non è molto presente nelle coltivazioni, forse solamente una decina. Le più ricercate sono Eulophia guineensis,e Eulophia petersii che viene spesso coltivata anche dagli appassionati delle piante succulente. Chissà, il motivo della scarsa presenza nelle collezioni, sarà causato dalla letteratura che le considera specie di difficile coltivazione.
A grandi linee, le Eulophia africane mostrano ampi parallelismi con Disa e sono state collocate in 4 gruppi di coltivazione.
1 – Specie con riposo invernale e periodo estivo piovoso – un grande gruppo che comprende la maggior parte del genere e fa riferimento alle specie endemiche nelle praterie secche – queste piante, nella fase di sviluppo estivo, chiedono luce solare diretta e sarà cura del coltivatore proteggere le radici da indebite bruciature delle radici. Richiedono un periodo di riposo ben preciso dall’autunno alla primavera durante il quale il terreno deve essere mantenuto asciutto le bagnature possono iniziare in primavera appena si formano i nuovi germogli e proseguirà fino nella stagione autunnale quando la pianta lascia cadere le foglie, con la precauzione di concedere una breve asciugatura del composto fra le bagnature. Le temperature durante la dormienza possono scendere fino a 5°C – 10°C mentre nella fase estiva le temperature ideali sono 25° – 30°C diurni e 10°C – 15°C notturni.

2 – Specie endemiche nei prati umidi confinanti con i boschi – la sostanziale differenza con le specie delle praterie secche è la loro necessità di vivere all’ombra e di non lasciare asciugare il composto durante la fase attiva della pianta, per il resto vale quanto scritto sopra.

3 – Specie endemiche nelle foreste – molto meno esigenti delle altre specie e rientrano nello standard medio della coltivazione delle orchidee tropicali. Bagnature regolari senza lasciare asciugare il composto, durante la crescita attiva da primavera all’autunno con temperature da serra intermedia 25°C diurni e 10°C notturni. In inverno sono dormienti come le altre specie del genere.

4 – Specie endemiche in zone con piogge sia estive che invernali – un gruppo molto piccolo di 3 specie: Eulophia aculeata subsp. aculeata, Eulophia litoralis e Eulophia tabularis . In natura queste specie rimangono con la base umida anche durante il periodo della dormienza invernale. In coltivazione è bene porre molta attenzione per evitare marcescenze, si consiglia di tenere il substrato (non asciutto, non bagnato) e di adottare le linee guida del gruppo endemico nelle praterie umide.

Le specie asiatiche ed americane di Eulophia sono più facili da coltivare perché rientrano nei cannoni classici delle orchidee esotiche.
Come si è visto il genere Eulophia è tutto da scoprire, si vedono poco nelle esposizioni e conseguentemente anche le piante con premi AOS sono poche, forse 30.
Esiste solo un ibrido intergenerico: Euclades ‘Saint Leger’ (Oeceoclades cordylinophylla x Eulophia guineensis), ed è stato registrato da Vacherot & Lecoufle in Francia.

Io giudico tu giudichi, dare dei voti alle orchidee non è semplice

Generalmente le orchidee esposte nelle mostre rappresentano il meglio che i coltivatori, professionisti o amatoriali, hanno in fiore nei loro vivai o collezioni.
Non svelo nessun segreto se racconto di trucchi, di mimetizzazioni e di “mise en place” per nascondere eventuali difetti, escogitati nelle esposizioni da qualche coltivatore; a tal proposito in alcune mostre del passato hanno fanno storia 026le “stiracchiate” ai fiori di Cattleya e Vanda per farli apparire più regolari. Fa parte del gioco ed è anche divertente cercare di scoprire le eventuali manipolazioni.

Il problema si fa più serio nelle grosse esposizioni a livello mondiale nelle quali sono previsti giudizi, sia allo stand che al tavolo e dove sono presentate a giudizio nuove specie e/o nuove ibridazioni o cloni e soprattutto sono in ballo denari e sponsorizzazioni.
A mero titolo esemplificativo va ricordato che il giudizio allo stand prevede valutazioni sulle orchidee esposte nei vari stand, mentre il giudizio al tavolo (più importante), è dato da tutti i giudici accreditati (per l’appunto, riuniti attorno ad un tavolo) ad ogni singola pianta presentata a giudizio dal suo coltivatore.

Va da se capire che il valore del giudizio sarà direttamente proporzionale al numero ed alla notorietà delle persone che compongono il corpo giudicante, nonché alla autorevolezza dell’Associazione che assegna i premi.

A cosa e a chi servono i premi.
I premi, non solo nel mondo delle orchidee, senza voler entrare nello specifico, sono il valore aggiunto e un buon biglietto da visita per le piante che li ricevono; nell’ambiente dei coltivatori professionisti, le piante con premi si traducono in plusvalore commerciale.
E’ chiaro quindi, che la medaglia è cercata e ambìta da tutti, ma soprattutto da chi, poi, la può tradurre in denaro. Così è sempre stato, epiche sono le esposizioni inglesi nel periodo coloniale e altrettanto importanti quelle americane di inizio 900.

Ho fatto questa lunga e forse noiosa premessa, per cercare qualche riferimento motivazionale, mosso dalla curiosità di capire lungo quali binari si è mossa la giuria che ha premiato le orchidee a Orchids and Wine.

Giudizi a Orchids and Wine
A Orchids and Wine, come del resto in tutte le esposizioni orchidofile italiane, c’è stato solamente il giudizio allo stand perché nessun espositore ha presentato proprie piante per essere giudicate al tavolo; comportamento da stigmatizzare, soprattutto sul versante dei professionisti, ma tant’è.
La prima difficoltà incontrata dai giudici si è palesata dovendo scovare le piante in un lussureggiante contesto scenografico che faceva da set alle piante stesse. In altro post ho epitetato la scenografia allestita dall’ATO, con l’aggettivo “STUPENDA”. Direi che la prima medaglia sarebbe dovuta andare proprio alla Associazione organizzatrice, ma questa è solamente una mia opinione.

Sembra un paradosso, ma le piante incastronate fra le pareti rocciose, mimetizzate al punto da sembrare lì da sempre, hanno resa più complicata la valutazione; più semplice sarebbe stato avere le orchidee allineate in una scarna scenografia.

Piante difficili da giudicare.
Poi ci sono anche le specificità, la morfologia di alcune orchidee rende facile l’analisi, per altre invece, l’inganno è sempre latente. Fra queste ultime ritroviamo sicuramente le varie specie e/o ibridi di Paphiopedilum e Phragmipedium.
Ad esempio, la prima domanda che ci si pone ammirando un lussureggiante esemplare di Paphiopedilum in esposizione, è la seguente:
Può una pianta relativamente giovane (mancanza di vecchie vegetazioni a ceppi spogli, o solo una con foglie della precedente stagione vegetativa), produrre due vegetazioni a fiore?
Ed è qui che i giudici devono far ricorso a tutte le loro esperienze, sul campo (aver visto tante piante in altre esposizioni) e non da ultimo anche di coltivazione.

Anatomia di un Paphiopedilum
Prendiamo come campione una pianta di Paphiopedilum rotschildianum‘CHARLES E’ FCC/AOS.

007 Qual’è l’indizio che ti garantisce che la pianta in analisi è effetivamente una sola e non un collage di più piante fatte crescere in un unico vaso?
La sicurezza si ottiene solamente andando a guardare le radici dentro il substrato. Nella foto a sinistra si nota con evidenza la giusta sequenza vegetativa: ceppo vecchio con sole funzioni di tenuta rizomatosa, vegetazione vecchia già fiorita e nuova vegetazione che andrà a fiore, si intravvede anche che al lato opposto ci sono altre vegetazioni a completameto della pianta tenuta insieme da un unico ceppo radicale.

Impollinazione
012 Giova sottolineare che i fiori di una vegetazione dello scorso anno sono stati fecondati (la foto a sinistra mostra la vegetazione con lo stelo reciso), tale evento ha sicuramente influito sugli equilibri generali dello sviluppo. Le capsule impollinate sono rimaste sullo stelo fiorale a maturare per diversi mesi e forse le energie vegetative si sono spostate in altra parte della pianta. 008

Vecchio esemplare
La pianta in esame è vecchia di almeno 20 anni e di anno in anno si è strutturata attorno al vecchio nucleo centrale, formando più vegetazioni. Come si può vedere nella foto a sinistra, una vecchia vegetazione ne ha strutturate due di nuove ed è la prima volta che succede. Quindi la formazione di due nuovi germogli in contemporanea è possibile, del resto è il modo con cui le orchidee simpodiali icespiscono.
Ad ogni buon conto, una pianta che presenta due o più vegetazioni fiorite, in assenza di altrettante vecchie, con o senza foglie, dovrebbe indurre i giudici a chiedere un’ispezione più approfondita. Capita ed è già successo che con la prima piantumazione in vaso, siano messe a dimora più piantine, con lo scopo di incespire più velocemente la pianta.
Nessuna conclusione da trarre.