Una bella sorpresa, questa fioritura di Leptotes pohlitinocoi!!
Appena sbocciati i fiori, sembrava L. bicolor, per la verità sono abbastanza simili fra loro ed appartengono allo stesso gruppo.
Leptotes pohlitinocoi VP Castro & Chiron, Richardiana 4: 78 (2004).
Origine del nome: in omaggio ai due orchidofili brasiliani, Pohli e Tinoco.
Distribuzione: Brasile (Bahia)
Dimensioni: 12 cm.
Esposizione: sole filtrato
Temperatura: temperato-freddo al caldo.
Tempo di fioritura: marzo aprile.
Specie scoperta recentemente da Erwin Böhnke vicino Buararema (Stato di Bahia, Brasile). I fiori sono rosa. L’infiorescenza porta uno o due fiori: i due labelli sono rivolti uno verso l’altro.
La struttura della pianta presenta un rizoma molto corto dal quale si sviluppano piccoli pseudobulbi e quasi impercettibilmente ai loro apici si formano lunghe foglie cilindriche, erette o pendenti, con una scalmanatura più o meno profonda longitudinale. L’infiorescenza è apicale, breve e contiene uno o due fiori vistosi. I fiori sono solitamente rosa, con il labello macchiato di porpora. I petali e sepali sono simili, ma i petali, spesso hanno colori più intensi, il labello è lobato e ha artigli che si aggrappano ai lati della colonna. La colonna è minuta e contiene sei masse polliniche di diverse dimensioni, quattro grandi e due piccole.
Le tre principali caratteristiche che differenziano le specie di Leptotes (circa 9 ora conosciute) sono le proporzioni generali delle foglie, la forma dei fiori ed il loro modo di aprirsi. Da queste, le specie possono essere classificate in due gruppi principali.
Primo gruppo:L. unicolor, L. bicolor, L. bohnkiana, L. pohlitinocoi Secondo gruppo: L. vellozicola, L. tenuis, L. pauloensis, L. harryphillipsii, L. mogyensis, di quest’ultima specie non esiste traccia in sito, tutte le informazioni provengono da una collezione californiana USA, potrebbe essere un raro ibrido naturale tra L. tenuis e L. unicolor Il genere Il genere Leptotes è stato descritto da Lindley nel 1833, usando come specie tipo: Leptotes bicolor Testo originale di John Lindley
Per ulteriori approfondimenti sul genere Leptotes, leggete questo post
La brezza mattutina di fine estate in vicolo Parnasso ti mette di buon umore, poco più di 14° gradi di temperatura, fuori, dentro in serra oltre 15°, per fortuna, ma ormai si deve pensare a far manutenzione alle stufe a gasolio del riscaldamento.
Le orchidee finalmente riposano un po’, qualcuna mostra i suoi fiori, ed è con enorme piacere che, fra le altre, rivedo finalmente in fiore l’Angraecum disticum. Poco più in la, un po’ ammaccata, ma piena di fiori, Pleurothallis emirhoda, omaggio dell’amico Antonio Camani, proseguendo lungo il sentiero delle Vanda, attira l’attenzione un ibrido superbo (Ascocenda Assel Red Gem x (Vanda Aurauwan x Thananchai) e, quasi nascosta da un invadente Epidendrum radicans, un unico fiore di Cattleya bicolor.
Finito il giretto nelle serre, una controllatina alla tribù “esterna” ed ecco gli pseudobulbi della vecchia Stanhopea ‘ISABELLA’ con le gemme dormienti in pieno risveglio: che soddisfazione vederli vegetare dopo anni di dormienza!
Al computer
Intanto il sole si è alzato oltre la siepe, l’uva mostra i suoi grappoli dorati e maturi, ed è inevitabile una tappetta sotto la pergola ad assaggiare il dolce nettare dei suoi acini.
Finita la siesta zuccherina accendo il computer per iniziare la scrittura di questo post, ed ecco che per un attimo si blocca la mia felicità: mi trovo l’ennesimo commento (bloccato) del solito delirante stalking e sporca diari che, tanto per cambiare va a toccare la mia famiglia, per poi proseguire accusandomi di aver commesso errori, compresa anche la distruzione della AIO, che ora invanamente (a suo dire) voglio cambiare.
Passa subito la tristezza, tanto ormai è un reiterato e inocuo refrain di una persona misera, ma questo “fastidio” mi da l’occasione per precisare che non ho alcun ruolo e non intendo averne in futuro nella Associazione Italiana di Orchidologia, sono un iscritto, quindi collaboro ed esprimo (pubblicamente come tutti dovrebbero fare) le mie opinioni in merito… nulla più.
Giova per altro ricordare a tutti che, anche con il mio impegno sono stati raccolti fondi per l’AIO (mostre, ricerca di sponsor, disponibilità di piante a mostre internazionali), e ne vado fiero, però gradirei rispetto!
A tal proposito apprendo con soddisfazione la convocazione di un’assemblea a Schio di tutti i soci AIO, dove si chiede di esprimere il proprio parere su:
– quali sono le cose o le attività della AIO che non mi soddisfano?
– cosa desidero per il futuro?
– proposte migliorative o nuove su servizi per i soci.
Questo è il mio contributo al dibattito (già inserito nel post protetto “A Lucca è finita la vecchia AIO, a Schio partirà la nuova AIO? Discutiamone”
ORCHIDEE IN ITALIA, ritorno al passato forse conviene. (di Guido De Vidi).
Volendo fare un paradigma con la geologia, possiamo pensare l’attuale (A.I.O.), collocata al tempo dei dinosauri.
Anche per questo motivo la condivisione della nostra passione necessita di una radicale “ristrutturazione”. Per mia sfortuna (età), sono uno dei pochi che ha visto passare tutte le “ere geologiche” dell’Associazionismo orchidofilo italiano; la fase attuale sta vivendo diverse contraddizioni, in parte dovute a limiti statutari, e, aspetto assai preoccupante, determinate da crisi di identità e da qualche invasione “barbarica”.
Finalmente ci si pone il problema e l’incontro dei soci A.I.O. a Schio può rappresentare una buona occasione di rilancio del mondo orchidofilo italiano. Questo è il mio piccolo contributo.
La storia
Se diamo un’occhiata al panorama mondiale dell’orchidofilia organizzata, magari limitandoci a prendere in considerazione i tre paesi più significativi (USA, Inghilterra e Germania), in tutti vediamo emergere due epiteti comuni: SOCIETA’ e ORCHIDEE – American Orchid Society – Orchid Society of Great Britain – Deutschen Orchideen-Gesellschaft e.V. (D.O.G.).
Gli epiteti che danno forma alle sigle delle società sopracitate, già delineano la vocazione divulgativa e rappresentativa del mondo orchidofilo in cui si collocano; a partire dai semplici collezionisti amatoriali, dai botanici, dai coltivatori e dai grandi giardinieri, raggruppati tutti insieme in forma associata: il collezionista di orchidee, il disegnatore botanico, il coltivatore sui davanzali delle finestre, nelle serre ed anche lo studioso che parla di orchidee.
Da dove veniamo
Negli anni 70 del secolo scorso, alcuni pionieri dell’orchidofilia italiana, come Mario Dalla Rosa, fondarono la Società italiana delle Orchidee (SIO). Mario Dalla Rosa, di professione commandante pilota dell’Alitalia, durante i suoi viaggi attorno al mondo ha avuto modo di apprezzare il fascino discreto delle orchidee esotiche, amore che ha cercato di trasmettere ad altri appassionati attraverso quella prima forma associata chiamata SIO. Poi si cambiò esperienza, più avanti capiremo perché, ma le cose non andarono come si era auspicato
Ed ecco che a distanza di una sola cinquantina d’anni, siamo qui ancora una volta a discutere di “rivoluzione” organizzativa. A mio avviso sono due i fattori che hanno impedito la crescita e l’autorevolezza dell’orchidofilia italiana:
1) – I gravi errori, purtroppo endemici, commessi sin nella prima esperienza SIO, quando in molti hanno cominciato a pensare – agendo di conseguenza – che controllando la società delle orchidee, si potessero trarre benefici economici.
E’ il periodo delle scalate per controllare la SIO (delle quali rimane traccia in queste scaramucce epistolari, fatte di diffide e contro diffide ingiallite, degli anni 80), con protagonisti, Ravanello, Giorgi, Corvi, per poi, lasciarla al suo destino all’inizio degli anni 90.
2) – La vocazione marcatamente “intellettualeggiante” della attuale AIO, in buona sostanza pensata solamente quale “strumento” per rilasciare giudizi e per editare materiale scientifico; poco, troppo poco per mantenere in vita e sentire propria una nuova esperienza associativa.
Nelle more dello statuto, che per la verità poco ci obbliga e tanto si interpreta, saltuariamente e per impulso di qualche socio, si è anche vista qualche attività organizzativa (mostre ed eventi), forieri per altro, di introiti economici e di sponsorizzazioni.
E’ mia opinione che, rivista e corretta, la strada giusta che consentirà di raccogliere le nuove istanze del mondo orchidofilo italiano, sia quella di un ritorno al passato, ovvero una organizzazione ben strutturata, e dotata di un’ossatura statutaria ad ampio respiro.
Le proposte
A perfezionamento delle enunciazioni generali fatte nell’introduzione, cercherò di fare sintesi per punti, delle “discipline” o “settori” che potranno costituire le basi per una nuova organizzazione orchidofila nazionale.
1) – Rivista specializzata, possibilmente bimestrale, intesa come veicolo “cartaceo e telematico”, di articoli anteprime, resoconti attuali supportati da documentazioni visive e fotografiche.
2) – Promozione di simposi e relazioni scientifiche sulla conoscenza, in particolare la propagazione di specie in via di estinzione con le semine assimbiotiche, per divisione, e spedizioni in sito con l’obiettivo di proteggere e reintrodurre specie estinte.
3) – Attirare l’attenzione degli appassionati verso le orchidee, organizzando mostre e gestendo giudizi sulle piante in esposizioni in ambito nazionale e internazionale, con l’obiettivo dichiarato di far conoscere nuove specie e divulgare il concetto della salvaguardia di un patrimonio unico al mondo.
4) – Punto di riferimento (non coordinamento) di Gruppi (chiamali, Club o Associazioni locali) da guadagnarsi sul campo con programmi da condividere, iniziative di interesse generale e di rappresentanza in ambito internazionale.
Per attuare questa “rivoluzione” è indispensabile ripensare una nuova casa comune, dove la percezione del cambio di rotta sia reale, a partire dal nome: non più il limite restrittivo rappresentato dall’epiteto “orchidologia” (studio delle orchidee) con “orchidee”, termine più rappresentativo dell’intero comparto, così come si legge in AOS, DOG ed altre sigle.
L’amico Paolo Casanova, eccellente orchidofilo parmense è al settimo cielo: la sua agognata Cattleya dormaniana è fiorita!
“Guido, hai viso la mia mail? – si informa al telefono, Paolo – ti ho inviato la foto della mia C. dormaniana, in fiore e mi piacerebbe condividere la notizia” – e aggiunge – non è facile vederla nelle collezioni e sono veramente felice di questa fioritura”
“Certamente – rispondo io – e non solo i fiori, pubblicherò anche un primo piano del suo cestino in legno che tu le hai costruito: una vera opera d’arte!”…
Ora possiamo iniziare il racconto.
Ho cercato qualche notizia per strutturare il post ed ho trovato molto interessante il racconto di Paulo Roberto Pancotto, orchidofilo brasiliano, riportato in Orchids News n° 35, sul sito di Delfina de Araujo …” “It was a beautiful journey to see Cattleya dormaniana blooming. The walk lasted for ten hours, going up and down, in an area very difficult to be reached and I believe that is the reason for being still safe. We found a habitat with a good population formed by matured plants and I can say that there were at about 150 plants and a great quantity of small-sized seedlings which means that this small treasure is in perfect balance because its pollinator is active and doing a good job.
Those plants were very well adapted, healthy, with a luxuriant blooming, little variation in the color but, on the other hand, they presented in their floral stems two flowers with same size, which is for the species a great event. They were found in a very humid environment because they were place over a multitude of bromeliads. Those plants are also responsible for a great accumulation of water which is constantly in evaporation.
The luminosity was, in most plants, at about 50%, but, at the same time, we found plants which were at noon completely exposed to the sunbeam. However, due to the great refrigeration supplied by the combination of water from the bromeliads with the heat and ventilation, we haven’t seen any plant burnt. This habitat is found at, approximately, 600m altitude.”
Da questo riassunto di viaggio emergono notizie molto utili per capire l’habitat di questa specie in sito.
1 – Habitat in zone impervie, quale garanzia di sicurezza per la specie.
2 – L’equilibrio biologico delle colonie di Cattleya dormaniana visitate è dato da molti fattori convergenti, ad esempio la combinazione, temperatura, luce, ventilazione e, osservazione molto interessante, la presenza di estese colonie di bromeliacee, grandi accumulatrici di acqua in costante evaporazione… come a dire: un naturale impianto “fog” a disposizione.
Cattleya dormaniana (Rchb f.) Rchb. f. 1882
Questa specie è stata descritta come Laelia dormaniana da Rchb. f. nel 1880.
Nel l882, l’ha trasferita nel genere Cattleya.
All’inizio, si è pensato che fosse un ibrido naturale di Cattleya bicolor e Laelia pumila Ultimamente il dubbio è stato rimosso, Dressler & Gillespies (Bollettino AOS – 1960) la considerano una specie valida. Cattleya dormaniana è endemica nello stato di Rio de Janeiro, tra i 500 ei 700 metri di altitudine.
In certi casi vive nei tronchi morti o in decomposizione come pianta saprofita, (Monti Órgãos). Generalmente è epifita e cresce nella foresta pluviale molto umida, su alberi specifici, probabilmente Clusia organensis, in ambienti difficili da raggiungere.. Il suo habitat varia tra 600 e 1.000 m di altitudine.
La specie produce pseudobulbi che variano da 8 a 30 cm con due foglie carnose al loro apice. Presenta uno o al massimo due fiori per spiga, di 8 centimetri di diametro una volta aperti. Durano meno di 15 giorni e sono scarsamente profumati.
Altra nota interessante, che sottolinea le sue incertezze tassonomiche, l’ho trovata spulciando il bollettino dell’American Orchid Society: febbraio 1956 (Vol. 25, No. 2, page 159). …”Cattleya dormaniana: Brazil. This species brings to the forefront the artificial distinction between Brazilian laelias and cattleyas. The distinction is based on the number of pollinia; four for cattleyas and eight for laelias. This species produce two or four extra rudimentary pollinia in addition to the four normally found in plants of this genus. Is this then a Laelia, a Cattleya or an intergeneric natural hybrid? It is today accepted as a Cattleya and the underdeveloped pollinia have some evolutionary significance related to the origin of the species. Regardless of the genus, the 3 inch flowers, produced usually one or two per inflorescence (occasionally up to 4) are dramatic. The species, discovered in 1879, comes from the humid, cloud-shrouded Organ Mountains in Rio de Janeiro State, Brazil. While the thin pseudobulbs do not tolerate dehydration, the species does need a definite period of dormancy. Flowering occurs in the fall. While known for some 130 years, C. dormaniana remains relatively rare in contemporary collections. It is a small species that takes up little room and for those able to provide for its requirements, a dramatic addition to anyone’s cattleya collection”…
L’elemento di incertezza tassonomica è dato dal fatto che questa specie, in aggiunta alle quattro masse polliniche, normalmente presenti nelle piante di questo genere, ne produce altre due supplementari, a volte quattro, seppur appena strutturate rudimentalmente; da ciò la domanda: è una Laelia, una Cattleya o un ibrido naturale intergenerico? Oggi è accettata come Cattleya… chissà in futuro!
Le cassettine di Paolo
Questa, nella foto a sinistra è il cestello in legno dove Paolo, a suo tempo ha sistemato Cattleya dormaniana, dopo essersela aggiudicata ad un’asta – lui dice – “beccata negli ultimi 5 secondi”.
Mi colpisce particolarmente, la precisione con la quale Paolo ha realizzato l’opera, curata anche nei minimi dettagli. E poi, particolare da non poco conto, desidererei far notare la qualità del legno usato. La durezza del legno è un elemento essenziale, fondamentale, direi: complimenti Paolo.
Una bella specie, contesa fra vari tassonomi, divertiamoci a seguirli nel loro continuo modificare i nomi delle orchidee.
La storia infinita della tassonomia ti porta sovente a spasso fra i nomi, vecchi e nuovi, al punto che finita la tua dissertazione scientifica, corri il rischio di essere già superato da nuove follie dei tassonomi.
In questo articolo era mia intenzione presentare una bella fioritura di un cultivar della mia collezione….pensavo si tratasse di Laelia purpurata var. russelliana f. pallida: Continua a leggere→
Nome del Grex: Honey
Genitori: (Paph. philippinense x Paph. Primulinum)
Ibrido realizzato da Cryder; anno di registrazione: 1978
Vari testi riportano ulteriori precisazioni, forse frutto di successive ibridazioni:
Paphiopedilum Honey (Paph. primulinum x Paph. philippinense alba) oppure (Phap. primulinum V. flavum x Phap. philippinense V. roebelinii).
Queste varianti possono creare figli con caratterisiche morfologiche e cromatiche diverse, motivo in più per tenere questo ibrido primario nella propria collezione.
Esiste anche un altro ibrido abbastanza simile e facilmente scambiabile l’uno per l’altro:
Paph Shireen (Paph. glaucophyllum x Paph. philippinense)
Le foto riportano i particolari di una pianta della mia collezione.
Come si può notare appartiene al gruppo dei Paphiopedilum multifiore ed è di facile coltivazione. Fioritura estiva di lunga durata.
Coltivazione:
Nessun riposo, temperatura da serra intermedia, luce filtrata, composto drenante, torba, bark, perlite e ghiaino calcareo.